La forza gravitazionale è però estremamente più debole di quella elettromagnetica; un protone e un elettrone, ad esempio, si attraggono con una forza gravitazionale che è 10^39 volte più debole di quella elettrica, la qual cosa porta a capire quanto le onde gravitazionali siano deboli e difficili da rilevare!
Il nostro pianeta, ad esempio, nel suo moto attorno al Sole emette onde gravitazionali che provocano una perdita di energia il cui effetto è quello di ridurre il raggio dell'orbita terrestre; tale perdita è però così irrilevante che sarebbe necessario un tempo ben più lungo della stessa vita del Sole perché la Terra vi possa precipitarci sopra! Un fenomeno catastrofico quale l'esplosione di una supernova nella Via Lattea produrrebbe un'onda gravitazionale dalla brevissima durata di 1/1000 di secondo e il cui effetto sulla Terra sarebbe quello di provocare l'oscillazione della distanza tra due corpi distanti 1 m l'uno dall'altro pari a 1/1.000.000.000 del diametro di un atomo! Stando così le cose, non vi è pertanto da meravigliarsi se per molti anni la rivelazione delle onde gravitazionali è stata considerata una causa persa, tanto che il solo Joseph Weber venne ricordato come l’unico vero ricercatore “fuori dal coro” interessato nel rilevare tale estremo fenomeno della natura, purtroppo senza alcun risultato.
Dove ricercare le onde gravitazionali?
Per anni, l’attenzione è stata focalizzata su sistemi binari formati da pulsar, vicinissime tra loro in rapida rivoluzione l’una attorno all’altra. Una pulsar è una stella di neutroni animata da rapido moto di rotazione che emette un fascio di radiazione elettromagnetica stretto e intenso, rotante insieme alla pulsar stessa come il fascio di un gigantesco faro. Le pulsar colpiscono quindi la Terra a intervalli regolari, alla pari del ticchettio di un orologio; osservazioni dettagliate di questi impulsi regolari possono essere utilizzate per stabilire cosa succede nell'orbita della pulsar. Studi accurati eseguiti da Joseph Taylor e dal suo collaboratore Russel A. Hulse sulla pulsar binaria PSR 1913+16 mostrarono che le orbite delle de stelle si avvicinano con velocità che è lecito aspettarsi se tale sistema binario emettesse onde gravitazionali (esattamente in accordo con la teoria della relatività generale di Einstein): una prova indiretta dell’esistenza delle onde gravitazionali, quindi, che ad ogni modo valse il Nobel nel 1993 ai due ricercatori.
Nel 2014 vi fu l’annuncio, da parte di astronomi dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge dell’individuazione del “marchio” di onde gravitazionali primordiali nella polarizzazione della radiazione cosmica di fondo. Prova indiretta, questa, anche dell’inflazione cosmica. La polarizzazione nella radiazione cosmica di fondo dovrebbe essersi generata tramite l'interazione tra le onde gravitazionali primordiali e la radiazione a microonde stessa ma tale rilevazione. Tuttavia le affermazioni vennero smentite l’anno seguente allorché ricercatori dell'ESA, utilizzando il satellite Planck congiuntamente ai dati ottenuti da BICEP2, affermarono che rimuovendo l'emissione della polvere galattica la prova della rilevazione indiretta delle onde gravitazionali primordiali non affatto più così solida.
Ma è quindi possibile rilevare direttamente le onde gravitazionali?
Magari quelle prodotte in sistemi di pulsar binarie o, addirittura, di “buchi neri binari”? Teoricamente, si. E proprio a tal fine agiscono due osservatori a rilevazione interferometrica, entrambi chiamati LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory). Di cosa si tratta? Nello Stato di Washington, ad Hanford, e nella Louisiana, a Livingstone (a 3000 chilometri ca di distanza l’uno dall’altro) si trovano due impianti, ciascuno formato da due bracci lunghi circa 4 km e ortogonali tra loro, uniti in modo da formare due gigantesche L. Alle estremità di entrambe le L sono posizionati dei grandi specchi e un fascio laser di grande intensità percorre entrambi i bracci avanti e indietro; questi fasci laser sono sincronizzati in maniera così precisa al punto che, quando essi si incontrano all'angolo, si ha un'interferenza ottica del tipo “distruttivo”: in altre parole, le creste delle onde di luce provenienti da un braccio coincidono con i denti dell'onda provenienti dall'altro braccio così che i segnali si cancellano.
Ora, LIGO è stato progettato al fine che, nel momento di essere “investito” da onde gravitazionali, queste indurrebbero la contrazione di uno dei due bracci e l’estensione dell'altro; in tale scenario, le creste e i ventri delle due onde non si combinerebbero più in maniera precisa, la qual cosa comporterebbe la mancata cancellazione dei due segnali, producendo diversi livelli di interferenza distruttiva e costruttiva al passare delle onde: in altri termini, la somma dei due fasci produrrebbe un segnale rilevabile e derivato dalla distorsione dello spazio-tempo esercitato da un'onda gravitazionale in transito! Tra l’altro, se la lunghezza d'onda della luce è molto piccola, le ondulazioni formate della creste e dai ventri di ciascuna onda diverrebbero così fitte al punto che un minimo spostamento tra le creste della prima onda e i ventri della seconda verrebbe subito rilevato!
I bracci a L di Ligo sono stati progettati per rilevare variazioni della loro lunghezza fino a 10^-16 cm, una grandezza spaventosamente piccola, equivalente a circa 1/100.000.000 del diametro di un atomo di idrogeno! In realtà, è facile intuire che minime variazioni della lunghezza dei bracci di LIGO (proprio degli ordini di grandezza appena accennati) potrebbero essere causate da altri fenomeni locali e del tutto ordinari quali, ad esempio, microsismi, onde marine di particolare intensità che si abbattono sulla costa USA del Pacifico e su quella del Golfo del Messico come anche la ben più modesta caduta di un albero nelle vicinanze. Tuttavia, gli scienziati sono in grado di scremare con notevole precisione altri “contributi” imputabili a sorgenti che non siano onde gravitazionali.
I segnali restanti, quindi, sono quelli dovuti proprio al passaggio di onde gravitazionali le cui lunghezze d'onda, dell'ordine di qualche chilometro, sono confrontabili con quelle dei bracci ad L di ciascun interferometro. Per inciso, la lunghezza delle onde gravitazionali create dalla fusione di buchi neri o da pulsar binarie va da qualche metro fino a qualche miliardo di anni-luce!
Una volta rilevata l’onda gravitazionale è lecito chiedersi da cosa essa sia stata prodotta.
Utilizzando supercomputers per ricostruire la forma dell'onda registrata, è parso chiaro che essa si è formata a seguito di un evento tra i più estremi dell’Universo, qualcosa finora solo ipotizzato ma del quale, finalmente, si ha prova dell’esistenza: la fusione di due buchi neri!
Si tratta di veri e propri “cadaveri” di ciò che una volta erano due stelle massicce, tra loro gravitazionalmente legate in mutua orbita. I due buchi neri in questione, dalla massa stimata in 36±5 e 29±4 volte quella del Sole, si sarebbero avvicinati sempre più tra loro causa la loro estrema forza di attrazione gravitazionale, la cui conseguente perdita di energia orbitale avrebbe prodotto onde gravitazionali di intensità esponenzialmente crescente. Avvicinandosi sempre più tra loro, questi due buchi neri avrebbero raggiunto velocità orbitali pari a metà di quella della luce, qualcosa di veramente incredibile: lo scontro e la loro conseguente fusione finale (che avrebbe prodotto un ulteriore buco nero da almeno 62 masse solari) avrebbe quindi generato quantità di energia inimmaginabili tali da distorcere il tessuto spazio-temporale circostante proprio sotto forma delle onde gravitazionali recepite da LIGO.
Sull’esatta controparte ottica dell’evento, purtroppo non si può dire nulla; l’unica cosa certa è che tale estremo fenomeno sarebbe accaduto in una parte del cielo australe prospetticamente non lontana dalle due Nubi di Magellano ma ben più lontana di esse, a circa 1,3 miliardi di anni-luce!
La rilevazione diretta di onde gravitazionali è uno dei passi più importanti della fisica, uno dei caposaldi della della relatività generale, ampiamente dimostrata da LIGO a 100 anni esatti da quando Einstein la pubblicò.
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