venerdì 13 maggio 2016

HD 162826, LA "SORELLA" DEL SOLE

Chi si intende di Astronomia sa bene come la nascita di sistemi stellari, individuali o multipli, sia stretta prerogativa dei numerosi, enormi complessi nebulari sparsi lungo le braccia spirale della nostra galassia, la Via Lattea; il tasso di formazione in una galassia a spirale come la nostra e dalla massa simile dovrebbe aggirarsi, tra l'altro, con un tasso di formazione che dovrebbe aggirarsi attorno alle 8-10 nuove stelle all'anno.

Queste nubi, chiamate genericamente "nebulose", sono costituite da gas e polveri sono in realtà residuo di enormi stelle già esistite e ormai da tempo in colossali esplosioni chiamate “supernovae”, eventi distruttivi ed altamente energetici che, oltre a disperdere nel cosmo il materiale che costituiva la stella, costituiscono la fucina per gli elementi più pesanti del ferro tra quelli che popolano l'Universo; questi, infatti, non esistono in natura se non sintetizzati proprio dalle altissime temperature raggiunte nel corso di queste brevi ma energetiche deflagrazioni stellari. Il Sole e tutto il corteo di corpi minori al suo seguito quali i pianeti e i loro satelliti, le fasce di asteroidi e le comete, è nato circa 4,5 miliardi di anni fa proprio da una di queste nebulose prodotte da una antica supernova; dall’epoca della sua nascita, quindi, la nostra stella si muove lungo un’ampia orbita attorno al nucleo galattico, percorsa in circa 250 milioni di anni, ragione per la quale essa ha da lungo tempo abbandonato l’area nebulare da cui prese vita.

Certamente, sarebbe interessante sapere se vie è ancora traccia, in qualche luogo del disco galattico, della grande nebulosa protosolare da cui è nato il Sole; una ricerca certamente non facile da intraprendere ne tanto meno da portare facilmente a termine. E' però senz’altro fattibile che, così come accade per le altre stelle che osserviamo nascere in comunità nelle nebulose, anche il Sole abbia in realtà delle "sorelle" nate assieme ad esso: in altre parole, esisterebbe una stella, o forse anche più d'una, nella Via Lattea nata dalla stessa incubatrice nebulare e nella stessa epoca.

Ma come scovarla tra le migliaia, anzi, miliardi di stelle che popolano la nostra galassia? Sembrerebbe, a rigor di logica, un impresa al di fuori di ogni portata. Eppure un team di ricerca sembrerebbe aver individuato una possibile metodologia di ricerca. Il “criterio di selezione” adottato dal team di ricerca guidato da I. Ramirez, astronomo dell’Università del Texas a Austin, prevede lo studio sistematico di un certo campione di stelle "simili" al Sole per composizione chimica e temperatura e il cui movimento nello spazio al contrario la condurrebbe ad un comune "punto radiante" con il moto del Sole.

Ebbene, i dati di questa ricerca, basata su un database contenente dati su 100 mila stelle, indicano che una stella di sesta grandezza (non visibile ad occhio nudo ma reperibile con l’ausilio di un modesto binocolo) presente nella costellazione di Ercole e nota con la sigla HD 162826 “potrebbe”, a tutti gli effetti, essere nata dalla stessa nebulosa protosolare che avrebbe dato origine al Sistema Solare. Stessero davvero così le cose, allora è logica conseguenza ipotizzare che anche essa potrebbe avere il suo corteo di pianeti, forse anche simili alla nostra Terra. In realtà, parlando in termini prettamente fisici, HD 162826 è simile al Sole ma non esattamente uguale al punto da poter essere considerata la sua stella “gemella”: pur essendo uguali le abbondanze di elementi rari quali bario e ittrio, la sua massa eccede il corrispettivo solare di almeno il 15% ed anche la sua temperatura superficiale è maggiore, seppur di poco.

La posizione di HD 162826 nella costellazione di Ercole

Per poterla trovare con il binocolo, è sufficiente rivolgere l’attenzione alla coppia di stelle θ e ι Her, situate nella parte orientale della vasta costellazione; a circa 1/3 del percorso in direzione di quest’ultima, è presente un terzetto di stelle di quinta-sesta grandezza: la più occidentale e debole delle tre è proprio la probabile sorella del Sole, HD 162826. Provate a cercarla nelle notti senza Luna: chissà, magari da un pianeta in orbita attorno a quella debole stella, altri telescopi potrebbero essere rivolti verso noi...

mercoledì 11 maggio 2016

I MISTERI DI KIC 8462852

Non capita spesso di leggere pubblicazioni scientifiche che parlino di civiltà extraterrestri dall’avanzatissima tecnologia per spiegare il bizzarro comportamento luminoso di alcune stelle.

Eppure la cosa è accaduta proprio sul noto The Astrophysical Journal - la rivista di ricerca più importante al mondo dedicata agli sviluppi, alle scoperte e alle teorie in ambito astronomico e astrofisico – con un articolo edito da alcuni ricercatori nel quale veniva proposta addirittura la presenza di una megastruttura artificiale di origine extraterrestre in orbita attorno ad una stella! Questa ed altre ipotesi proposte da vari gruppi di ricerca sono state smentite, rendendo KIC 8462852 una delle stelle più misteriose sinora studiate. Ma vediamo cosa è successo.

Innanzitutto, KIC 8462852 è una stella di sequenza principale di classe F che splende di magnitudine 11,7, proiettata nella costellazione del Cigno circa a metà tra Deneb (α Cyg) e δ Cyg, da noi lontana 1480 anni-luce.

La posizione di KIC 8462852

L’area celeste nella quale è apparentemente proiettata è proprio quella che è stata tenuta sotto osservazione dal telescopio spaziale Kepler, ideato per rilevare esopianeti seguendo proprio le oscillazioni di luce di altre stelle.

Ebbene, nell’autunno 2016 un articolo pubblicato su un portale per le news astronomiche da parte dell’astronoma Tabetha Boyajian riportava che il gruppo Planet Hunter – dedito alla ricerca di esopianeti tramite i dati rilevati da Kepler – aveva rilevato per KIC 8462852 decine di cali non periodici, di scarsa intensità ma che avvengono con elevata frequenza, sia due cali più profondi alternati da circa 750 giorni: in particolare, il primo di questi aveva ridotto la luminosità della stella del 15% mentre il secondo fino al 22%!

I bruschi ed asimmetrici cali di luce mostrati da KIC 8462852, rilevati da Kepler

Tenendo conto delle dimensioni di questa, un pianeta delle dimensioni pari a quelle di Giove ne oscurerebbe il disco di una porzione pari all'1%; la qual cosa, tradotta in altri termini, significa che qualunque oggetto ne intercetti la luce riducendone di luminosità non è quindi un pianeta ma di qualcosa che copre fino a metà del diametro della stella! Purtroppo, a causa dell'avaria di parti meccaniche del telescopio spaziale, non fu più possibile osservare la predetta riduzione di luminosità del ciclo di 750 giorni nell’aprile 2015. Di certo, stando alla classe spettrale della stella, le sue variazioni di luminosità non posso essere attribuite ad una sua effettiva variabilità intrinseca; proprio per questo motivo, venne quindi ipotizzato che la causa possa essere materiale in orbita attorno ad essa. Nessuna delle ipotesi fatte spiega i dati osservati.

T. Boyajian e il suo gruppo di ricerca ritengono che la spiegazione più plausibile a spiegare l’inusuale comportamento fotometrico della stella di Tabby (nomignolo attribuitole dal nomignolo della stessa astronoma, “Tabby”) potesse dovuto alla presenza di una nube più o meno consistente di comete in orbita attorno alla stella; a supportare tale scenario, la presenza di una nana rossa a “sole” 885 UA (ovvero 132 miliardi di km) da KIC 8462852, che avrebbe quindi influenzato la nube di Oort propria di quella stella allo stesso modo di come la fantomatica stella Nemesis agirebbe sulla nube di Oort avvolgente il nostro Sistema Solare, inviando di tanto in tanto bordate di comete verso il suo interno. Tale ipotesi venne ad ogni modo scartata dal momento in cui è inverosimile come una nube di comete, pur densa, possa produrre una riduzione del 22% della luminosità osservata della stella.

Rappresentazione artistica di una pioggia di comete su KIC 8462852

Un'altra proposta dallo stesso team proponeva la presenza di planetoidi tra loro entrati in collisione; il materiale prodotto dalla loro frammentazione avrebbe dovuto creare una polvere “calda”, rilevabile nell’infrarosso, ma poiché nessun eccesso in questa lunghezza d’onda è stato osservato da Spitzer Space Telescope e dal Wide-field Infrared Survey Explorer, anche questa ipotesi venne infine scartata. Sulla falsariga di questa, l’astronomo Jason Wright, consultato proprio dalla Boyajian, suggerì in un follow-up che se la stella è più giovane di quanto fino ad allora creduto, allora essa potrebbe avere ancora del materiale gassoso attorno ad essa; anche in questo caso, uno studio spettroscopico a 0,8-4,2 micron condotto tramite il NASA Infrared Telescope Facility non riscontrò alcuna prova di materiale coalescente presente entro poche unità astronomiche della stella.

Da li a poco, nell’ottobre 2015, lo stesso Jason Wright ipotizzò che i cali di luminosità della stella potessero essere quindi prodotti da una megastruttura artificiale, realizzata da una civiltà aliena: extraterrestri, quindi, che avrebbero costruito una cosiddetta “sfera di Dyson”, una struttura ipotetica che una civiltà avanzata potrebbe costruire attorno a una stella per intercettarne parte della luce per coprire il fabbisogno energetico. I radiotelescopi del SETI, da subito puntati verso la stella per ricercare eventuali emissioni radio provenienti da vita extraterrestre intelligente, hanno comunque fornito esiti negativi. Ad alimentare ancora una volta l’attenzione sull’ipotesi “aliena” fu uno studio eseguito da Bradley E. Schaefer, astronomo alla Louisiana State University, nel quale veniva annunciato che la stella era calata di quasi il 20% nella luminosità apparente negli ultimi cento anni: a suo dire, gli alieni di quel sistema, erano tecnologicamente così avanzati da costruire gradualmente delle megastrutture giganti che assorbivano quantità di energia crescenti dalla stella con il passare del tempo!

Rappresentazione artistica di anello e sfera di Dyson

Alla fine, anche questa ipotesi, degna di un bellissimo film di fantascienza, venne però smentita da due gruppi di ricercatori che, indipendentemente l’uno dall’altro, erano giunti alla medesima considerazione: il primo composto da tre ricercatori delle università Vanderbilt nel Tennessee e di Lehigh nella Pennsylvania, il secondo formato da un astrofilo tedesco e un dottorando NASA. Entrambi i gruppi, che iniziarono a collaborare tra loro, misero in evidenza (con un articolo nuovamente pubblicato sull’Astrophysical Journal) come le variazioni di luce riscontrate su KIC 8462852 a partire dagli anni ’60 del secolo scorso (per tali studi, venne infatti utilizzato l’enorme database DASCH, consistente in 500 mila e più lastre di vetro fotografiche riprese ad Harvard tra il 1885 e il 1993) fossero ugualmente riscontrate su un grandissimo numero di altre stelle: le variazioni di luce non erano quindi intrinseche della stella bensì dovute al cambio di strumentazione utilizzata per riprendere le lastre!

Anche se alla fine non c‘era bisogno di scomodare scenari alieni da fantascienza per spiegare la cosa, i cali di luminosità osservati da Kepler sono comunque reali e di sicuro non è un esopianeta a produrli, visto che le eclissi da questi apportati su stelle inducono cali simmetrici nelle curve di luce, di certo non anomali come quelli osservati. Al momento, tutte le ipotesi fatte sono risultate vane e la causa circa l’anomala variabilità della stella resta un mistero.