domenica 28 febbraio 2016

IL GRUPPO DI GALASSIE DI M81

M81, nota anche come "Galassia di Bode" perchè da questo osservata per la prima volta nel 1774, è una delle più luminose galassie presenti nella volta celeste e quindi osservabili anche con telescopi di media potenza. Il suo diametro è di circa 72 mila anni luce e la massa stimata pari a 250 miliardi di stelle come il Sole, valori inferiori ai corrispettivi della nostra galassia, la Via Lattea. Le polveri interstellari sparse nelle spire della galassia si trovano corrispondenza con regioni di formazione stellare attive, laddove stelle giovani e brillanti, appena nate, riscaldano le polveri oscure che emettono così radiazione infrarossa. Nell'immagine ad infrarossi qui di seguito, ripresa dal Telescopio Spaziale Spitzer, il blu rappresenta le emissioni di origine stellare a 3.6 μm, il verde rappresenta le emissioni a 8 µm originate dagli idrocarburi policiclici aromatici presenti nel mezzo interstellare e il rosso le emissioni a 24 µm della polvere riscaldata nel mezzo interstellare:



Alla alla distanza di 12 milioni di anni-luce, il gruppo di galassie di M81 è uno tra i più vicini al nostro gruppo locale. Pur coprendo una regione di spazio più piccola, pari a 2.000.000 × 1.000.000 di anni-luce, il numero di membri è tuttavia simile, tanto che ben 32 sono quelli finora identificati finora 32. Come il Gruppo Locale, anche quello di M81 è dominato da due grandi galassie luminose; il nostro, quello di M81 ed altri gruppi "locali" sono componenti del Superammasso della Vergine che a sua volta è una parte di una sovrastruttura ancora più vasta, il Superammasso Laniakea.




L'immagine qui di seguito (autore: Bob Andresson) è una fotografia ripresa nel'ottico della regione centrale di questo ammasso che occupa, nell'Orsa Maggiore, un'area pari 350 volte quella del disco lunare! Ovviamente, la grande galassia che domina l'immagine è quella che da il nome al gruppo, M81: il suo diametro, stimato in circa 73 mila anni-luce, è inferiore a quello della Via Lattea, la nostra galassia, mentre la massa totale sembra ammontare a circa 200 miliardi di stelle come il nostro. Accanto ad essa, la seconda grande galassia dell'ammasso, M82:



Tutte le galassie appartenenti a questo ammasso sono in interazione gravitazionale le une con le altre. Diversamente da altri casi di interazione quali quello tra M51 - NGC 5195 nei Cani da Caccia o la coppia NGC 2297 - IC2163 nel Cane Maggiore, le immagini riprese in luce visibile non rendono talmente ovvie le interazioni esistenti nel gruppo di M81; tuttavia, alle lunghezze d'onda radio, la situazione cambia drasticamente.

Nelle foto a lunga posa o composite, il campo visivo di questa e della vicina M82 può mostrarsi pervaso da una serie di intricati filamenti nebulosi; questo sistema di gas e polveri oscure fa parte del cosiddetto "Integrated flux nebulae", enormi filamenti nebulosi prevalentemente non illuminati e situati ad alte latitudini galattiche, il più esteso dei quali si estende proprio lungo tutte le costellazioni più settentrionali arrivando a lambire anche la stella polare (foto: Emil Ivanov):



La figura in basso mostra la distribuzione del gas in tutto l'ammasso, con i colori ad indicare l'intensità quindi la quantità di gas: le regioni bianche sono le più ricche di gas freddo e la quantità diminuisce verso il viola. L'immagine mostra chiaramente come quello di M81 sia un gruppo compatto che galleggia in un mare di idrogeno. Oltre al gas associato alle singole galassie è presente una grande componente diffusa che, infatti, contiene oltre un quarto della quantità totale di gas, per una quantità totale stimata in qualcosa come 1,4 miliardi di stelle come il Sole!


Il gas intergalattico presente nell'ammasso ha avuto origine dall'interazione gravitazionale tra i vari membri; questo viene tuttora "estratto" dalle galassie lungo correnti che lo diffondono lentamente in tutto l'ammasso. La principale sorgente del gas è naturalmente M81 ma anche le altre galassie forniscono il loro contributo, in particolare NGC3077 che, nell'immagine sopra appare come la chiazza bianca legata ad M81, presente alla sua sinistra. La regione centrale dell'ammasso appare con maggior dettaglio nell'immagine qui di seguito, ottenuta dall'emissione dell'idrogeno a 21 cm e codificata con colori molto simili alla precedente, con l'aggiunta del turchese per le regioni più deboli; l'immagine a sinistra, ripresa nella banda ottica (B/N), è nella stessa scala, rendendo quindi evidente non solo la reale interazione tra le galassie ma soprattutto la vastità di tale fenomeno (fonte: National Radio Astronomy Observatory):


I singoli filamenti presenti nella sacca di gas sono qui più distinti, così come le strutture interne delle galassie stesse. La chiazza a sinistra è NGC3077 mentre in alto è presente M82, circondata anch'essa da una vasta nube di idrogeno. La struttura a spirale di M81 è qui ben visibile e la maggior risoluzione spaziale permette anche di notare il buco centrale, caratteristico delle galassie di tipo Sb, con un notevole nucleo centrale e braccia a spirale moderatamente stretti. In altre galassie con le braccia più aperte (sc) come M101, l'idrogeno si estende fino al centro della galassia stessa.


L'emissione dell'idrogeno proveniente da NGC3077 è di per sé più debole, tanto da rivelarsi solo come una macchia brillante senza ulteriori dettagli. Quasi certamente, questa galassia era una volta una comune galassia dalla forma irregolare ma dalla grande riserva di gas, in seguito strappatole dalla forza mareale di M81 fino a formare la brillante nube che si incurva sulla sinistra della galassia stessa. NGC3077 è stata quindi smembrata dal gas e probabilmente è sulla via di divenire una piccola galassia ellittica priva di gas.



Anche la nube di idrogeno che circonda M 82 ha subito distorsioni gravitazionali. Mentre la parte più interna è ancora allineata con la direzione della galassia (vista di taglio), le zone più esterne sono piegate e stirate a formare code che si estendono per oltre 100 mila anni-luce! Indubbiamente, il colpevole è ancora la gravità della gigantesca M81.

La piccola nube di idrogeno appena sinistra di M81 è un'altra prova degli incontri ravvicinati delle due galassie maggiori di questo gruppo; essa è infatti composta da gas appartenente a M82, strappatole durante un passaggio ravvicinato alle parti esterne di M 81, evento che si ritiene essere avvenuto circa 200 milioni di anni fa. Alcune stelle di M82 sono state ad essa tolte e quindi concentrate in questa regione, costituendo la quella che potrebbe essere definita la "spina dorsale" di una piccola galassia irregolare; durante questa mancata collisione cosmica, una vasta quantità di gas venne compressa formando una densa nube molecolare nella quale oggi i formano nuove stelle (starburst).

E' proprio il caso di dire che dai detriti di uno scontro galattico ne sta nascendo una nuova.

venerdì 26 febbraio 2016

VIAGGIO TRA LE COSTELLAZIONI: CANCER, CNC, IL CANCRO

Addossata alla testa dell'Idra e circondata dalle luminose stelle Regolo, Polluce e Procione, quella del Cancro è tra le costellazioni meno vistose dell'intera volta celeste. Culminante al meridiano nelle serate di Febbraio, tale costellazione si fa notare non tanto per le sue stelle - nessuna più brillante della terza magnitudine! - quanto per il chiarore diffuso di M 44, uno degli amassi stellari aperti più vicini, luminosi e noti. Oltre ad essere la meno appariscente delle costellazioni zodiacali, la costellazione del Cancro è classificata al secondo posto tra quelle con minore densità stellare, grandezza intesa come numero di stelle entro la quinta magnitudine presenti in 100 gradi quadrati: superato solo dall'australe costellazione del Monte Tavola (Mensa), il Cancro presenta entro i suoi pur ragguardevoli 506 gradi quadrati solo sei stelle più luminose della quinta magnitudine ed altre 140 circa entro il limite di visibilità ad occhio nudo quando osservata a un luogo prettamente scuro e al transito al meridiano.


Eppure, nonostante la sua evanescenza, questa area celeste ha avuto la sua importanza storica poiché, in antichità, il Sole raggiungeva proprio in questa costellazione la sua massima elevazione annuale sull'eclittica determinando il Solstizio d’Estate; causa la Precessione terrestre, il Cancro non detiene più tale posizione, nel frattempo passata ai Gemelli ma, nonostante questo, è ancora d'uso chiamare Tropico del Cancro il parallelo terrestre dove il Sole si proietta allo Zenit proprio in concomitanza del solstizio estivo, esattamente ad una latitudine di 23°27'.

La fantasia dei popoli antichi attribuì a queste deboli stelle varie figure: per gli egiziani furono uno scarabeo, per gli indiani una colomba, mentre Julius Schiller nel 1627 associò il nome di San Giovanni evangelista a questo asterismo. Il nome attuale deriva probabilmente dal moto apparente del Sole in estate, che, dopo aver risalito tutta l'eclittica, inverte la rotta, ritornando verso declinazioni più basse. Per questo motivo i popoli medio-orientali videro in queste deboli stelle la figura di un granchio o di un gambero, il curioso crostaceo noto per le sue retromarce. Risale invece alla civiltà ellenica il mito del granchio immortalato in cielo da Giunone: la dea, nemica di Ercole, mandò il crostaceo contro l’eroe greco mentre lottava nella palude di Lerna con l’Idra, il mostro dalle numerose teste; il Granchio riuscì solo a pizzicare Ercole finendo schiacciato sotto i suoi piedi, ma per questo tentativo Giunone lo ricompensò trovandogli un posto in cielo.




Come già accennato, l’elemento di questa regione celeste che colpisce la curiosità dell’osservatore è l’ammasso M 44, e così fu anche per gli antichi contemplatori del cielo. Assieme alle Pleiadi, le Iadi e all’ammasso stellare della Chioma di Berenice, M 44 è il quarto oggetto di questo tipo di cui si hanno notizie in documenti storici. Oggi noto il nome "praesepe", introdotto dallo scrittore latino Plinio il Vecchio che denominò le due stelle ad esso attigue γ e δ Cnc come “gli asinelli”, il cui termine latino ne contraddistingue i nomi propri.

Asellus Borealis (γ Cnc), la più debole delle due, risplende di magnitudine 4,67. Situata a 158 anni luce dal Sistema Solare, essa è una gigante bianca di tipo spettrale A1 IV, la cui temperatura superficiale è di circa 9400 K; essendo il suo raggio il doppio di quello del Sole, ne consegue che la sua luminosità intrinseca ne è 29 volte superiore. Da parametri quali luminosità e raggio è possibile anche stimare la sua mass, pari a 2,3 volte di quella della nostra stella madre. Asellus Borealis possiede due compagne prospettiche, separate da essa rispettivamente da 1’ e 2’ d'arco; quest’ultima, denominata γ Cnc B, è invece una reale stella doppia, pur spettroscopica.


Asellus Australis (δ Cnc), pur splendendo modestamente di magnitudine 3,94, è la seconda stella più luminosa della costellazione. Lontana 132 anni-luce dal sistema solare, è una gigante di classe spettrale K0III, arancione quindi, dalla massa il doppio di quella solare ma dal diametro 11 volte superiore. Situata solo 5’ a nord dell'eclittica, questa stella è di conseguenza frequentemente soggetta a congiunzioni con la Luna o i pianeti e, in casi più rari, occultata da parte degli stessi.


Nel disegno di stelle che delinea la figura del crostaceo, il quadrilatero formato da queste due stelle assieme alle più deboli η e θ Cnc ne costituisce il corpo; proprio da queste due ultime partono quattro linee che ne formano le zampe e i cui estremi si identificano in χ e μ Cnc, collegate a η Cnc, e ζ e β Cnc, queste ultime collegate a θ Cnc.

β Cnc, nota come Altarf (dall'arabo, “la fine della zampa”) è l'astro più luminoso della costellazione; ben visibile tra la testa dell'Idra e la luminosa Procione, è una gigante arancione di classe spettrale K4IIIBa0.5 dalla spiccata colorazione arancione, che splende apparentemente di magnitudine 3,52 dalla distanza di 290 anni-luce. Il diametro di Altarf è pari a una cinquantina di volte quello solare; con questo valore, e considerata la sua temperatura superficiale prossima ai 4000 K, la luminosità intrinseca corrispondente risulta essere 660 volte quella del Sole! Fosse al posto del Sole, essa riempirebbe l'orbita di Mercurio, abbagliandoci con la sua luce arancione! Essendo una stella in stato avanzato della sua evoluzione, essa possiede anche una certa quantità di bario che, al contrario, non è presente in stelle di sequenza principale; essa ha infatti da tempo terminato il processo di fusione dell'idrogeno in elio, convertendo ora quest’ultimo in elementi più pesanti come carbonio ed ossigeno. A circa 30” d’arco da Altarf, è presente una debole nana rossa di quattordicesima grandezza che sembra condividerne il moto proprio rispetto alle stelle fisse di fondo; fosse una reale compagna fisica, essa disterebbe da Altarf almeno 2600 U.A. ma, considerata l'enorme distanza, il periodo orbitale dovrebbe allora aggirarsi attorno ai 76.000 anni, un tempo troppo lungo per qualsiasi riscontro diretto!


Poco più a nord vi è però l’astro più conosciuto agli astrofili di questa plaga celeste: ζ Cnc, di nome Tegmen (dall’arabo, “la corazza del granchio”). La sua fama è dovuta al fatto di essere una tra le più belle stelle multiple alla portata di telescopi amatoriali! Il primo a risolverla come doppia fu J.T. Mayer nel 1756 mentre 25 anni più tardi W. Herchel notò la terza componente; il figlio J. Herschel notò il moto perturbato di quest’ultima, cosa che indusse O.W. Struve a postulare l’esistenza di una quarta componente in seguito effettivamente osservata con i telescopi. Il sistema di Tegmen consiste quindi in quattro stelle, tutte nane gialle di sequenza principale molto simili al Sole. Le componenti di ζ¹ Cancri sono denominate ζ Cancri A e ζ Cancri B, rispettivamente di magnitudine +5,58 e +5,99; separate da circa 0,8” d’arco, esse completano un'orbita ogni 59,3 anni. E’ quindi necessario un potente telescopio per risolverle anche se la loro separazione aumenterà fino al massimo previsto nel 2020.


Le componenti di ζ² Cancri sono denominate ζ Cancri C e ζ Cancri D. ζ Cancri C è la più luminosa delle due, splendendo di magnitudine +6.12 mentre ζ Cancri D è di magnitudine 10. Quest’ultima appare più rossa delle altre componenti e potrebbe in effetti essere costituita da una coppia ravvicinata di due nane rosse; la separazione fra C and D è di circa 0,3” d’arco e il loro periodo orbitale di 17 anni e la sua estrema debolezza e la ridotta separazione sono le probabili cause della mancata osservazione diretta.


Circa 8° a nord di γ vi è ι Cnc, una stella gialla di quarta grandezza, distante 298 anni-luce; si tratta in realtà di una doppia fisica costituita da due stelle tra loro in netto contrasto cromatico. ι Cnc A è una gigante brillante gialla, di magnitudine 4,02 la cui classe spettrale è stata variamente classificata come G8Iab, G7,5IIIa o G8II; possiede una temperatura superficiale di 5000 K, una massa 3,5 volte quella solare e una luminosità circa 215 volte la luminosità solare. Essa è già evoluta in quanto è l’elio che viene fuso nel suo nucleo; la sua età è stimata in circa 260 milioni di anni e, almeno fino ad un milione di anni fa, essa doveva essere una stella bianco-azzurra di sequenza principale di classe B. ι Cnc B è invece una stella bianca di sequenza principale di classe spettrale A3V di magnitudine 6,57, dalla temperatura superficiale 8800 K; possiede una massa appena superiore a quella del Sole e una luminosità 16 volte quella della nostra stella. Le due stelle sono apparentemente separate da 30,6” d’arco ma la reale distanza tra esse è attualmente paria a 2.800 UA; il moto orbitale indica un periodo di almeno 65.000 anni!


Mentre ι Cnc individua la chela settentrionale del granchio celeste, quella meridionale è segnata da α Cnc, chiamata in passato Al Zubanah (dall’arabo, “le chele”); oggi più propriamente nota col nome proprio Acubens, essa è in realtà al terzo posto in ordine di luminosità tra gli astri della costellazione (magnitudine apparente 4,25) nonostante il Bayer le attribuì la lettera α qualificandola, quindi, come la più luminosa. Si tratta di una stella di classe spettrale A5m di sequenza principale, prettamente bianca quindi, lontana 174 anni-luce. La denominazione Acubens A porta a comprendere che si tratta di una doppia, la cui duplice natura è stata scoperta grazie ad una occultazione lunare; le componenti sono separate soltanto da 0,1” d’arco e ognuna delle due è 23 volte più luminosa del Sole, con massa doppia. Ad 11,3” d’arco da essa è presente una stella di undicesima magnitudine, nota come Acubens B, che però non ha mostrato, nello scorrere degli anni, la benché minima variazione nella separazione; tuttavia, si sospetta che anch’essa possa essere un sistema doppio.



...continua

mercoledì 24 febbraio 2016

M78, LA PIU' LUMINOSA NEBULOSA A RIFLESSIONE

Messier 78 è la più luminosa nebulosa a riflessione dell’intera volta celeste ed una tra le 500 oggi conosciute, tutte presenti nella porzione della Via Lattea che contiene il Sole, il cosiddetto “braccio di Orione”. L’immagine qui presente, ripresa al telescopio MPG/ESO di 2.2 metri presso l’osservatorio cileno di La Silla, è il risultato della combinazione diverse esposizioni monocromatiche ottenute attraverso filtri blu, gialli/verdi e rossi e da quello che isola la sola luce dell’idrogeno.




Con il termine “nebulosa a riflessione” si intende una serie di nubi composte da polveri interstellari che riflettono la luce di una o più stelle, solitamente luminose e calde, situate nelle loro immediate vicinanze. In alcuni casi, l'energia di queste non è infatti sufficiente a ionizzare il gas presente al fine di rendere la nebulosa del tipo “ad emissione”, risplendente cioè di luce propria; tuttavia, tale energia è sufficiente affinché vi sia uno “scattering”, ovvero una diffusione della luce ma da parte della polvere li presente. Pertanto, lo spettro mostrato dalle nebulose a riflessione è simile a quello delle stelle che le illuminano, così come il loro colore.

M 78 è parte di un gruppo più vasto di nebulose facenti parte del cosiddetto “complesso nebulare di Orione”, che comprende NGC 2064, NGC 2067 e NGC 2071, lontane più o meno 1600 anni-luce da noi. HD 38563A e HD 38563B, due giganti azzurre di decima grandezza, sono le responsabili della colorazione della nebulosa stessa, la cui reale estensione è pari a circa 4 anni-luce; al suo interno, sono presenti circa 45 stelle variabili di pre-sequenza del tipo “T Tauri”, circa una ventina di oggetti Herbig-Haro. fa parte del complesso nebuloso molecolare di Orione e non è che un frammento del gas presente in questa regione, illuminato da stelle vicine.

venerdì 19 febbraio 2016

SN 2010da E LE "SUPERNOVAE IMPOSTORI"

Chi tra gli appassionati di Astronomia si diletta nella ricerca di supernovae in lontane galassie, spesso si imbatte in veri sussulti emozionali nel momento in cui, analizzando con attenzione le immagini riprese dai sensori applicati ai telescopi, viene notata l’anomala presenza di una stella che prima non c'era, stagliata proprio sulla galassia fotografata o nelle sue immediate vicinanze. Ad attenti controlli effettuati su immagini di più vecchia data, riprese da telescopi per lo più professionali, quanto al momento ritenuto una supernova risulta poi essere una cosiddetta regione HII (aree nebulari dove le stelle nascono) o, in casi ancor più eccezionali, un asteroide prospetticamente in transito davanti alla galassia; certamente, qualcosa di ben diverso da quanto sperato.

Non di rado simili abbagli capitano anche ai professionisti allorché nelle immagini riprese con grandi telescopi impegnati in surveys per lo studio di lontane galassie vengono rilevate stelle che, almeno a prima vista, appaiono a tutti gli effetti come reali supernovae ma che in realtà hanno una natura ben diversa. Queste raggiungono, infatti, picchi di luminosità assoluta compresi tra le magnitudini -11 e -14, valori ben più deboli delle comuni supernovae di tipo II ma che comunque le portano ad diventare, seppur per breve periodo, le stelle più luminose presenti all'interno delle loro galassie. A ben vedere, anche le linee spettrali esibite appaiono notevolmente più strette rispetto a quanto riscontrato nelle supernovae di tipo II, la qual cosa indica che la velocità del gas in espansione - ovvero, gli strati della stella esterni al nucleo andati distrutti nell’esplosione - è realisticamente più bassa rispetto a queste ultime.

La galassia a spirale NGC 3184 con la "supernova impostore" SN 2010dn

A seguito di tali proprietà, si ritiene che queste “supernovae impostori” - questo il termine attribuito a tale categoria - siano in realtà stelle massicce che subiscono brevi ma intensissime fasi di instabilità nella loro evoluzione, particolarità che le conduce a perdere una parte considerevole della loro massa nell'immane parossismo esplosivo che le caratterizza: una classe di nova espremamente potenti, quindi, che però non va incontro a distruzione così come accade per le supernovae. Mere sopravvissute ad immane catastrofe.

Eta Carinae è l'esempio di supernova impostore più vicina e meglio studiata: una cosidetta “variabile blu luminosa” altamente irregolare e dalla massa almeno 90 volte quella del nostro Sole! Normalmente di sesta grandezza, nel 1843 la sua luminosità apparente aumentò a tal punto da rivaleggiare con la stessa Sirio (!): in quell'evento, noto come “la grande eruzione”, la stella emise una quantità di materiale gassoso 10 volte la massa del Sole, evento che ne fece perdurare la luminosità, pur ridotta ma ben superiore alla media, per altri 15 anni! Un altro esempio di supernova impostore presente nella nostra galassia è sicuramente P Cygni mentre, in altre galassie, simili comportamenti sono stati esibiti da oggetti transienti che hanno nella propria nomenclatura proprio il termine “SN”, guardacaso ad indicare una supernova: SN 1961V, SN 1954J, SN 1997bs, SN 2006jc, SN 2008s e SN 2010dn. Quest’ultima è venuta recentemente alla ribalta in quanto un team di ricercatori dell’università di Washington guidato da Breanna Binder ha elaborato un modello che spiegherebbe efficientemente lo scenario relativo a questo oggetto.

Andiamo però per ordine. Nel maggio 2010 un astronomo dilettante sudafricano scoprì una supernova nella galassia a spirale NGC 300, una “vicina di casa” lontana 7 milioni di anni-luce, nell'immagine seguente ripresa dai telescopi ESO:



Come noto, le supernovae si rendono visibili per brevi periodi, raggiungendo il picco di luminosità in brevissimo tempo per poi declinare e scomparire nel giro qualche settimana. Eppure, diversi mesi dopo la sua apparizione, SN 2010da era ancora visibile con i telescopi professionali: fatto non poco anomalo questo, poiché nel medesimo periodo di tempo una classica supernova di tipo II sarebbe già svanita! Ma la vera chicca venne fuori quattro mesi più tardi quando il telescopio spaziale Chandra rilevò, proprio laddove apparve SN 2010da, una quantità di raggi X almeno 100 volte più potente di quella esibita da ogni stella di questo tipo! Cosa, quindi, assolutamente fuori luogo, sia per una comune supernova che per un “impostore”.

La galassia NGC 300 (Scl) con, cerchiata, SN 2010da

Per spiegare quindi l’intensa luminosità X di SN 2010da ne venne ipotizzata la natura binaria: due astri quindi, le cui mutue interazioni gravitazionali avrebbero innescato l’outburst osservato. Secondo questo modello, le emissioni X sarebbero prodotte dalla presenza di nubi gassose o di polvere nei pressi del sistema binario: il surriscaldamento prodotto dal contatto con la corona delle due stelle, infatti, avrebbe quindi prodotto le emissioni X. Tale modello costruito a tavolino, spiegava si la natura dei raggi X ma non l’enorme quantità osservata.

Quando stelle massicce esplodono dando vita a classiche supernovae di tipo II, i loro nuclei non vengono distrutti come il resto di esse ma si tramutano in oggetti collassati ed ultra densi quali stelle di neutroni o buchi neri. Ora, emissioni X così potenti da parte di stelle di neutroni sono state effettivamente osservate e lo stesso Hubble Space Telescope ha confermato nel 2014 la presenza di una stella di neutroni nel sistema di SN 2010da, che quindi risulta effettivamente doppio.

Nell'immagine ottenuta dal telescopio spaziale Hubble, SN 2010da è cerchiata in verde mentre l'emissione X è indicata dalla croce bianca.

Il fatto che l’esplosione della stella poi divenuta quella a neutroni non abbia espulso l’altra componente - a differenza di quanto accade nelle stelle cosiddette “fuggitive” - la cui massa è valutata attorno alle 20 - 25 volte il Sole, rende SN 2010da un sistema binario veramente inusuale. Ma come è possibile che una certa stabilità sia rimasta? A tal fine, Binder e il suo team hanno evidenziato come, studiando l'età delle stelle presenti nella stessa regione di SN 2010da, si è rilevato che la maggior parte di queste si crearono a seguito di due episodi di “starburst”, il primo accaduto almeno 30 milioni di anni fa, il più recente meno di 5 milioni di anni fa; la stella di neutroni non avrebbe potuto formarsi nel più antico dei due poiché una stella massiccia, per divenire stella di neutroni, impiega solo 5 milioni di anni. E poiché osservazioni della galassia nella banda X effettuate nel 2007 e nel 2008 non rilevarono alcuna emissione in quella banda spettrale nella posizione di SN 2010da, è stato quindi ritenuto che i raggi X osservati per la prima volta nel 2010 possano essere stati prodotti allorché il materiale gassoso espulso dalla compagna, la supernova impostore appunto, sia andato ad impattare contro la potentissima magnetosfera e corona della stella di neutroni.

Un sistema complesso, colto in un evento "al posto giusto nel momento giusto" e per la prima volta osservato.

domenica 14 febbraio 2016

EVOLUZIONE STELLARE E FORMAZIONE DEGLI ELEMENTI CHIMICI - parte 1

EVOLUZIONE NELLA STABILITA'

Anche se qualcuno il titolo sopra potrà forse ricordare slogan elettorali di partiti politici progressisti, in realtà esso descrive con molta precisione il comportamento del maggior parte delle stelle, la cui evoluzione passa proprio attraverso periodi lunghissimi (da milioni a miliardi di anni!) di stabilità durante i quali valori delle principali grandezze stellari quali massa, raggio, luminosità e temperatura superficiale si mantengono costanti. Chi si interessa di astronomia ben conosce la categoria delle stelle cosiddette "variabili intrinseche", la cui luminosità, raggio e temperatura variano periodicamente, con pulsazioni oscillanti attorno ad un certo valore medio, con periodo costante caratteristico per una singola stella o per un gruppo di stelle di questo tipo.

Relativamente al Sole, che per molti aspetti è una piccola, uguale a molte altre presenti nella cosiddetta "sequenza principale del diagramma HR", è noto che tale periodo di stabilità perdura del almeno da 1 miliardo di anni. A questo risultato, al contrario di quanto verrebbe da pensare, non sono pervenuti gli astronomi quanto i geologi; ad essi, infatti, si deve la scoperta di alghe fossili vecchie almeno 1 miliardo di anni e, perché queste potessero svilupparsi, la temperatura sulla Terra di allora non doveva differire più di 20° C dalla quella attuale: ciò porta quindi a concludere che la luminosità del Sole si è mantenuta praticamente costante nell'ultimo 1 miliardo di anni!

Una evidenza dell'estrema lentezza con cui variano le condizioni fisiche delle stelle proviene dallo studio di quel tipo di variabili pulsanti chiamate "cefeidi". Le osservazioni hanno infatti mostrato che i loro periodi di pulsazione, determinabili con assoluta precisione, variano nel tempo così lentamente che sono necessari almeno 1 milione di anni affinché tali variazioni siano apprezzabili: in altre parole, le condizioni interne delle cefeidi, che ne determinano le pulsazioni, rimangano invariate per almeno 1 milione di anni! E' chiaro che tale valore, che a noi appare enormemente lungo, è in realtà un periodo assai breve nelle scale temporali cosmiche, tanto da essere comparabile con le scale temporali geologiche. Se ammettiamo, infatti, che la vita attiva di un astronomo, dalla sua laurea alla pensione, duri almeno 50 anni, è allora evidente che 1 milione di anni, nello specifico, corrispondono a 2 x 10^5 vite attive di un astronomo, confronto che rende benissimo l'idea di quanto le scale temporali dell'evoluzione stellare differiscano da quelle con cui solitamente misuriamo le vicende terrene! Non è certo, questa, una novità; ma è bene anche quantificare la cosa, sempre che l'immaginazione umana riesca a "visualizzare" il valore "2 x 10
^5"...




Come già accennato, in questo quadro di stabilità non mancano però le eccezioni che costituiscono, poi, alcuni dei fenomeni più interessanti presenti nel Cosmo!


SUPERNOVAE

Tra queste, senz'altro le supernovae: stelle che, giunte nelle fasi finali della loro evoluzione, esplodono, liberando nello spazio spaventose quantità di energia (10^49 – 10^50 erg), espellendo una notevole frazione della loro massa; al momento di tale esplosione, la luminosità delle supernovae cresce di miliardi di volte - tanto da rendersi visibili in lontanissime galassie a distanze prossime a quelle dell'Universo osservabile! - per poi decrescere lentamente nel corso di alcuni mesi. Le supernovae si possono raggruppare in due tipi che differiscono fra loro sia per una serie di parametri quali massa ed età della stella al momento dell'esplosione, massa espulsa ed energia liberata durante l'esplosione che per la forma dello spettro esibito.



Tra le più studiate supernovae apparse nella Via Lattea figura certamente quella che apparve nella costellazione del Toro. E' nota con precisione la data dell'apparizione (giugno 1054) grazie alle cronache degli astronomi cinesi e giapponesi i quali - diligentemente come erano soliti fare, pena la testa - annotarono la presenza inconsueta di una stella "ospite", il cui splendore superava quello di Venere tanto da essere visibile, per alcune settimane, anche in pieno giorno, indebolendosi poco a poco nei mesi successivi. Esattamente la dove quegli astronomi orientali notarono la posizione di quella stella ospite è oggi visibile una nebulosa, per la cui singolare forma le è stato dato il nome di "nebulosa del granchio". I gas di cui essa è formata si espandono alla velocità di ben 1500 km/s; oltre questo, è nota anche con precisione la sua distanza da noi, pari a 6500 anni-luce! Simulazioni ai calcolatori rilevano che durante l'esplosione di questa supernova venne liberata tanta energia quanto ne potrebbero liberare 1024 bombe termonucleari che esplodessero contemporaneamente. La nebulosa del granchio è quindi traccia di una catastrofe cosmica di proporzioni colossali, avvenuta circa nel 5400 a.C.




La nebulosa del granchio e un oggetto che ha riservato molte sorprese, studiato in quasi tutto lo spettro elettromagnetico, dai raggi X alle onde radio e ad essa sono stati dedicati interi libri nonché numerose conferenze internazionali. E' naturale però chiedersi cosa sia rimasto della stella progenitrice, esplosa così fragorosamente. La risposta arrivò nel 1967, allorché al centro della nebulosa del granchio venne individuata una sorgente che emetteva (e continua sempre ad emettere) radiosegnali periodici di brevissima durata, esattamente ogni 0,033 secondi! Oggetti di questo tipo sono chiamati "pulsar", stelle composte esclusivamente da neutroni, con diametri davvero irrisori, prossimi ai 10 km, ma dalla densità spaventosa, pari a 10
^15 g/cm^3: superiore, quindi, alla densità della materia nei nuclei atomici. Tali stelle sono, inoltre, in rapida rotazione sul proprio asse. 


Altre supernoavae famose sono quelle osservate nel 1572 da Tyco Brahe e nel 1604 da Keplero ma dopo quest'ultima nella nostra galassia non è comparsa più alcuna supernova. Ciò non significa necessariamente che non siano esplose altre; esse potrebbero, ad esempio, non essere state visibili causa l'assorbimento interstellare o perché esplose nell'area della Galassia diametralmente opposta alla nostra posizione. Lo studio dei residui di supernovae conosciuti e l'osservazione delle innumerevoli supernovae in altre galassie a spirale simili alla nostra porta a concludere che l'intervallo di tempo fra due successivi eventi di questo tipo sia più o meno di 50 anni; c'è quindi una probabilità del 50% che almeno una supernova galattica possa apparire nella Via Lattea ed essere a noi visibile.

Altri oggetti il cui comportamento è "anomalo" rispetto al quadro di stabilità offerto dalla maggioranza delle stelle sono le novae e le variabili erratiche, fenomeni meno eclatanti delle supernovae ma delle quali è doveroso parlare.


NOVAE

Nelle novae, così come nelle supernovae, si verificano fenomeni esplosivi sia pur dimensioni notevolmente inferiori. Durante l'esplosione di una nova, la luminosità dell'oggetto aumenta centinaia di volte e viene liberata una quantità di energia che si aggira attorno ai 10
^45-10^48 erg. In seguito all'esplosione, gli strati più esterni di una nova si staccano da essa, facendo perdere alla stella una quantità di materia pari al 10^-4 - 10^-5 M☉, con conseguente formazione di un apparato nebulare attorno ad esse che si dissolve nel tempo. A differenza delle supernovae, le novae sono molto più frequenti e possono esplodere anche ripetutamente.





VARIABILI ERRATICHE

Quanto alle variabili erratiche, si tratta di stelle la cui luminosità varia così irregolarmente che è possibile stabilire qualche norma. Per alcune di esse, come ad esempio le variabili del tipo "T Tauri", la luminosità apparente può variare molto rapidamente (anche 1 magnitudine in 1 ora!) così come assai lentamente (0,1 magnitudini in 24 ore), definendo una curva di luce (grafico che riporta la luminosità apparente in funzione del tempo) assai complessa; la variabilità di queste stelle è quasi sicuramente associata alla contrazione gravitazionale che precede l'entrata nella "sequenza principale del diagramma HR".



WOLF - RAYET

Alcuni oggetti, infine, subiscono modifiche irreversibili del loro stato fisico in tempi relativamente lunghi. Questo, ad esempio, il caso delle stelle cosiddette stelle "Wolf-Rayet", tra le più calde conosciute; i loro spettri mostrano che dalle loro atmosfere fuoriesce continuamente e in cospicua quantità del materiale gassoso tanto che, in un solo anno, una stella di questo tipo può arrivare perdere anche 10^-6 - 10^-5 M☉. Proprio da questo è facile dedurre che le Wolf-Rayet sono stelle molto giovani. Poiché infatti, la massa di una stella di questo tipo si aggira attorno alle 10 M☉ (risultato ottenuto osservando le Wolf-Rayet che fanno parte dei sistemi binari), il tempo di permanenza di una stella nella fase Wolf-Rayet non può superare qualche milione di anni, piccolissimo quando comparato all'età del Sole che è vecchio di almeno 5 miliardi di anni.


venerdì 12 febbraio 2016

LIGO: PRIMA OSSERVAZIONE DIRETTA DELLE ONDE GRAVITAZIONALI!

Nel 1915 Einstein propose una nuova teoria, la cosiddetta "relatività generale", faceva della gravitazione non una “forza” dal raggio d’azione infinito, come precedentemente affermato da Newton, quanto la diretta conseguenza della curvatura dello spazio-tempo indotto da masse ed energia in esso contenute. Tra le varie previsioni di quella nuova teoria vi era quella circa un fenomeno, chiamato “onde gravitazionali”, increspature del tessuto spazio-temporale prodotte da masse accelerate e che si sarebbero propagate alla velocità della luce, allo stesso modo come elettroni accelerati in un'antenna producono onde elettromagnetiche. La differenza tra questi due tipi di onde è che quelle elettromagnetiche viaggiano attraverso lo spazio, quelle gravitazionali sono in realtà un mero disturbo della struttura dello spazio che si propaga nel tempo.


La forza gravitazionale è però estremamente più debole di quella elettromagnetica; un protone e un elettrone, ad esempio, si attraggono con una forza gravitazionale che è 10^39 volte più debole di quella elettrica, la qual cosa porta a capire quanto le onde gravitazionali siano deboli e difficili da rilevare!

Il nostro pianeta, ad esempio, nel suo moto attorno al Sole emette onde gravitazionali che provocano una perdita di energia il cui effetto è quello di ridurre il raggio dell'orbita terrestre; tale perdita è però così irrilevante che sarebbe necessario un tempo ben più lungo della stessa vita del Sole perché la Terra vi possa precipitarci sopra! Un fenomeno catastrofico quale l'esplosione di una supernova nella Via Lattea produrrebbe un'onda gravitazionale dalla brevissima durata di 1/1000 di secondo e il cui effetto sulla Terra sarebbe quello di provocare l'oscillazione della distanza tra due corpi distanti 1 m l'uno dall'altro pari a 1/1.000.000.000 del diametro di un atomo! Stando così le cose, non vi è pertanto da meravigliarsi se per molti anni la rivelazione delle onde gravitazionali è stata considerata una causa persa, tanto che il solo Joseph Weber venne ricordato come l’unico vero ricercatore “fuori dal coro” interessato nel rilevare tale estremo fenomeno della natura, purtroppo senza alcun risultato.

Dove ricercare le onde gravitazionali?
Per anni, l’attenzione è stata focalizzata su sistemi binari formati da pulsar, vicinissime tra loro in rapida rivoluzione l’una attorno all’altra. Una pulsar è una stella di neutroni animata da rapido moto di rotazione che emette un fascio di radiazione elettromagnetica stretto e intenso, rotante insieme alla pulsar stessa come il fascio di un gigantesco faro. Le pulsar colpiscono quindi la Terra a intervalli regolari, alla pari del ticchettio di un orologio; osservazioni dettagliate di questi impulsi regolari possono essere utilizzate per stabilire cosa succede nell'orbita della pulsar. Studi accurati eseguiti da Joseph Taylor e dal suo collaboratore Russel A. Hulse sulla pulsar binaria PSR 1913+16 mostrarono che le orbite delle de stelle si avvicinano con velocità che è lecito aspettarsi se tale sistema binario emettesse onde gravitazionali (esattamente in accordo con la teoria della relatività generale di Einstein): una prova indiretta dell’esistenza delle onde gravitazionali, quindi, che ad ogni modo valse il Nobel nel 1993 ai due ricercatori.

Nel 2014 vi fu l’annuncio, da parte di astronomi dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge dell’individuazione del “marchio” di onde gravitazionali primordiali nella polarizzazione della radiazione cosmica di fondo. Prova indiretta, questa, anche dell’inflazione cosmica. La polarizzazione nella radiazione cosmica di fondo dovrebbe essersi generata tramite l'interazione tra le onde gravitazionali primordiali e la radiazione a microonde stessa ma tale rilevazione. Tuttavia le affermazioni vennero smentite l’anno seguente allorché ricercatori dell'ESA, utilizzando il satellite Planck congiuntamente ai dati ottenuti da BICEP2, affermarono che rimuovendo l'emissione della polvere galattica la prova della rilevazione indiretta delle onde gravitazionali primordiali non affatto più così solida.

Ma è quindi possibile rilevare direttamente le onde gravitazionali?
Magari quelle prodotte in sistemi di pulsar binarie o, addirittura, di “buchi neri binari”? Teoricamente, si. E proprio a tal fine agiscono due osservatori a rilevazione interferometrica, entrambi chiamati LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory). Di cosa si tratta? Nello Stato di Washington, ad Hanford, e nella Louisiana, a Livingstone (a 3000 chilometri ca di distanza l’uno dall’altro) si trovano due impianti, ciascuno formato da due bracci lunghi circa 4 km e ortogonali tra loro, uniti in modo da formare due gigantesche L. Alle estremità di entrambe le L sono posizionati dei grandi specchi e un fascio laser di grande intensità percorre entrambi i bracci avanti e indietro; questi fasci laser sono sincronizzati in maniera così precisa al punto che, quando essi si incontrano all'angolo, si ha un'interferenza ottica del tipo “distruttivo”: in altre parole, le creste delle onde di luce provenienti da un braccio coincidono con i denti dell'onda provenienti dall'altro braccio così che i segnali si cancellano.



Ora, LIGO è stato progettato al fine che, nel momento di essere “investito” da onde gravitazionali, queste indurrebbero la contrazione di uno dei due bracci e l’estensione dell'altro; in tale scenario, le creste e i ventri delle due onde non si combinerebbero più in maniera precisa, la qual cosa comporterebbe la mancata cancellazione dei due segnali, producendo diversi livelli di interferenza distruttiva e costruttiva al passare delle onde: in altri termini, la somma dei due fasci produrrebbe un segnale rilevabile e derivato dalla distorsione dello spazio-tempo esercitato da un'onda gravitazionale in transito! Tra l’altro, se la lunghezza d'onda della luce è molto piccola, le ondulazioni formate della creste e dai ventri di ciascuna onda diverrebbero così fitte al punto che un minimo spostamento tra le creste della prima onda e i ventri della seconda verrebbe subito rilevato!


Esattamente quanto accaduto: i due interferometri LIGO hanno infatti misurato un ritardo nella rilevazione di tale segnale; per l’esattezza, di soli 6,9 millisecondi! La frequenza di questo segnale ha oscillato rapidamente, passando da 35 Hz fino a 250 Hz in brevissimo tempo, divenendo presto caotica per poi sparire di colpo! Mai nulla di simile era stato registrato prima d’ora! Questo evento, in realtà, non è recente ma accadde lo scorso 14 settembre 2015; la scoperta è stata annunciata solo dopo accurate analisi e contro riprove; curiosamente, questo segnale sia stato rilevato in un test di prova…circostanza certamente fortuita, ma indiscrezioni trapelate confermerebbero la rilevazione di altri segnali di questo tipo sempre catturati da LIGO.

I bracci a L di Ligo sono stati progettati per rilevare variazioni della loro lunghezza fino a 10^-16 cm, una grandezza spaventosamente piccola, equivalente a circa 1/100.000.000 del diametro di un atomo di idrogeno! In realtà, è facile intuire che minime variazioni della lunghezza dei bracci di LIGO (proprio degli ordini di grandezza appena accennati) potrebbero essere causate da altri fenomeni locali e del tutto ordinari quali, ad esempio, microsismi, onde marine di particolare intensità che si abbattono sulla costa USA del Pacifico e su quella del Golfo del Messico come anche la ben più modesta caduta di un albero nelle vicinanze. Tuttavia, gli scienziati sono in grado di scremare con notevole precisione altri “contributi” imputabili a sorgenti che non siano onde gravitazionali.

I segnali restanti, quindi, sono quelli dovuti proprio al passaggio di onde gravitazionali le cui lunghezze d'onda, dell'ordine di qualche chilometro, sono confrontabili con quelle dei bracci ad L di ciascun interferometro. Per inciso, la lunghezza delle onde gravitazionali create dalla fusione di buchi neri o da pulsar binarie va da qualche metro fino a qualche miliardo di anni-luce!

Una volta rilevata l’onda gravitazionale è lecito chiedersi da cosa essa sia stata prodotta.
Utilizzando supercomputers per ricostruire la forma dell'onda registrata, è parso chiaro che essa si è formata a seguito di un evento tra i più estremi dell’Universo, qualcosa finora solo ipotizzato ma del quale, finalmente, si ha prova dell’esistenza: la fusione di due buchi neri!

Si tratta di veri e propri “cadaveri” di ciò che una volta erano due stelle massicce, tra loro gravitazionalmente legate in mutua orbita. I due buchi neri in questione, dalla massa stimata in 36±5 e 29±4 volte quella del Sole, si sarebbero avvicinati sempre più tra loro causa la loro estrema forza di attrazione gravitazionale, la cui conseguente perdita di energia orbitale avrebbe prodotto onde gravitazionali di intensità esponenzialmente crescente. Avvicinandosi sempre più tra loro, questi due buchi neri avrebbero raggiunto velocità orbitali pari a metà di quella della luce, qualcosa di veramente incredibile: lo scontro e la loro conseguente fusione finale (che avrebbe prodotto un ulteriore buco nero da almeno 62 masse solari) avrebbe quindi generato quantità di energia inimmaginabili tali da distorcere il tessuto spazio-temporale circostante proprio sotto forma delle onde gravitazionali recepite da LIGO.



Sull’esatta controparte ottica dell’evento, purtroppo non si può dire nulla; l’unica cosa certa è che tale estremo fenomeno sarebbe accaduto in una parte del cielo australe prospetticamente non lontana dalle due Nubi di Magellano ma ben più lontana di esse, a circa 1,3 miliardi di anni-luce!

La rilevazione diretta di onde gravitazionali è uno dei passi più importanti della fisica, uno dei caposaldi della della relatività generale, ampiamente dimostrata da LIGO a 100 anni esatti da quando Einstein la pubblicò.