Nelle nottate primaverili è visibile uno degli asterismi meno noti, il cosiddetto “diamante della Vergine”, delineato quattro stelle: Spica (α Vir), Denebola (δ Leo), Arcturus (α Boo) e Cor Caroli (α CVn). quest’ultima, passante proprio allo zenith, è la stella più più appariscente della costellazione dei Cani da Caccia (Canes Venatici). La denominazione, certamente originale, le fu attribuita nel 1725 dall’astronomo inglese Edmund Halley in onore del Re Carlo II d’Inghilterra, ispirato dallo scienziato di corte Charles Scarborough, che a suo dire vide tale stella splendere molto più vivacemente del normale alla vigilia del ritorno del Re a Londra, il 29 Maggio 1660. Infatti, su parecchie stampe d’epoca, la stella appare raffigurata marcare un cuore incoronato, posto a ridosso del collo del cane Chara.
Cor Caroli splende esattamente di magnitudine 2,9 ma in realtà non è la storia del suo nome ad attrarre l’attenzione su di essa quanto il fatto di essere una tra le doppie più belle visibili attraverso i piccoli strumenti! La principale, una stella bianca dal diametro tre volte quello solare, è affiancata ad una distanza di circa 19 secondi d’arco da una compagna di magnitudine 5,6, dello stesso colore ma dal diametro di poco più grande; si tratta di una compagna fisica, lontana dalla principale circa 800 Unità Astronomiche. Dal momento delle prime misure, ottenute da Otto Wilhelm Struve nel 1830, è stata osservata solo una modestissima variazione nella separazione; a questo proposito Camille Flammarion scrisse “…questi due astri sono tuttavia associati, poiché volano insieme attraverso l’immensità dello spazio con velocità prodigiosa…”; ciò ha portato a concludere che il periodo orbitale della coppia deve essere notevolmente lungo. La coppia di stelle è davvero incantevole alla visione con qualsiasi telescopio, ed alcuni osservatori sembrano avvertire dei leggeri contrasti nel colore delle due stelle, che vengono spesso definite bianco-azzurra, la principale, e giallognola, la secondaria.
La coppia dista 110 anni-luce da noi e la luminosità intrinseca dei due astri, il principale dei quali è una subgigante bianca mentre la secondaria è di sequenza principale, è equivalente rispettivamente a 75 e 7 volte quella del Sole; da studi eseguiti sul loro moto e sulla loro velocità nello spazio, sembra che in realtà le due stelle siano dei membri fuggitivi dell’ammasso stellare delle Iadi, nel Toro.
La stella principale della coppia, α CVn 2, è anche un’interessante variabile, prototipo della classe delle cosiddette variabili a spettro magnetico, complesse stelle caratterizzate da intensissimi campi magnetici, dal migliaio agli oltre trentamila gauss; la polarità dei campi varia contemporaneamente allo stesso periodo rotazione della stella, solitamente lungo qualche giorno. Tra le più note appartenenti a questa classe sono Alkaid (Epsilon UMa), 56 Ari, Chi Ser, Iota Cas e Nekkar (Beta CrB).
Queste sono tutte stelle di tipo spettrale A, appena più luminose delle medesime appartenenti alla sequenza principale, appartenenti ad associazioni stellari; oltre a mostrare una variazione di luminosità nel visuale, generalmente modesta, le stelle magnetiche presentano una marcata variabilità nell’intensità e nella forma di alcune righe spettrali di metalli - presenti in abbondanza assieme alle cosiddette “terre rare”, fatto già di per se anomalo nelle stelle di tipo spettrale A – variazione che ha il medesimo periodo di quella luminosa, generalmente compreso tra poche ore ed oltre 300 giorni. Strano è anche il fatto che l’ampiezza della variazione luminosa è diversa a seconda della banda spettrale considerata. La presenza del campo magnetico su queste stelle è stata scoperta in quanto le righe spettrali appaiono tanto più allargate - il cosiddetto effetto “Zeeman” - quanto più intenso è il campo stesso, che contribuisce anche a rendere polarizzata la luce della stella.
La variazione dell’intensità delle righe metalliche nello spettro di Cor Caroli venne scoperta nel 1906 e, successivamente, nel 1914 venne anche osservata una modesta ma pur presente variazione di 0,05 magnitudini nella luminosità visuale. Oltre a questo, fu notato anche che il colore della stella varia leggermente, dal bianco quando è al minimo di luminosità all’azzurrino quando è invece al massimo, e che l’intensità del campo magnetico varia, in un intervallo tra i +5.000 e i –4.000 gauss, periodicamente e contemporaneamente ai cambiamenti nelle linee spettrali che, come detto, a loro volta variano in sintonia con la variazione nella luminosità della stella.
Oggigiorno si conoscono ancora pochi esemplari di stelle magnetiche, poco più di un centinaio, perché possa essere stilato un modello finale del complesso meccanismo di variabilità di queste stelle. Innanzitutto, si ritiene che l’anomala – altissima – presenza di elementi pesanti, nonché rari, sia dovuta al fatto che il forte campo magnetico concentrerebbe gli ioni, presenti nell’atmosfera della stella, lungo delle “correnti” capaci di generare temperature altissime, che favorirebbero appunto la formazione di reazioni nucleari atte a generare elementi pesanti.
La diversa concentrazione di questi elementi pesanti sulla superficie della stella spiegherebbe le variazioni nelle righe che avvengono con lo stesso periodo di rotazione; allo stesso modo, la variazione di diversa ampiezza che la stella mostra nei colori spettrali sarebbe ben spiegata interpretando che la diversa concentrazione di elementi sulla superficie della stella comporterebbe anche “aree di diversa luminosità”, aventi sempre lo stesso periodo della rotazione della stella.
Lo stesso campo magnetico, secondo alcune teorie, deriverebbe dal campo magnetico galattico inizialmente presente nella nebulosa che ha dato vita alla stella, e successivamente si sarebbe intensificato, contraendosi, proprio quando parte di questa nube iniziava a collassare per dare vita alla protostella, o più semplicemente sarebbe dovuto alla rotazione della stella, in cui intense correnti elettriche genererebbero l’intenso campo magnetico, proprio come in una dinamo.