domenica 9 novembre 2014

"L'AMMASSO STELLARE DELLA IADI" / "THE HYADES STAR CLUSTER"



Alti nel cielo occidentale di prima sera in questo periodo, due dei più importanti ammassi stellari conosciuti attraggono l’attenzione dell'osservatore - anche inesperto - che volge la sua attenzione verso la costellazione del Toro: si tratta delle Pleiadi e delle Iadi. Anche se Charles Messier incluse solo il primo di questi due ammassi nel suo famoso catalogo di oggetti celesti piu o meno "abbordabili", le Iadi hanno sempre rivestito una grandissima importanza in Astronomia; sono infatti note fin dai tempi preistorici e se ne trova citazione nelle opere di autori classici: ma, soprattutto, le stelle che per i greci erano figlie di Atlante e sorellastre delle Pleiadi hanno rivestito una grandissima importanza nella comprensione dei meccanismi che governano la morfologia e l’evoluzione degli ammassi stellari del tipo “aperto”. Principalmente perché, di tale categoria, le Iadi sono a noi quello in assoluto più vicino. Ma andiamo per ordine.


Stando alle stime attuali, la Via Lattea, ovvero la nostra galassia, conterrebbe un numero spropositato di stelle, forse anche superiore a 400 miliardi di unità, disperse a grandi distanze le une dalle altre. Tutte queste stelle non sono nate nello stesso periodo, seppur in epoche diverse, dal gas interstellare che contiene principalmente idrogeno ed elio. Detto questo, sarebbe stato forse quasi impossibile riuscire a capire le proprietà e l'evoluzione delle stelle se alcune di esse non fossero raggruppate in ammassi, proprio come le Iadi o le Pleiadi. E il motivo è presto detto.

Tutte le componenti di un ammasso stellare possono essere considerate come poste alla medesima distanza da noi osservatori. Proviamo, adesso, a considerare due stelle appartenenti allo stesso ammasso stellare, immaginando che una delle due sia, ad esempio, quattro volte più luminosa dell'altra; il fatto che entrambe le stelle si trovino alla stessa distanza assicura che la differenza di luminosità percepita sia unicamente intrinseca e non dovuta, cioè, al fatto che la stella meno luminosa si trova d'una distanza superiore rispetto a quella più luminosa: studiando quindi un ammasso, dove le stelle sono localizzate alla medesima distanza dalla Terra, esse possono essere facilmente classificate in base alla loro luminosità apparente che però, in questo caso, riflette proprio quella intrinseca. Tra l’altro, un ulteriore proprietà degli ammassi stellari è che le stelle loro appartenenti sono nate tutte nello stesso momento e danno quindi la stessa età. Con ogni probabilità, le nubi di gas dalle quali si formano gli ammassi stellari aperti come le Iadi hanno composizione omogenea, proprietà che si riflette sul contenuto chimico delle stelle che quindi hanno tutte lo stesso mix di elementi; se si riuscissero a determinare con precisione le età di molti ammassi stellari, si avrebbe un ottimo quadro di come è cambiata la composizione del gas interstellare durante la vita della Via Lattea: infatti, proprio come le stratificazioni di roccia mostrano la storia geologica della Terra, così gli ammassi stellari offrono un campionario di stelle situato nella Galassia che è sempre in continua evoluzione. Sfortunatamente gli ammassi stellari non sono, geologicamente parlando, “ordinati in successione” attorno a noi, ragione per la quale è certamente non facile disporli nel giusto "ordine".

Esistono due categorie di ammassi stellari: quelli detti “globulari”, dalla forma più o meno sferica, sono situati in una sorta di alone attorno al rigonfiamento galattico, anche se molti di essi penetrano all’interno della Via Lattea; sono composti da migliaia o, addirittura, milioni, di stelle vecchie diversi miliardi di anni, la cui composizione chimica è generalmente priva di metalli. Al contrario, gli ammassi composti da stelle giovani, generalmente più piccoli e con un minor numero di componenti - proprietà, questa, che conferisce loro forme non definite - sono detti ammassi “aperti”. Al contrario dei globulari, gli ammassi di questo ultimo tipo sono sparsi nel disco galattico e non nell'alone. In ermini astrofisici, il più importante esempio tra questi ultimi è sicuramente l’ammasso delle Iadi. Queste sono apparentemente centrate sulla luminosa stella Aldebaran, che segna l’occhio sinistro del grande Toro celeste. Si trovano ad una distanza di 150 anni-luce da noi, valore che attribuisce a questo ammasso stellare il record di essere quello più vicino; la vicinanza lo rende così esteso da coprire ben 8° sulla volta celeste, ben 16 volte il diametro apparente della Luna. Data la loro vicinanza, le stelle delle Iadi appaiono ben distanziate le une dalle altre, motivo per il quale C. Messier non classificò come un ammasso nel suo famoso catalogo.Per la loro vicinanza, le Iadi sono state la prima pietra sulla quale vennero costruiti i parametri per misurare la distanza dagli ammassi stellari ma non solo: allo stesso modo, infatti, venne dedotta anche la distanza di galassie lontane e, alla fine, le dimensioni dello stesso Universo. Come? La distanza di degli ammassi può essere misurata utilizzando un metodo, quello “degli ammassi in moto”, estremamente semplice e che si basa su considerazioni puramente geometriche. Questo metodo si basa sul fatto che tutte le stelle dell'ammasso si muovono più o meno con velocità uguali e traiettorie parallele. Tutte le Iadi, infatti, si muovono rispetto al Sole con una velocità di circa 45 km/s; i moti individuali, l'uno rispetto all'altro, hanno velocità minori di 0,75 km/s: in altre parole, fossero dei soldati appartenenti ad una legione, potremmo dire che sono molto disciplinati avendo, tuttavia, una leggera propensione ad uscire dall'inquadramento. Muovendosi parallelamente l'una all'altra, le traiettorie delle Iadi, per puro effetto di prospettiva, sembrano tendere verso un singolo punto, proprio come i binari ferroviari sembrano convergere in un punto all'orizzonte o una pioggia di meteore che proviene da un radiante. Il punto sulla volta celeste dove il moto delle Iadi sembra apparentemente convergere si trova non lontano dalla luminosa Betelgeuse (Alpha Orionis).

La distanza del punto verso cui un ammasso stellare come le Iadi sembra convergere si trova comparando il suo moto angolare con la sua vera velocità nello spazio; il primo viene determinato varie fotografie ad intervalli di anni e misurando le variazioni astrometriche di ogni singola stella mentre la misurazione della vera velocità nello spazio comporta la misurazione della componente della velocità lungo la linea visuale (velocità radiale) che si ottiene moltiplicando la velocità radiale per la tangente dell'angolo tra l'ammasso e il punto di convergenza. Proprio questo metodo, fondato sul movimento dell'ammasso, è stato applicato alle Iadi ma anche alla cosiddette "correnti in moto" (come quella dell'Orsa Maggiore), la cui velocità non può essere misurata con metodi diretti. Una volta identificato il punto di convergenza delle Iadi, si può quindi stimare con accuratezza la distanza di ogni stella dell'ammasso. Le distanze di ammassi stellari simili sono state trovate mettendo in relazione le stelle di un certo ammasso con i corrispettivi membri simili presenti nelle Iadi, assumendo quindi che le stelle che hanno le stesse proprietà, ovvero gli stessi spettri, hanno anche la stessa luminosità intrinseca: dal confronto tra la luminosità apparente e la luminosità intrinseca, attraverso le Iadi è possibile stimare la distanza di qualunque ammasso stellare. Prendendo come riferimento le Iadi, è quindi possibile estendere la scala delle distanze astronomiche ad altri ammassi stellari nella nostra e in altre galassie più distanti.

Le Iadi sono anche usate come punto di riferimento per lo studio della composizione chimica degli ammassi stellari. Gli astronomi spesso si riferiscono agli ammassi stellari indicandoli come più o meno ricchi di metallo (generalmente, si intendono così tutti gli elementi, escludendo l'idrogeno e l’elio) proprio rispetto alle Iadi. Ciò perché, essendo molto vicine e quindi molto luminose, tali stelle sono state studiate a fondo dal punto di vista dell'evoluzione stellare. Le Iadi furono uno dei primi due ammassi stellari ad essere studiato dall’astronomo E. Hertzsprung all'inizio del secolo scorso; egli, infatti, si accorse che per le stelle in un ammasso esistevano solo determinate combinazioni di luminosità e colore, proprietà di tutte le stelle. L’altro ammasso stellare oggetto del suo studio fu quello delle altrettanto vicine Pleiadi. L’astronomo danese rifletté sul fatto che tra queste non figuravano stelle rosse di una certa luminosità mentre le Iadi ne contenevano quattro; il motivo, tuttavia, fu presto evidente. Le Iadi sono almeno dieci volte più vecchie delle Pleiadi, tanto che alcune delle stelle hanno esaurito il loro idrogeno, bruciando adesso l’elio: in termini evolutivi, queste sono hanno già abbandonato la “sequenza principale” del diagramma HR. In aggiunta, poiché nelle Iadi sono state reperite almeno sei nane bianche, gli astronomi deducono che alcune delle stelle di questo ammasso hanno completamente esaurito il loro combustibile nucleare.

La maggior parte degli ammassi stellari del tipo “aperto” si sfaldano in meno di 50 milioni di anni dopo la fase di formazione stellare, processo noto come "evaporazione". Solo quelli formati da stelle estremamente massicce e che orbitano lontano dal centro galattico possono evitare tale sfaldamento in tempi prolungati. Stando a ciò, molto probabilmente le Iadi contenevano una popolazione di stelle assai maggiore quando l’ammasso era molto giovane; stime sulla massa originaria delle Iadi la determinano tra 800 e 1600 volte la massa del Sole, il che implica la passata presenza di un gran numero di stelle. Teoricamente, un giovane gruppo di queste dimensioni dovrebbe dare vita a stelle e oggetti substellari di tutti i tipi spettrali, da massicce stelle di tipo O fino a fredde nane brune. Tuttavia, studi compiuti sulle Iadi dimostrano che in tale ammasso non esistano stelle ne dell’uno ne dell’altro tipo tra quelle situati agli estremi limiti di massa. Avendo un’età di 625 milioni di anni, il turn-off della sequenza principale delle Iadi è di circa 2,3 masse solari: in altre parole, tutte le stelle più pesanti si sono già evolute in subgiganti, giganti o nane bianche mentre quelle meno massicce continuano tutt’ora la fusione dell'idrogeno.

Ma quali stelle popolano le Iadi? Specifichiamo, innanzitutto, che la luminosa Aldebaran è solo prospetticamente stagliata sulle Iadi; distando infatti "solo" 65 anni luce, chiaramente non ne è membro. Detto questo, nel cuore dell'ammasso sono state rilevate in tutto 8 nane bianche, ovvero il prodotto finale di stelle dei primi tipi spettrali ciascuna con massa circa 3 volte quella solare. Lo stadio evolutivo precedente è invece rappresentato dalla presenza di quattro giganti rosse di tipo spettrale K0 con massa circa 2,5 volte quella del Sole. Una gigante bianca di tipo A7 è la componente primaria del sistema binario θ² Tau, che include un compagna meno massiccio ma sempre di tipo spettrale A; questa coppia è associata a θ¹ Tau, una delle quattro giganti rosse di cui sopra e che possiede un compagna stretta di tipo A. Tra i membri restanti dell’ammasso sono comprese numerose stelle luminose di tipo spettrale A (almeno 21), F (circa 60) e G (circa 50); tutte queste stelle sono concentrate più densamente all'interno il raggio gravitazionale delle Iadi, che equivale a circa 32,6 anni-luce. In confronto, entro un raggio di 32,6 anni-luce dal Sole sono presenti solo 4 stelle di tipo A, 6 di tipo F e 21 di tipo G. Nonostante la vicinanza dell’ammasso e i numerosi studi compiuti su di esso, il grande corteo di stelle di massa inferiore che lo popolano - principalmente tipo spettrale K e M - rimane poco conosciuto; almeno una cinquantina sono nane di tipo K mentre il numero delle nane rosse di tipo M dovrebbe eccedere di poco la dozzina, poche delle quali sono oltre il tipo spettrale M3. Una dozzina risultano essere anche le nane brune finora rilevate. Tale carenza nella parte inferiore del range di massa contrasta fortemente con la distribuzione di stelle entro 32 anni-luce dal Sole, dove giacciono almeno 240 nane rosse di tipo M, ovvero il 76 % di tutte le stelle presenti nel vicinato solare.

La distribuzione dei tipi stellari nelle Iadi mostra chiaramente una sorta di segregazione delle componenti. Infatti, con la sola eccezione delle nane bianche, entro 6,5 anni-luce dal centro dell’ammasso sono presenti solo sistemi stellari dalla massa superiore a quella solare. Tale concentrazione di stelle pesanti conferisce alle Iadi la complessa struttura osservata anche ad occhio nudo, con un nucleo definito da luminosi sistemi stellari ravvicinati e una sorta di alone costituito, al contrario, da stelle ampiamente separate tra loro, moltissime delle quali appartenenti ai tardi spettrali. Il raggio della regione centrale delle Iadi è di 8,8 anni-luce (poco maggiore della distanza tra il Sole e Sirio) mentre il raggio entro il quale è concentrata metà della massa totale dell’ammasso è di 18,6 anni-luce; infine, il raggio gravitazionale, equivalente a ben 32,6 anni-luce, rappresenta il limite esterno al di la del quale ogni oggetto non è più legato alle Iadi. Lo sfaldamento avviene nell'alone, laddove stelle piccole sono proiettate verso lo spazio esterno da coinquilini molto più massicci; dall’alone, queste possono quindi essere perse a causa di forze mareali esercitate dal nucleo galattico o dalla collisione con nubi di idrogeno alla deriva: in tal modo, le Iadi hanno probabilmente perso gran parte della loro popolazione di nane di tipo M originaria, assieme a un numero considerevole di altre componenti luminose.

Un altro risultato della segregazione di massa è la presenza di sistemi binari nel nucleo delle Iadi; infatti, più di metà delle stelle di tipo F e G conosciute appartengono proprio a sistemi binari situati nella regione centrale. Come nel vicinato solare, la natura binaria aumenta proporzionalmente all’aumentare della massa. La frazione di sistemi binari nelle Iadi aumenta dal 26% tra stelle di tipo K fino 87% tra stelle di tipo A. I sistemi binari presenti nelle Iadi tendono ad avere piccole separazioni, con la maggior parte di tali coppie disposte su orbite comuni con semiasse maggiore inferiore a 50 Unità Astronomiche. Sebbene l'esatto rapporto tra membri singoli e multipli rimane incerto, esso ha notevoli implicazioni nella comprensione della popolazione dell’ammasso: alcuni, ad esempio, indicano in circa 200 il numero di componenti delle Iadi ma se la frazione composta da sistemi binari è del 50%, allora la popolazione totale dell’ammasso salirebbe ad almeno 300 singole stelle.

Alcune ricerche indicherebbero che il 90 % degli ammassi aperti si sfalda in meno di 1 miliardo di anni dopo la formazione mentre solo una piccola frazione sopravvive per tempi molto più lunghi. Nel corso dei prossimi milioni di anni le Iadi continueranno a perdere contemporaneamente sia la massa totale che i membri di appartenenza dal momento in cui i suoi membri più luminosi evolveranno al di fuori della sequenza principale e le sue stelle più deboli si allontaneranno dall’ammasso. Molto probabilmente, tra qualche migliaio d'anni, le Iadi rimaste saranno solo una dozzina, la maggior parte delle quali saranno sistemi binari o multipli, che in ogni caso rimarranno vulnerabili alle forze dissipative incontrate lungo la loro orbita attorno al nucleo galattico.Allorché volgerete lo sguardo verso il grande Toro celeste pronto a scagliarsi con tutta la sua forza contro il cacciatore Orione, osservate pure l'abbagliante luce giallo arancione della stella che ne segna l'occhio, Aldebaran, ma non dimenticate di contemplare le Iadi e la grande mole di informazioni date da quelle stelle che ne segnano il muso, a noi così vicine al punto da mostrare la loro bellissima ma effimera coesione anche al solo occhio nudo.


(Foto / Picture by Alson Wong)




High in the western sky on early Autumn's evenings, two of the most important known star clusters attract the stargazer’s attention - even the inexperienced one - that hit attention turns to the constellation Taurus: this is the Pleiades and the Hyades. Although Charles Messier included only the first one of these two clusters in his famous catalog of celestial objects, the Hyades have always played a great importance in Astronomy. They have been known since prehistoric times and have been mentioned in the works of classical authors; but, above all, those stars that for the Greeks were the daughters of Atlas and half-sisters of the Pleiades have played a great importance in understanding the mechanisms that govern the morphology and evolution those type of star clusters called "open". Mainly because, of such a category, the Hyades are closest one. But let’s have a deeper look.

According to current estimates, the Milky Way, or our galaxy, contains a disproportionate number of stars, perhaps even more than 400 billion units, scattered at great distances from each other. All these stars were not born in the same period but at different times, each of them by the interstellar gas containing primarily hydrogen and helium. That said, it might have been almost impossible to understand the properties and evolution of stars if some of them were not grouped in clusters, just as the Hyades and the Pleiades. And the reason is obvious.

All the components of a star cluster can be considered to be at the same distance from us as observers. Let us now consider two stars in the same star cluster, figuring that one of them is, for example, four times more bright than the other one; the fact that both the stars are the same distance ensures that the difference in perceived brightness is only intrinsic and not due to the fact that the star is less bright for a distance greater than the brightest: studying then a star cluster, where the components are thus localized at the same distance from Earth, they can easily be classified according to their apparent brightness which, however, in this case, reflects exactly the intrinsic one. Among other things, a further property of a star cluster is that the stars belonging to it were all born at the same time and so they have the same age. It is likely that the gas clouds from which open star cluster as the Hyades are formed have homogeneous composition, a property which is reflected in the chemical content of the stars so that all have the same mixture of elements; if you were able to accurately determine the age of many star clusters, you would have a good picture of how it has changed the composition of the interstellar gas over the life of the Milky Way: in fact, just as a series of layers of rock show the geological history of earth, so the star clusters provide a sample of stars located in the galaxy evolution. Unfortunately star clusters are not, geologically speaking, "ranked in succession" around us, the reason for which is, in any case, certainly not easy to arrange them in the right order.


There are two types of star clusters: those known as "globular", with a more or less spherical shape, are set in a sort of halo around the galactic bulge, although many of them penetrate the Milky Way’s disc; they are composed of thousands, or even millions, of stars several billion years old, whose chemical composition is, generally, very poor of metals. On the contrary, open clusters are composed by young stars; they are generally smaller, having a smaller number of components - property which gives them not well defined shapes – the reason why they are called as "open". In contrast to the globular clusters, they are scattered in the galactic disk. The most important example of the latter type is precisely the Hyades cluster. As seen from Earth, they are apparently centered on the bright star Aldebaran, which marks the left eye of the great bull of the heavens. They are actually located at a distance of 150 light-years from us, the value it attaches to this cluster the record of being the closest; proximity makes it so extended as to cover as many as 8° on the sky, 16 times the apparent diameter of the Moon! Given their proximity, the stars of the Hyades are well spaced from each other, which is why Charles Messier did not classify as a cluster like many others in his famous catalog.

Because of their proximity, the Hyades were the foundation stone on which were built the parameters to measure the distance from the star clusters, but not only that: the one of external galaxies too and, at the end, the size of the universe itself. In fact, the distance of the clusters can be measured using a method that is called "clusters in motion", extremely simple and which is based on purely geometrical considerations. This method relies on the fact that all the stars move more or less with equal speed and parallel trajectories. All Hyades, in fact, move from the Sun with a speed of about 45 km / s; the individual motions, relative to one another, have lower speed of 0.75 km/s: in other words, if they were soldiers belonging to a legion, we could say that they are very disciplined having, however, a slight propensity to drift away. Moving parallel to each other, the trajectories of the Hyades, for pure effect of perspective, seem to tend towards a single point, just like the railroad tracks appear to converge at a point on the horizon or a meteor shower that comes from a celestial radiant . The point on the celestial sphere where the motion of the Hyades is apparently converge is located not far from the bright star Betelgeuse (Alpha Orionis).

The distance of the point at which a star cluster like the Hyades seems to converge is comparing its angular velocity with its real speed into space; the first one is determined by several photographs at intervals of years and measuring astrometric changes of every single star while the measurement of the true speed in space involves the measurement of the velocity component along the line of sight (radial velocity) that is obtained by multiplying the radial velocity for the tangent of the angle between the cluster and the point of convergence. Such a method, based on the motion of the cluster, was applied to the Hyades but also to the so-called moving clusters such as the Ursa Major one, whose speed can not be measured by direct methods. Once the point of convergence of the Hyades was identified, the distance of each star of the cluster have been estimated. The distances of star clusters like this one are found by comparing the stars in a cluster with the corresponding similar members present in the Hyades, thus assuming that the stars that have the same properties or the same spectra, they also have the same intrinsic brightness: by comparing the apparent brightness and luminosity, through the Hyades it is so possible to estimate the distance of any star cluster! Taking as reference the Hyades, it is possible to extend the scale of astronomical distances to other star clusters in our galaxy and in other more distant.

The Hyades are also used as a point of reference for the study of the chemical composition of star clusters. Astronomers often refer to such clusters by highlighting them as more or less rich in metal (a term usually meant as the whole elements but hydrogen and helium) than the Hyades themselves. This is because these stars, being very close and so very bright, have been thoroughly investigated for understanding stellar evolution. The Hyades were one of the first two star clusters to be studied by the astronomer E. Hertzsprung at the beginning of the last century; indeed, he realized that for the stars in a cluster, there were only certain combinations of brightness and color properties of all stars. The other star cluster object of his study were the Plejades, even close; the Danish astronomer noticed that red stars of a certain brightness were not present among these stars while the Hyades contained four; the reason, however, became evident soon: the Hyades are at least ten times older than the Pleiades, so much so that some of the stars have exhausted their hydrogen while burning helium at present time: in evolutionary terms, these stars have already abandoned the "main sequence" of the HR diagram. In addition, as in the Hyades were found at least six white dwarfs, astronomers deduce that some of the stars of this cluster have completely exhausted their nuclear fuel.

Most of open star clusters flake off in less than 50 million years after their formation, a process known as "evaporation". Only those cluster formed from extremely massive stars that orbit far from the galactic center can avoid this disintegration in a long time. According to that, it is likely that the Hyades contained a much greater number of stars when they were very young; some estimates of the original mass give a result between 800 and 1600 times the mass of the Sun, which leads to a large number of stars in the past. Theoretically, a young group of this size should give birth to stars and substellar objects of all spectral types, from massive O-type stars to cool brown dwarfs. However, studies on the Hyades show that there are no stars in this cluster of neither the opposite sizes of mass. Given the Hyades an estimated age of 625 million years, the turn-off of the main sequence is about 2.3 solar masses: in other words, all the heavier stars have already evolved subgiants, giants or white dwarfs while less massive still continue the fusion of hydrogen.But which stars populate the Hyades? We must specify, first, that the bright Aldebaran is only prospectively silhouetted on the Hyades; it is distant "only" 65 years light, clearly not a member. That said, in the heart of cluster were detected an amount of eight white dwarfs, which is the end product of the first stars of spectral types each with a mass about 3 times that of the Sun. The previous evolutionary stage is represented by four red giants of spectral type K0 with a mass about 2.5 Sun masses. A giant white type A7 is the primary component of the binary system known as θ² Tau, which includes a less massive companion but always of spectral type A; this pair is associated with θ¹ Tau, one of the four red giants above and who has a close companion of type A. Among the remaining members of storage includes several bright stars of spectral type A (at least 21), F (about 60) and G (about 50); all these stars are most densely concentrated within the gravitational radius of the Hyades, which is equivalent to approximately 32.6 light-years. In comparison, within a radius 32.6 light-years from the Sun are only 4 stars of type A, 6 F-type and 21 G-type. Despite the cluster's proximity and numerous studies on it, the great procession of stars with mass less that populate it - mainly spectral type K and M - is little known; at least, fifty dwarfs are type K and the number of M-type red dwarfs go beyond just the dozen, a few of which are beyond the spectral type M3. A dozen turn out to be even brown dwarfs found so far. This deficiency in the lower mass range contrasts sharply with the distribution of stars on within 32 light-years from the Sun, where they lie at least 240 M-type red dwarf, or 76% of all the stars in the solar neighborhood.

The distribution of stellar types in the Hyades clearly shows a kind of segregation of the components. In fact, with the exception of white dwarfs within 6.5 years-light from the cluster's center are just star systems more massive than the Sun. This concentration of heavy stars gives the Hyades the complex structure observed with the naked eye, with a core defined by bright star systems close together and a sort of halo constituted, on the contrary, by stars widely separated from each other, many of which belong to late spectral types. The radius of the central region of the Hyades is 8.8 light-years (slightly greater than the distance between the Sun and Sirius) and the radius within which is concentrated half of the total mass of the cluster is 18.6 light-years; Finally, the gravitational radius, equivalent to 32.6 light-years is the outer limit beyond which every object is no longer linked to the Hyades. The breakup occurs in the halo, where small stars are projected to outer space by roommates much more massive; they may be lost by the halo due to tidal forces exerted by the Galaxy itself or by collision with hydrogen clouds adrift. By this way, the Hyades are likely to have lost much of their population of dwarf M-type original with to a considerable number of other light components.Another result of mass segregation is the presence of binary systems in the core of the Hyades; in fact, more than half of the F and G-type stars known belong to binary systems located in the central region. As in the solar neighborhood, the binary nature increases proportionally with increasing mass. The fraction of binary systems in the Hyades increases by 26% between K.type stars until 87% between those A-type. The binary systems present in the Hyades tend to have small separations, with most of these pairs arranged on orbits with a common axle shaft greater than 50 Astronomical Units. Although the exact relationship between individual members and multiple remains uncertain, it has important implications in the understanding of the cluster's population: some, for example, indicate the number of about 200 members of the Hyades but if the fraction is made ​​up of binary systems 50%, then the total population of storage would rise to at least 300 individual stars.

Some researches indicate that 90% of open clusters dissolve in less than 1 billion years after the formation and only a small fraction survives for much longer. Over the next few million years the Hyades will continue to lose at the same time both the total mass and the belonging stars as the brighter members will evolve outside of the main sequence and its fainter stars will fall away from storage. Most likely, between a few thousand years, the Hyades will be remained only a dozen, most of which will be binary or multiple systems, which, in any case, will remain vulnerable to dissipative forces encountered along their orbit around the galactic core.

When you look to the great celestial bull, ready to lash out with all his strength against Orion the hunter, admire the dazzling light yellow-orange star that marks its eye, Aldebaran, but do not forget to contemplate the Hyades and large amount of information given to us by those stars that mark the bull's head, so close to show their beautiful but short-lived cohesion even the naked eye.

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