venerdì 23 settembre 2016

MERAVIGLIE D'AUTUNNO PRESSO IL POLO GALATTICO SUD

Quella dello Scultore, visibile sull'orizzonte meridionale in questo periodo di prima sera, è una delle 13 costellazioni moderne introdotte dall'astronomo francese Nicolas-Louis de Lacaille al fine di commemorare i progressi della scienza e della tecnica nell'epoca dell'illuminismo. Tale figura apparve per la prima volta su mappe contenute nel Memories of the Royal Academy Sciences, edito nel 1756, con il nome di Apparatus Sculptoris ("lo studio dello scultore"). Certo è che, anche al di sotto di un cielo prettamente oscuro e sgombro da inquinamento luminoso, qualunque star-gazer avrà non poche difficoltà a percepire la forma di un banco da scultura nelle deboli stelle formanti la costellazione di cui solo sei aventi luminosità apparente superiore alla quinta grandezza; la più luminosa di queste è α Scl, di magnitudine 4,3, reperibile sotto la luminosa Diphda (β Cet).

La bellissima immagine qui di seguito ritrae l'oggetto "deep sky" più bello e noto presente nello Scultore, la galassia NGC253, detta "moneta d'argento" per la sua forma a moneta vista di 3/4, qui ripresa da Yuri Puzzoli in remoto con sole due esposizioni in L da 180 secondi ciascuna:



L'immagine qui di seguito, invece, è stata ripresa da Velimir Popov ed Emil Ivanov con un telescopio da 400 mm ad F/3,7 operante dai remoti ed oscuri cieli della Namibia, utilizzando una camera CCD Apogee Alta U-16M e sommando frames in LRGB per un tempo di esposizione totale pari a 8h e 40'! L'importanza dell'immagine sta nel ritrarre contemporaneamente il bellissimo duetto dello Scultore: oltre alla galassia, è qui infatti visibile l'apparentemente "vicino" ammasso globulare NGC288; certamente una visione veramente "profonda":



NGC253 è una galassia a spirale vista di 3/4, molto simile per aspetto a quella ben più famosa "di Andromeda"; essendo situata ad una declinazione pari a -25°, alle medie latitudini italiane si eleva di 20°-25° al transito al meridiano. Tuttavia, data la sua elevata magnitudine (7,8) integrata su un'area estesa per ben 27,5' x 6,8', essa è facilmente reperibile già con un binocolo del tipo 10x50; potessimo vederla ad occhio nudo, essa apparirebbe lunga come metà del disco lunare. Tali dimensioni apparenti, messe in relazione alla distanza di questo oggetto, stimata in circa 11,4 milioni di anni-luce, forniscono un valore per il suo reale diametro poco superiore ai 40 mila anni-luce. In altre parole, messa a confronto della nostra Via Lattea, la galassia dello Scultore sarebbe grande meno della metà.

Scoperta da C.Herschel nel 1783 mentre era col fratello alla ricerca di comete, la luminosa galassia dello Scultore venne descritta dall'astronomo A. Sandage (1961) come "prototipo di un sottogruppo particolare di sistemi del tipo SC", dove la sigla SC indica galassie a spirale con braccia alquanto aperte ma in realtà, NGC253 è una galassia a spirale del tipo barrato (SAB(s)c II) e con una netta distinzione tra la popolazione del disco e quella dell'alone, caratteristica, questa, ben visibile in questa foto. Anche se sembra essere un oggetto tutto sommato normale, il nucleo di NGC253 ha subito episodi esplosivi simili a quelli esibiti dalla nota galassia M82 dell'Orsa Maggiore e ad NGC4959 nel Centauro, anche se di entità meno violenta, dato che la maggiore velocità rilevata relativamente ai gas in allontanamento dalla regione nucleare è pari a "soli" 120 km/s. La regione nucleare, con un diametro di circa 500 anni-luce, contiene una grande quantità di polveri e gas mentre la sua parte più interna irradia quasi la metà dell'energia emessa dall'intera galassia, pari a 100 miliardi di volte quella emessa dal Sole; la galassia è infatti del tipo "starburst", presentando una vigorosa formazione stellare. Il nucleo emette la maggior parte della sua energia a lunghezze d'onda infrarosse, la qual cosa pone NGC253 al terzo posto nella graduatoria delle galassia infrarosse più luminose del cielo.


Qui di seguito, una bellissima immagine ripresa dal Telescopio Spaziale Hubble (NASA/ESA) dove è possibile notare in estremo dettaglio la regione nucleare di NGC 253: l'area inquadrata, che ricopre un'estensione di soli 1.000 anni luce (!), mostra violenti episodi di formazione stellare, evidenziati proprio dall'eccesso di radiazioni infrarosse indotte dalla presenza delle polveri calde qui visibili:


Con una distanza stimata in circa 11,4 milioni di anni-luce, NGC253 non è lontana dal centro del cosiddetto "gruppo dello Scultore", quello più vicino al nostro "Gruppo Locale" di galassie; essa è anche la più vicina tra le galassie "starburst" ad oggi note.

Riporto qui di seguito una mia vecchia fotografia di NGC253, un mosaico del 2003 di tre singole pose da 60 secondi ciascuna riprese da Trieste con un CCD Starlight MX716 applicato ad un telescopio da 300 mm di diametro ad F/10:




Non lontano dalla galassia, circa 1,8° a sud-est, si trova il bellissimo ammasso globulare NGC288, scoperto da W.Herschel nel 1785. Tale oggetto, pur lontano 28 mila anni-luce, è legato gravitazionalmente alla Via Lattea (...così come tutte le stelle di fondo presenti nell'immagine). Esso ha un basso gradiente di concentrazione e possiede un nucleo piuttosto esteso grande 3' e ben risolto, circondato da un anello di stelle che si estende fino ad 9'. Questo ammasso si trova a soli 37' a nord-est del Polo Sud Galattico, il punto proiezione sulla sfera celeste della linea retta che passa per il centro della nostra galassia e perpendicolare al disco galattico.

Nell'immagine qui di seguito, una bellissima ripresa effettuata dal Telescopio Spaziale Hubble che mette in evidenza il centro dell'ammasso globulare, nettamente risolto in stelle proprio a causa della bassa concentrazione del nucleo:


martedì 19 luglio 2016

COSTELLAZIONI SCOMPARSE E DOPPIE ESTIVE: IL TORO DI PONIATOWSKI E 70 OPHIUCHI

Tra i neofiti dell'astronomia, l'enorme costellazione di Ofiuco (o, meglio, del Serpentario), visibile proprio in questo periodo a Sud di prima sera, è nota esclusivamente per il fatto di essere la tredicesima costellazione zodiacale. Osservandone le fattezze ad occhio nudo da un luogo lontano dalle luci urbane e prestando soprattutto attenzione all'area subito a sud-est di Cebalrai (β Oph), si rende facilmente evidente un piccolo triangolo isocele (col vertice in basso) formato da stelle di quarta grandezza. La loro singolare disposizione, più quella di altre limitrofe ma più deboli, suggerì all'abate Martin Poczobut di riempire quel “vuoto” esistente - a duo dire - in quella zona (questa era, all'epoca, un'abitudine tra i cartografi celesti) creando una nuova, piccola costellazione che egli dedicò a Stanislao Poniatowski, re di Polonia: il Toro di Poniatowski. A tutti gli effetti, non è difficile riconoscere le fattezze di una testa taurina nelle stelle dell’ammasso Mel186 (il triangolo stesso ne fa parte), disposte a mò di V; osservate col binocolo, tali stelle ricordano molto le Iadi, queste ultime appartenenti - guarda caso - al ben più famoso Toro. Questa nuova costellazione non ebbe, tuttavia, gloriosa fortuna e fu presto dimenticata dai cartografi celesti.


Le stelle formanti la decaduta costellazione del Toro di Poniatowski, con la doppia 70 Ophiuchi e presso le quali è presente la famosa "stella di Barnard"



Atlante celeste riportante la costellazione del Toro di Poniatowski

Ebbene, relativamente alle stelle che una volta facenti parte di questa effimera figura (oggi appartenenti a quella di Ofiuco), quella che delinea l’angolo nord orientale del piccolo triangolo è 70 Ophiuchi, a mio modestissimo avviso una delle doppie più belle della volta celeste, particolarità dettata dal bellissimo contrasto cromatico delle due componenti; per riuscire a risolvere queste due stelle di magnitudine 4,2 e 5,9, separate attualmente da 5,4” d’arco, dovrebbero essere sufficienti 150 ingrandimenti. Lo spettacolo ad ingrandimento elevato è davvero eccezionale, con la più debole delle due che sfoggia una colorazione decisamente rossastra, contrastando il giallo vivido ed intenso della più luminosa.


Una bella immagine della doppia 70 Oph (foto: D.Peach)

Le due stelle, distanti da noi “solo” 16 anni-luce, impiegano poco meno di 88 anni per completare un’orbita attorno al comune centro di massa e tra pochi anni e nel corso dei prossimi anni saranno visibili sempre meglio poiché nel 2020 raggiungeranno la massima separazione angolare, 5,8" d'arco; il loro moto rende evidente alcune strane oscillazioni nello spazio che suggeriscono la presenza di un terzo oggetto, forse un pianeta di grandi dimensioni dalla massa almeno 10 volte quella di Giove.


Orbita di 70 Ophiuchi B

venerdì 13 maggio 2016

HD 162826, LA "SORELLA" DEL SOLE

Chi si intende di Astronomia sa bene come la nascita di sistemi stellari, individuali o multipli, sia stretta prerogativa dei numerosi, enormi complessi nebulari sparsi lungo le braccia spirale della nostra galassia, la Via Lattea; il tasso di formazione in una galassia a spirale come la nostra e dalla massa simile dovrebbe aggirarsi, tra l'altro, con un tasso di formazione che dovrebbe aggirarsi attorno alle 8-10 nuove stelle all'anno.

Queste nubi, chiamate genericamente "nebulose", sono costituite da gas e polveri sono in realtà residuo di enormi stelle già esistite e ormai da tempo in colossali esplosioni chiamate “supernovae”, eventi distruttivi ed altamente energetici che, oltre a disperdere nel cosmo il materiale che costituiva la stella, costituiscono la fucina per gli elementi più pesanti del ferro tra quelli che popolano l'Universo; questi, infatti, non esistono in natura se non sintetizzati proprio dalle altissime temperature raggiunte nel corso di queste brevi ma energetiche deflagrazioni stellari. Il Sole e tutto il corteo di corpi minori al suo seguito quali i pianeti e i loro satelliti, le fasce di asteroidi e le comete, è nato circa 4,5 miliardi di anni fa proprio da una di queste nebulose prodotte da una antica supernova; dall’epoca della sua nascita, quindi, la nostra stella si muove lungo un’ampia orbita attorno al nucleo galattico, percorsa in circa 250 milioni di anni, ragione per la quale essa ha da lungo tempo abbandonato l’area nebulare da cui prese vita.

Certamente, sarebbe interessante sapere se vie è ancora traccia, in qualche luogo del disco galattico, della grande nebulosa protosolare da cui è nato il Sole; una ricerca certamente non facile da intraprendere ne tanto meno da portare facilmente a termine. E' però senz’altro fattibile che, così come accade per le altre stelle che osserviamo nascere in comunità nelle nebulose, anche il Sole abbia in realtà delle "sorelle" nate assieme ad esso: in altre parole, esisterebbe una stella, o forse anche più d'una, nella Via Lattea nata dalla stessa incubatrice nebulare e nella stessa epoca.

Ma come scovarla tra le migliaia, anzi, miliardi di stelle che popolano la nostra galassia? Sembrerebbe, a rigor di logica, un impresa al di fuori di ogni portata. Eppure un team di ricerca sembrerebbe aver individuato una possibile metodologia di ricerca. Il “criterio di selezione” adottato dal team di ricerca guidato da I. Ramirez, astronomo dell’Università del Texas a Austin, prevede lo studio sistematico di un certo campione di stelle "simili" al Sole per composizione chimica e temperatura e il cui movimento nello spazio al contrario la condurrebbe ad un comune "punto radiante" con il moto del Sole.

Ebbene, i dati di questa ricerca, basata su un database contenente dati su 100 mila stelle, indicano che una stella di sesta grandezza (non visibile ad occhio nudo ma reperibile con l’ausilio di un modesto binocolo) presente nella costellazione di Ercole e nota con la sigla HD 162826 “potrebbe”, a tutti gli effetti, essere nata dalla stessa nebulosa protosolare che avrebbe dato origine al Sistema Solare. Stessero davvero così le cose, allora è logica conseguenza ipotizzare che anche essa potrebbe avere il suo corteo di pianeti, forse anche simili alla nostra Terra. In realtà, parlando in termini prettamente fisici, HD 162826 è simile al Sole ma non esattamente uguale al punto da poter essere considerata la sua stella “gemella”: pur essendo uguali le abbondanze di elementi rari quali bario e ittrio, la sua massa eccede il corrispettivo solare di almeno il 15% ed anche la sua temperatura superficiale è maggiore, seppur di poco.

La posizione di HD 162826 nella costellazione di Ercole

Per poterla trovare con il binocolo, è sufficiente rivolgere l’attenzione alla coppia di stelle θ e ι Her, situate nella parte orientale della vasta costellazione; a circa 1/3 del percorso in direzione di quest’ultima, è presente un terzetto di stelle di quinta-sesta grandezza: la più occidentale e debole delle tre è proprio la probabile sorella del Sole, HD 162826. Provate a cercarla nelle notti senza Luna: chissà, magari da un pianeta in orbita attorno a quella debole stella, altri telescopi potrebbero essere rivolti verso noi...

mercoledì 11 maggio 2016

I MISTERI DI KIC 8462852

Non capita spesso di leggere pubblicazioni scientifiche che parlino di civiltà extraterrestri dall’avanzatissima tecnologia per spiegare il bizzarro comportamento luminoso di alcune stelle.

Eppure la cosa è accaduta proprio sul noto The Astrophysical Journal - la rivista di ricerca più importante al mondo dedicata agli sviluppi, alle scoperte e alle teorie in ambito astronomico e astrofisico – con un articolo edito da alcuni ricercatori nel quale veniva proposta addirittura la presenza di una megastruttura artificiale di origine extraterrestre in orbita attorno ad una stella! Questa ed altre ipotesi proposte da vari gruppi di ricerca sono state smentite, rendendo KIC 8462852 una delle stelle più misteriose sinora studiate. Ma vediamo cosa è successo.

Innanzitutto, KIC 8462852 è una stella di sequenza principale di classe F che splende di magnitudine 11,7, proiettata nella costellazione del Cigno circa a metà tra Deneb (α Cyg) e δ Cyg, da noi lontana 1480 anni-luce.

La posizione di KIC 8462852

L’area celeste nella quale è apparentemente proiettata è proprio quella che è stata tenuta sotto osservazione dal telescopio spaziale Kepler, ideato per rilevare esopianeti seguendo proprio le oscillazioni di luce di altre stelle.

Ebbene, nell’autunno 2016 un articolo pubblicato su un portale per le news astronomiche da parte dell’astronoma Tabetha Boyajian riportava che il gruppo Planet Hunter – dedito alla ricerca di esopianeti tramite i dati rilevati da Kepler – aveva rilevato per KIC 8462852 decine di cali non periodici, di scarsa intensità ma che avvengono con elevata frequenza, sia due cali più profondi alternati da circa 750 giorni: in particolare, il primo di questi aveva ridotto la luminosità della stella del 15% mentre il secondo fino al 22%!

I bruschi ed asimmetrici cali di luce mostrati da KIC 8462852, rilevati da Kepler

Tenendo conto delle dimensioni di questa, un pianeta delle dimensioni pari a quelle di Giove ne oscurerebbe il disco di una porzione pari all'1%; la qual cosa, tradotta in altri termini, significa che qualunque oggetto ne intercetti la luce riducendone di luminosità non è quindi un pianeta ma di qualcosa che copre fino a metà del diametro della stella! Purtroppo, a causa dell'avaria di parti meccaniche del telescopio spaziale, non fu più possibile osservare la predetta riduzione di luminosità del ciclo di 750 giorni nell’aprile 2015. Di certo, stando alla classe spettrale della stella, le sue variazioni di luminosità non posso essere attribuite ad una sua effettiva variabilità intrinseca; proprio per questo motivo, venne quindi ipotizzato che la causa possa essere materiale in orbita attorno ad essa. Nessuna delle ipotesi fatte spiega i dati osservati.

T. Boyajian e il suo gruppo di ricerca ritengono che la spiegazione più plausibile a spiegare l’inusuale comportamento fotometrico della stella di Tabby (nomignolo attribuitole dal nomignolo della stessa astronoma, “Tabby”) potesse dovuto alla presenza di una nube più o meno consistente di comete in orbita attorno alla stella; a supportare tale scenario, la presenza di una nana rossa a “sole” 885 UA (ovvero 132 miliardi di km) da KIC 8462852, che avrebbe quindi influenzato la nube di Oort propria di quella stella allo stesso modo di come la fantomatica stella Nemesis agirebbe sulla nube di Oort avvolgente il nostro Sistema Solare, inviando di tanto in tanto bordate di comete verso il suo interno. Tale ipotesi venne ad ogni modo scartata dal momento in cui è inverosimile come una nube di comete, pur densa, possa produrre una riduzione del 22% della luminosità osservata della stella.

Rappresentazione artistica di una pioggia di comete su KIC 8462852

Un'altra proposta dallo stesso team proponeva la presenza di planetoidi tra loro entrati in collisione; il materiale prodotto dalla loro frammentazione avrebbe dovuto creare una polvere “calda”, rilevabile nell’infrarosso, ma poiché nessun eccesso in questa lunghezza d’onda è stato osservato da Spitzer Space Telescope e dal Wide-field Infrared Survey Explorer, anche questa ipotesi venne infine scartata. Sulla falsariga di questa, l’astronomo Jason Wright, consultato proprio dalla Boyajian, suggerì in un follow-up che se la stella è più giovane di quanto fino ad allora creduto, allora essa potrebbe avere ancora del materiale gassoso attorno ad essa; anche in questo caso, uno studio spettroscopico a 0,8-4,2 micron condotto tramite il NASA Infrared Telescope Facility non riscontrò alcuna prova di materiale coalescente presente entro poche unità astronomiche della stella.

Da li a poco, nell’ottobre 2015, lo stesso Jason Wright ipotizzò che i cali di luminosità della stella potessero essere quindi prodotti da una megastruttura artificiale, realizzata da una civiltà aliena: extraterrestri, quindi, che avrebbero costruito una cosiddetta “sfera di Dyson”, una struttura ipotetica che una civiltà avanzata potrebbe costruire attorno a una stella per intercettarne parte della luce per coprire il fabbisogno energetico. I radiotelescopi del SETI, da subito puntati verso la stella per ricercare eventuali emissioni radio provenienti da vita extraterrestre intelligente, hanno comunque fornito esiti negativi. Ad alimentare ancora una volta l’attenzione sull’ipotesi “aliena” fu uno studio eseguito da Bradley E. Schaefer, astronomo alla Louisiana State University, nel quale veniva annunciato che la stella era calata di quasi il 20% nella luminosità apparente negli ultimi cento anni: a suo dire, gli alieni di quel sistema, erano tecnologicamente così avanzati da costruire gradualmente delle megastrutture giganti che assorbivano quantità di energia crescenti dalla stella con il passare del tempo!

Rappresentazione artistica di anello e sfera di Dyson

Alla fine, anche questa ipotesi, degna di un bellissimo film di fantascienza, venne però smentita da due gruppi di ricercatori che, indipendentemente l’uno dall’altro, erano giunti alla medesima considerazione: il primo composto da tre ricercatori delle università Vanderbilt nel Tennessee e di Lehigh nella Pennsylvania, il secondo formato da un astrofilo tedesco e un dottorando NASA. Entrambi i gruppi, che iniziarono a collaborare tra loro, misero in evidenza (con un articolo nuovamente pubblicato sull’Astrophysical Journal) come le variazioni di luce riscontrate su KIC 8462852 a partire dagli anni ’60 del secolo scorso (per tali studi, venne infatti utilizzato l’enorme database DASCH, consistente in 500 mila e più lastre di vetro fotografiche riprese ad Harvard tra il 1885 e il 1993) fossero ugualmente riscontrate su un grandissimo numero di altre stelle: le variazioni di luce non erano quindi intrinseche della stella bensì dovute al cambio di strumentazione utilizzata per riprendere le lastre!

Anche se alla fine non c‘era bisogno di scomodare scenari alieni da fantascienza per spiegare la cosa, i cali di luminosità osservati da Kepler sono comunque reali e di sicuro non è un esopianeta a produrli, visto che le eclissi da questi apportati su stelle inducono cali simmetrici nelle curve di luce, di certo non anomali come quelli osservati. Al momento, tutte le ipotesi fatte sono risultate vane e la causa circa l’anomala variabilità della stella resta un mistero.

venerdì 29 aprile 2016

T CORONAE BOREALIS PROSSIMA A TORNARE NUOVAMENTE "NOVA"?

Il grande settore celeste compreso tra le appariscenti stelle Arcturus, Spica, Vega e Antares è un’immensa area popolata da astri non particolarmente luminosi; soprattutto, il neofita che alza lo sguardo in quella direzione di cielo le prime volte nella tarda primavera rimane colpito nel notare una moltitudine di stelle fioche e dalla luminosità praticamente simile senza distinguere però, se non con una certa difficoltà, le complesse figure di Ercole, Ofiuco o la Testa del Serpente, li immaginate in antichità. L’unico asterismo che risalta ben evidente è rappresentato da una sorta di “Y” centrata su Izar (ε Bootis), e con le tre estremità occupate da Arcturus (α Bootis) a sud e da Seginus (γ Bootis) e Gemma (α CrB) rispettivamente in alto ad occidente e ad oriente. Ad attirare l’attenzione in questa figura, oltre alla luminosa Arcturus, è la presenza di sei stelle di terza e quarta grandezza poste in semicerchio che cingono una settima, Gemma, a formare un diadema la cui pietra più preziosa è proprio la bianca stella centrale appena citata: parliamo ovviamente della Corona Boreale.


Mappa del cielo di questo periodo con indicata la Corona Boreale e la posizione di T CrB (Fonte: Heaven's above)

Proprio in questa graziosa costellazione una carta celeste dettagliata è indispensabile per reperire T Coronae Borealis, un’amena stellina che "solitamente" splende di decima grandezza, situata un grado al di sotto di ε CrB e nei pressi del confine con la Testa del Serpente. Si tratta del più famoso e luminoso esempio di nova ricorrente, tanto da essere nota nei Paesi anglosassoni come Blaze Star, attribuitole a causa degli improvvisi aumenti di luminosità che ne fanno una delle sole 10 stelle classificate, appunto, come novae ricorrenti.


Posizione di T CrB (Fonte: Sky & Telescope)


Il fenomeno parossivo è stato osservato finora solo due volte, nel 1866 e nel 1946; la stella in quelle due occasioni divenne così luminosa da superare la vicina Gemma (mag. 2,21) in luminosità e raggiungendo, nell'occasione, l'incredibile valore di -8,4 magnitudini assolute, corrispondenti alla sbalorditiva luminosità di oltre 200 mila volte il Sole!

A contraddistinguere questa classe di stelle dalle comuni novae sono due fattori: la minore ampiezza nella variazione di luminosità, circa 8 magnitudini contro le 10-13 magnitudini (ed oltre!) delle novae nonché il “breve” periodo che intercorre tra i fenomeni esplosivi, in questo caso distanziati da 80 anni: ben poca cosa se confrontato con quelli delle novae, i cui eventi possono ricorrere anche a distanza di millenni!

Tali differenziazioni sono dovute alle diversità dei sistemi binari di cui fanno parte: nelle comuni novae, le componenti sono quasi a contatto tra loro, solitamente una nana bianca ed una stella di sequenza principale; la stella più densa, ovvero la nana bianca, accumula materiale proveniente dalla compagna finché, raggiunta una massa critica, si innesca un fenomeno di espulsione di questo strato che si è “addossato” sulla sua superficie, quasi fosse un violento rigetto, rilevabile proprio nell'aumento di luminosità che si osserva. Nel caso di una nova ricorrente, invece, la compagna della stella principale è una gigante rossa che cede più velocemente il suo materiale gassoso in quanto più espansa e con gravità superficiale di gran lunga minore rispetto ad una stella di sequenza principale, generalmente più piccola e densa: tale particolarità comporta che il periodo tra gli outburst nelle novae ricorrenti sia quindi inferiore rispetto a quello delle comuni novae.

Nel sistema di T Crb una nana bianca è legata, su un orbita stretta e della durata di soli 227 giorni, proprio ad una gigante rossa. Teoricamente, è anche possibile che la materia accumulata sulla nana bianca sia tale da spingerne la massa oltre il limite di Chandrasekhar (pari a 1,4 masse solari), portando quindi l'intera stella a “bruciare” in modo esplosivo come supernova di tipo Ia; tenendo conto della distanza dei T Crb, valutata in 2.500 anni-luce, la l’eventuale supernova prodotta apparirebbe così luminosa nel cielo da proiettare tranquillamente delle ombre qui sulla Terra!


Dall’ultimo outbusrt, T CrB è rimasta sotto attenta osservazione da parte di astronomi ed astrofili variabilisti di tutto il mondo; come detto, rimanendo costante in luminosità attorno alla magnitudine 10,2-10,3. A partire, però, da Febbraio 2015 essa ha cominciato a salire lentamente di luminosità, portandosi alla magnitudine 10,0 nel giro di un anno e raggiungendo l’attuale magnitudine 9,2 e divenendo anche più “blu”, indice di un certo surriscaldamento di materiale gassoso divenuto quindi, incandescente: forse proprio quello disposto nel disco toroidale attorno alla nana bianca e che precipita su di essa.

Curva di luce di T CrB con indicato il recente aumento di luminosità nel visuale e nel blu (Fonte immagine: AAVSO)

Tale attività, si ritiene possa essere dovuta all’entrata della stella in uno stato "super-attivo", esattamente come accadde nel 1938, ovvero otto anni prima della sua ultima grande esplosione; bisognerà forse aspettare fino al 2026 (80 anni dopo l'eruzione 1946) per poterla vedere tornare ad esibirsi come nova? Forse anche prima. Oppure T CrB potrebbe riservare qualche sorpresa di maggior rilievo? Raccomando a tutti di seguire ciò che accade nella bella Corona celeste che nelle nottate primaverili fa bella mostra di se.

venerdì 25 marzo 2016

LAGHI DI AZOTO LIQUIDO NEL PASSATO PLUTONIANO

Ottenuta dalla combinazione di riprese effettuate dagli strumenti LORRI (Long Range Reconnaissance Imager) e RALPH - MVIC (Multispectral Visible Imaging Camera) installati a bordo della sonda New Horizons, questa immagine ottenuta durante il massimo avvicinamento a Plutone, lo scorso 14 luglio 2015, mostra chiaramente un lago lungo circa una trentina di chilometri situato nell'area montuosa dello Sputnik Planum, formato non da acqua ma da azoto ghiacciato:


E' ormai noto agli astronomi che l’asse di Plutone oscilla su se stesso, in maniera alquanto pronunciata, in un periodo di circa 1,4 milioni di anni; tale fenomeno, oltre a comportare variazioni stagionali, va ad influire anche sulla temperatura alla superficie del sorprendente pianeta nano: circa 600.000 anni fa, infatti, Plutone avrebbe attraversato una fase leggermente più calda dell'attuale, durante la quale azoto e metano sarebbero sublimati a tal punto da "inspessire" l'atmosfera di Plutone, generando una pressione di circa 40mb.

Tale ispessimento temporaneo, con ogni probabilità, permise all’azoto di esistere al suo “punto triplo” (ad una temperatura di -210° C e ad una pressione di 0,12 atmosfere), ovvero nello stato liquido, gassoso e solido contemporaneamente, sia in superficie che nella bassa atmosfera. In conseguenza al seguente declino delle temperature dovuto al procedere sulla sua orbita, l'atmosfera plutoniana iniziò a "scendere" e i liquidi alla superficie congelarono. A prova di quanto appena descritto, nell'immagine oltre al lago sono visibili anche valli, probabilmente scolpite da immissari di azoto liquido esistiti in un lontano passato. Uno scenario non dissimile da quanto visto su Marte.

Mentre l'atmosfera plutoniana sublima e cade al suolo durante il suo anno orbitale, pari a 248 di quelli terrestri, si ritiene assai probabile che la densità media della stessa andrà calando nei prossimi 800.000 anni allorché Plutone entrerà in una sorta di "era glaciale" man mano che la sua temperatura scenderà ulteriormente di qualche grado.

mercoledì 23 marzo 2016

COR CAROLI E LE VARIABILI MAGNETICHE

Nelle nottate primaverili è visibile uno degli asterismi meno noti, il cosiddetto “diamante della Vergine”, delineato quattro stelle: Spica (α Vir), Denebola (δ Leo), Arcturus (α Boo) e Cor Caroli (α CVn). quest’ultima, passante proprio allo zenith, è la stella più più appariscente della costellazione dei Cani da Caccia (Canes Venatici). La denominazione, certamente originale, le fu attribuita nel 1725 dall’astronomo inglese Edmund Halley in onore del Re Carlo II d’Inghilterra, ispirato dallo scienziato di corte Charles Scarborough, che a suo dire vide tale stella splendere molto più vivacemente del normale alla vigilia del ritorno del Re a Londra, il 29 Maggio 1660. Infatti, su parecchie stampe d’epoca, la stella appare raffigurata marcare un cuore incoronato, posto a ridosso del collo del cane Chara.


Cor Caroli splende esattamente di magnitudine 2,9 ma in realtà non è la storia del suo nome ad attrarre l’attenzione su di essa quanto il fatto di essere una tra le doppie più belle visibili attraverso i piccoli strumenti! La principale, una stella bianca dal diametro tre volte quello solare, è affiancata ad una distanza di circa 19 secondi d’arco da una compagna di magnitudine 5,6, dello stesso colore ma dal diametro di poco più grande; si tratta di una compagna fisica, lontana dalla principale circa 800 Unità Astronomiche. Dal momento delle prime misure, ottenute da Otto Wilhelm Struve nel 1830, è stata osservata solo una modestissima variazione nella separazione; a questo proposito Camille Flammarion scrisse “…questi due astri sono tuttavia associati, poiché volano insieme attraverso l’immensità dello spazio con velocità prodigiosa…”; ciò ha portato a concludere che il periodo orbitale della coppia deve essere notevolmente lungo. La coppia di stelle è davvero incantevole alla visione con qualsiasi telescopio, ed alcuni osservatori sembrano avvertire dei leggeri contrasti nel colore delle due stelle, che vengono spesso definite bianco-azzurra, la principale, e giallognola, la secondaria.

La coppia dista 110 anni-luce da noi e la luminosità intrinseca dei due astri, il principale dei quali è una subgigante bianca mentre la secondaria è di sequenza principale, è equivalente rispettivamente a 75 e 7 volte quella del Sole; da studi eseguiti sul loro moto e sulla loro velocità nello spazio, sembra che in realtà le due stelle siano dei membri fuggitivi dell’ammasso stellare delle Iadi, nel Toro.


La stella principale della coppia, α CVn 2, è anche un’interessante variabile, prototipo della classe delle cosiddette variabili a spettro magnetico, complesse stelle caratterizzate da intensissimi campi magnetici, dal migliaio agli oltre trentamila gauss; la polarità dei campi varia contemporaneamente allo stesso periodo rotazione della stella, solitamente lungo qualche giorno. Tra le più note appartenenti a questa classe sono Alkaid (Epsilon UMa), 56 Ari, Chi Ser, Iota Cas e Nekkar (Beta CrB).

Queste sono tutte stelle di tipo spettrale A, appena più luminose delle medesime appartenenti alla sequenza principale, appartenenti ad associazioni stellari; oltre a mostrare una variazione di luminosità nel visuale, generalmente modesta, le stelle magnetiche presentano una marcata variabilità nell’intensità e nella forma di alcune righe spettrali di metalli - presenti in abbondanza assieme alle cosiddette “terre rare”, fatto già di per se anomalo nelle stelle di tipo spettrale A – variazione che ha il medesimo periodo di quella luminosa, generalmente compreso tra poche ore ed oltre 300 giorni. Strano è anche il fatto che l’ampiezza della variazione luminosa è diversa a seconda della banda spettrale considerata. La presenza del campo magnetico su queste stelle è stata scoperta in quanto le righe spettrali appaiono tanto più allargate - il cosiddetto effetto  “Zeeman” - quanto più intenso è il campo stesso, che contribuisce anche a rendere polarizzata la luce della stella.

La variazione dell’intensità delle righe metalliche nello spettro di Cor Caroli venne scoperta nel 1906 e, successivamente, nel 1914 venne anche osservata una modesta ma pur presente variazione di 0,05 magnitudini nella luminosità visuale. Oltre a questo, fu notato anche che il colore della stella varia leggermente, dal bianco quando è al minimo di luminosità all’azzurrino quando è invece al massimo, e che l’intensità del campo magnetico varia, in un intervallo tra i +5.000 e i –4.000 gauss, periodicamente e contemporaneamente ai cambiamenti nelle linee spettrali che, come detto, a loro volta variano in sintonia con la variazione nella luminosità della stella.



Oggigiorno si conoscono ancora pochi esemplari di stelle magnetiche, poco più di un centinaio, perché possa essere stilato un modello finale del complesso meccanismo di variabilità di queste stelle. Innanzitutto, si ritiene che l’anomala – altissima – presenza di elementi pesanti, nonché rari, sia dovuta al fatto che il forte campo magnetico concentrerebbe gli ioni, presenti nell’atmosfera della stella, lungo delle “correnti” capaci di generare temperature altissime, che favorirebbero appunto la formazione di reazioni nucleari atte a generare elementi pesanti.

La diversa concentrazione di questi elementi pesanti sulla superficie della stella spiegherebbe le variazioni nelle righe che avvengono con lo stesso periodo di rotazione; allo stesso modo, la variazione di diversa ampiezza che la stella mostra nei colori spettrali sarebbe ben spiegata interpretando che la diversa concentrazione di elementi sulla superficie della stella comporterebbe anche “aree di diversa luminosità”, aventi sempre lo stesso periodo della rotazione della stella.

Lo stesso campo magnetico, secondo alcune teorie, deriverebbe dal campo magnetico galattico inizialmente presente nella nebulosa che ha dato vita alla stella, e successivamente si sarebbe intensificato, contraendosi, proprio quando parte di questa nube iniziava a collassare per dare vita alla protostella, o più semplicemente sarebbe dovuto alla rotazione della stella, in cui intense correnti elettriche genererebbero l’intenso campo magnetico, proprio come in una dinamo.

lunedì 21 marzo 2016

STELLE ULTRA-MASSICCE SVELATE DA HUBBLE

Combinando immagini riprese con la Wide Field Camera 3 (WFC3) e con quelle UV riprese tramite lo Space Telescope Imaging Spectrograph, strumenti entrambi del telescopio spaziale Hubble, è stato possibile effettuare osservazioni dalla risoluzione senza precedenti nella banda UV sull’ammasso stellare R136, che ha portato alla scoperta ben nove stelle ognuna con massa oltre 100 volte quella del Sole: un vero record, in quanto in nessun altro oggetto di questo tipo è presente un così cospicuo numero di stelle di tale massa!

Nell'immagine qui di seguito, a sx è visibile la parte centrale di R136 ammasso stellare, esattamente come esso appare osservato nell'UV; grazie all'elevata risoluzione di HST proprio nell'ultravioletto, le singole stelle sono pienamente risolte e quindi possono essere studiate. A dx, invece, l'area all'interno del rettangolo bianco con gli spettri UV (disposti verticalmente) raccolti dallo strumento Imaging Spectrograph (STI) dell'HST, che hanno permesso di determinare le proprietà di queste stelle appartenenti ad R136:


E’ noto che la presenza di stelle massicce è una caratteristica quasi esclusiva di ammassi stellari giovanissimi, proprio perché il ciclo vitale di queste stelle non supera i 2-3 milioni di anni; sono d’altronde pochissime le stelle di questo tipo note nella Via Lattea, davvero una manciata.

R136 è un ammasso aperto lontano 170 mila anni-luce; non è situato nella Via Lattea ma Grande Nube di Magellano, precisamente nella nebulosa Tarantola. R136 venne inizialmente inserito in un catalogo compilato al Radcliffe Observatory, Sud Africa, che listava le stelle luminose presenti nelle Nubi di Magellano; a tutti gli effetti, all’epoca si riteneva che tale oggetto fosse una singola stella ma successivamente i telescopi dell’ESO risolsero l’ammasso in tre componenti distinte: a, b e c. In seguito, R136a venne risolta in un gruppo di otto stelle (A1-A8) sempre tramite i telescopi dell’ESO.

Sono proprio queste caldissime e luminosissime stelle, assieme a quelle facenti parti di un altro ammasso stellare li situato e noto come Hodge 301, a far risplendere per incandescenza il vasto apparato nebulare. Una di queste stelle, R136a1, detiene il record per essere la più massiccia conosciuta: il valore della sua massa si aggira attorno a 250 volte quella del Sole! Ad ogni modo, le stelle appartenenti ad R136 non sono massicce ma anche estremamente luminose, tanto che le nove da poco individuate hanno luminosità intrinseche - badate bene – pari a 30 milioni di volte quella del nostro luminare diurno! Valori davvero vertiginosi che sfuggono alla mente umana!

R136a1, così come le altre massicce individuate nell’ammasso stellare, sono stelle di Wolf-Rayet, caratterizzate da una temperature superficiali di oltre 50.000 K e che come altre stelle prossime al cosiddetto “limite di Eddington” espellono tramite intensissimi venti stellari una parte considerevole della loro massa, fenomeno in corso dalla loro formazione e che, nel caso di R136a1, ha portato questo colosso a perdere almeno una massa terrestre al mese, perdendo almeno 50 masse solari nel corso degli ultimi milioni di anni!

L'ammasso R136 nella "Nebulosa Tarantola"

Alcuni indizi portavano a condurre che tali mostri cosmici potessero nascere dalla fusione di stelle massicce appartenenti a sistemi binari stretti ma, da ciò che sappiamo circa la frequenza di fusioni massicce, tale scenario non può tener conto di tutte le stelle massicce presenti in R136: sembrerebbe, quindi, che tali stelle possono avere origine da normali processi di formazione stellare laddove è presente un bel po di materiale nebulare in condizioni di densità davvero elevata.

Le “firma” UV da parte di stelle dalla massa ancor più grande di quelle presenti in R136 sono state anche rivelate in altri ammassi di stelle nelle galassie nane NGC 3125 e NGC 5253; tuttavia, questi sono troppo distanti affinché il potere risolutivo di Hubble possa far emergere le singole stelle esattamente come accaduto per l’ammasso presente nella Grande Nube di Magellano.

venerdì 4 marzo 2016

VIAGGIO TRA LE COSTELLAZIONI: M44

M44 è senz’altro l’oggetto più famoso della costellazione del Cancro, situato all’interno del quadrilatero delineato dalle stelle γ, η, δ e θ Cnc ed attraversato dall’eclittica; questo ammasso stellare del tipo “aperto” è noto sin dall'antichità per essere uno degli oggetti non stellari più facilmente visibili ad occhio nudo. Galileo fu il primo che, grazie al suo semplice e primitivo telescopio, riuscì a capire che quella vaga nebulosità visibile ad occhio nudo attorno ad ε Cnc era in realtà composta da centinaia di stelle, proprio come le celebri Pleiadi. E’ sufficiente il più modesto dei binocoli per ripetere l’osservazione di Galileo; con un 10x50 si possono contare addirittura cinquanta componenti, che raddoppiano in un 20x80. Fu comunque Charles Messier, nel 1769, ad aggiungerlo nel suo famoso catalogo con il numero 44. Come già detto, fu Plinio il Vecchio ad attribuirgli il termine latino praesepe ovvero “mangiatoia”, come già fecero ancor prima Ipparco ed Arato. Gli antichi astronomi cinesi videro nella sua evanescenza il luogo dove finivano le anime dei morti; al contrario, ma ancor più anticamente, nella cultura caldea M44 era noto come la “porta dell'uomo”, passaggio dal quale uscivano le anime prima di entrare in un corpo che stava per nascere.



Conosciuto nei paesi anglosassoni come "l'alveare", questo largo e stupendo ammasso è uno tra i più vicini al Sole, distando da esso (e da noi, quindi) “solo” 590 anni-luce; tenendo conto di questo dato e dell’estensione apparente sulla volta celeste, pari a 3 volte il disco lunare, ne consegue che il suo reale diametro è di 23 anni-luce anche se la sua influenza gravitazionale si estende per quasi 40 anni-luce. Apparentemente, il numero di stelle presenti nell’area di M44 sfiora le 500 unità, molte delle quali di magnitudine sesta e settima grandezza, perfettamente visibili con un binocolo anche dalle aree urbane; teoricamente, un sotto un cielo prettamente nitido e oscuro si dovrebbero poter discernere 2 o 3 delle componenti più luminose; tuttavia, si tratta di un impresa difficile, dal momento in cui lo sfondo su cui si staglierebbero resterebbe sempre nebuloso e indefinito. Sono comunque circa 200 le reali stelle che risultano fisicamente associate tra loro (con magnitudini comprese tra 6,3 e 17) mentre le restanti vi si proiettano sopra solo per effetto prospettico.


La componente più luminosa di M44 è ε Cncuna stella bianca di sequenza principale di classe spettrale A5m, lontana 548 anni-luce e dalla magnitudine assoluta pari a 0,16. Ad ogni modo, la gran parte delle componenti di M44 è composta da astri bianchi di sequenza principale ma anche da numerose stelle evolute quali giganti arancioni e un centinaio di variabili, molte delle quali del tipo “δ Sct”, stelle bianche che hanno appena lasciato la fase stabile di sequenza principale per evolversi verso la fase di gigante. M44 è inoltre uno dei pochissimi ammassi aperti a possedere un numero considerevole di nane bianche; le prime di queste furono individuate nel corso degli anni sessanta del secolo scorso e ad oggi ne sono note una dozzina. Accurate analisi spettroscopiche di queste nane bianche hanno evidenziato alcune di esse hanno particolari caratteristiche; WD0836+197, ad esempio, potrebbe essere stata generata dal collasso di una cosiddetta “vagabonda blu”, una stella formatasi dalla fusione di due stelle in precedenza distinte mentre WD0837+185 potrebbe essere un sistema doppio derivato dal collasso di due stelle in orbita fra loro. Come altri oggetti di questo tipo (e non solo…), anche in M44 è presente la cosiddetta “segregazione di massa”, fenomeno per il quale le stelle più luminose e massicce tendono a concentrarsi nelle aree centrali dell'ammasso mentre quelle più piccole e meno luminose si distribuiscono nell'alone circostante.

Foto: Bob Franke


Recenti indagini effettuate sul moto delle stelle più brillanti indicano che le stelle di M44 si spostano ad una velocità compresa tra i 27 e i 35 chilometri al secondo verso Procione, coprendo quindi un percorso pari al diametro della Luna in quasi 50.000 anni! Tra l’altro, il moto proprio è uguale e parallelo a quello delle Iadi nella costellazione del Toro, tanto da far supporre che i due gruppi stellari abbiano una comune origine ma questa tesi è stata tuttavia smentita in temi recenti; stante a 625 milioni di anni l’età delle Iadi, le stelle del Presepe possiedono un'età leggermente inferiore, stimata attorno ai 578±12 milioni di anni; ciò comporterebbe che la formazione del Presepe sia avvenuta circa 45-50 milioni di anni dopo quella delle Iadi.

Pur essendo il telescopio lo strumento non adatto ad apprezzare l'ammasso nella sua interezza, esso è comunque utile qualora si desideri studiare alcune delle numerose stelle multiple presenti nell’ammasso (come Burnham 584 o Struve 1254) oppure oggetti ancora più particolari come TX Cnc, una variabile ad eclisse la cui luminosità oscilla in sole sei ore tra le magnitudini 10,0 e 10,4 e facile da seguire con una camera CCD. Telescopi da lunghezze focali elevate consentono di riprendere le numerose e deboli galassie proiettate sullo sfondo dell’ammasso: NGC2624-5, 2637, 2643-7, IC2388-90 e altre del catalogo “MCG”, le più brillanti delle quali appena di quattordicesima magnitudine! Curiosa è anche la presenza, alla periferia dell’ammasso, di HB0836+195, un quasar di magnitudine 17, sempre puntiforme anche nelle migliori immagini.

domenica 28 febbraio 2016

IL GRUPPO DI GALASSIE DI M81

M81, nota anche come "Galassia di Bode" perchè da questo osservata per la prima volta nel 1774, è una delle più luminose galassie presenti nella volta celeste e quindi osservabili anche con telescopi di media potenza. Il suo diametro è di circa 72 mila anni luce e la massa stimata pari a 250 miliardi di stelle come il Sole, valori inferiori ai corrispettivi della nostra galassia, la Via Lattea. Le polveri interstellari sparse nelle spire della galassia si trovano corrispondenza con regioni di formazione stellare attive, laddove stelle giovani e brillanti, appena nate, riscaldano le polveri oscure che emettono così radiazione infrarossa. Nell'immagine ad infrarossi qui di seguito, ripresa dal Telescopio Spaziale Spitzer, il blu rappresenta le emissioni di origine stellare a 3.6 μm, il verde rappresenta le emissioni a 8 µm originate dagli idrocarburi policiclici aromatici presenti nel mezzo interstellare e il rosso le emissioni a 24 µm della polvere riscaldata nel mezzo interstellare:



Alla alla distanza di 12 milioni di anni-luce, il gruppo di galassie di M81 è uno tra i più vicini al nostro gruppo locale. Pur coprendo una regione di spazio più piccola, pari a 2.000.000 × 1.000.000 di anni-luce, il numero di membri è tuttavia simile, tanto che ben 32 sono quelli finora identificati finora 32. Come il Gruppo Locale, anche quello di M81 è dominato da due grandi galassie luminose; il nostro, quello di M81 ed altri gruppi "locali" sono componenti del Superammasso della Vergine che a sua volta è una parte di una sovrastruttura ancora più vasta, il Superammasso Laniakea.




L'immagine qui di seguito (autore: Bob Andresson) è una fotografia ripresa nel'ottico della regione centrale di questo ammasso che occupa, nell'Orsa Maggiore, un'area pari 350 volte quella del disco lunare! Ovviamente, la grande galassia che domina l'immagine è quella che da il nome al gruppo, M81: il suo diametro, stimato in circa 73 mila anni-luce, è inferiore a quello della Via Lattea, la nostra galassia, mentre la massa totale sembra ammontare a circa 200 miliardi di stelle come il nostro. Accanto ad essa, la seconda grande galassia dell'ammasso, M82:



Tutte le galassie appartenenti a questo ammasso sono in interazione gravitazionale le une con le altre. Diversamente da altri casi di interazione quali quello tra M51 - NGC 5195 nei Cani da Caccia o la coppia NGC 2297 - IC2163 nel Cane Maggiore, le immagini riprese in luce visibile non rendono talmente ovvie le interazioni esistenti nel gruppo di M81; tuttavia, alle lunghezze d'onda radio, la situazione cambia drasticamente.

Nelle foto a lunga posa o composite, il campo visivo di questa e della vicina M82 può mostrarsi pervaso da una serie di intricati filamenti nebulosi; questo sistema di gas e polveri oscure fa parte del cosiddetto "Integrated flux nebulae", enormi filamenti nebulosi prevalentemente non illuminati e situati ad alte latitudini galattiche, il più esteso dei quali si estende proprio lungo tutte le costellazioni più settentrionali arrivando a lambire anche la stella polare (foto: Emil Ivanov):



La figura in basso mostra la distribuzione del gas in tutto l'ammasso, con i colori ad indicare l'intensità quindi la quantità di gas: le regioni bianche sono le più ricche di gas freddo e la quantità diminuisce verso il viola. L'immagine mostra chiaramente come quello di M81 sia un gruppo compatto che galleggia in un mare di idrogeno. Oltre al gas associato alle singole galassie è presente una grande componente diffusa che, infatti, contiene oltre un quarto della quantità totale di gas, per una quantità totale stimata in qualcosa come 1,4 miliardi di stelle come il Sole!


Il gas intergalattico presente nell'ammasso ha avuto origine dall'interazione gravitazionale tra i vari membri; questo viene tuttora "estratto" dalle galassie lungo correnti che lo diffondono lentamente in tutto l'ammasso. La principale sorgente del gas è naturalmente M81 ma anche le altre galassie forniscono il loro contributo, in particolare NGC3077 che, nell'immagine sopra appare come la chiazza bianca legata ad M81, presente alla sua sinistra. La regione centrale dell'ammasso appare con maggior dettaglio nell'immagine qui di seguito, ottenuta dall'emissione dell'idrogeno a 21 cm e codificata con colori molto simili alla precedente, con l'aggiunta del turchese per le regioni più deboli; l'immagine a sinistra, ripresa nella banda ottica (B/N), è nella stessa scala, rendendo quindi evidente non solo la reale interazione tra le galassie ma soprattutto la vastità di tale fenomeno (fonte: National Radio Astronomy Observatory):


I singoli filamenti presenti nella sacca di gas sono qui più distinti, così come le strutture interne delle galassie stesse. La chiazza a sinistra è NGC3077 mentre in alto è presente M82, circondata anch'essa da una vasta nube di idrogeno. La struttura a spirale di M81 è qui ben visibile e la maggior risoluzione spaziale permette anche di notare il buco centrale, caratteristico delle galassie di tipo Sb, con un notevole nucleo centrale e braccia a spirale moderatamente stretti. In altre galassie con le braccia più aperte (sc) come M101, l'idrogeno si estende fino al centro della galassia stessa.


L'emissione dell'idrogeno proveniente da NGC3077 è di per sé più debole, tanto da rivelarsi solo come una macchia brillante senza ulteriori dettagli. Quasi certamente, questa galassia era una volta una comune galassia dalla forma irregolare ma dalla grande riserva di gas, in seguito strappatole dalla forza mareale di M81 fino a formare la brillante nube che si incurva sulla sinistra della galassia stessa. NGC3077 è stata quindi smembrata dal gas e probabilmente è sulla via di divenire una piccola galassia ellittica priva di gas.



Anche la nube di idrogeno che circonda M 82 ha subito distorsioni gravitazionali. Mentre la parte più interna è ancora allineata con la direzione della galassia (vista di taglio), le zone più esterne sono piegate e stirate a formare code che si estendono per oltre 100 mila anni-luce! Indubbiamente, il colpevole è ancora la gravità della gigantesca M81.

La piccola nube di idrogeno appena sinistra di M81 è un'altra prova degli incontri ravvicinati delle due galassie maggiori di questo gruppo; essa è infatti composta da gas appartenente a M82, strappatole durante un passaggio ravvicinato alle parti esterne di M 81, evento che si ritiene essere avvenuto circa 200 milioni di anni fa. Alcune stelle di M82 sono state ad essa tolte e quindi concentrate in questa regione, costituendo la quella che potrebbe essere definita la "spina dorsale" di una piccola galassia irregolare; durante questa mancata collisione cosmica, una vasta quantità di gas venne compressa formando una densa nube molecolare nella quale oggi i formano nuove stelle (starburst).

E' proprio il caso di dire che dai detriti di uno scontro galattico ne sta nascendo una nuova.

venerdì 26 febbraio 2016

VIAGGIO TRA LE COSTELLAZIONI: CANCER, CNC, IL CANCRO

Addossata alla testa dell'Idra e circondata dalle luminose stelle Regolo, Polluce e Procione, quella del Cancro è tra le costellazioni meno vistose dell'intera volta celeste. Culminante al meridiano nelle serate di Febbraio, tale costellazione si fa notare non tanto per le sue stelle - nessuna più brillante della terza magnitudine! - quanto per il chiarore diffuso di M 44, uno degli amassi stellari aperti più vicini, luminosi e noti. Oltre ad essere la meno appariscente delle costellazioni zodiacali, la costellazione del Cancro è classificata al secondo posto tra quelle con minore densità stellare, grandezza intesa come numero di stelle entro la quinta magnitudine presenti in 100 gradi quadrati: superato solo dall'australe costellazione del Monte Tavola (Mensa), il Cancro presenta entro i suoi pur ragguardevoli 506 gradi quadrati solo sei stelle più luminose della quinta magnitudine ed altre 140 circa entro il limite di visibilità ad occhio nudo quando osservata a un luogo prettamente scuro e al transito al meridiano.


Eppure, nonostante la sua evanescenza, questa area celeste ha avuto la sua importanza storica poiché, in antichità, il Sole raggiungeva proprio in questa costellazione la sua massima elevazione annuale sull'eclittica determinando il Solstizio d’Estate; causa la Precessione terrestre, il Cancro non detiene più tale posizione, nel frattempo passata ai Gemelli ma, nonostante questo, è ancora d'uso chiamare Tropico del Cancro il parallelo terrestre dove il Sole si proietta allo Zenit proprio in concomitanza del solstizio estivo, esattamente ad una latitudine di 23°27'.

La fantasia dei popoli antichi attribuì a queste deboli stelle varie figure: per gli egiziani furono uno scarabeo, per gli indiani una colomba, mentre Julius Schiller nel 1627 associò il nome di San Giovanni evangelista a questo asterismo. Il nome attuale deriva probabilmente dal moto apparente del Sole in estate, che, dopo aver risalito tutta l'eclittica, inverte la rotta, ritornando verso declinazioni più basse. Per questo motivo i popoli medio-orientali videro in queste deboli stelle la figura di un granchio o di un gambero, il curioso crostaceo noto per le sue retromarce. Risale invece alla civiltà ellenica il mito del granchio immortalato in cielo da Giunone: la dea, nemica di Ercole, mandò il crostaceo contro l’eroe greco mentre lottava nella palude di Lerna con l’Idra, il mostro dalle numerose teste; il Granchio riuscì solo a pizzicare Ercole finendo schiacciato sotto i suoi piedi, ma per questo tentativo Giunone lo ricompensò trovandogli un posto in cielo.




Come già accennato, l’elemento di questa regione celeste che colpisce la curiosità dell’osservatore è l’ammasso M 44, e così fu anche per gli antichi contemplatori del cielo. Assieme alle Pleiadi, le Iadi e all’ammasso stellare della Chioma di Berenice, M 44 è il quarto oggetto di questo tipo di cui si hanno notizie in documenti storici. Oggi noto il nome "praesepe", introdotto dallo scrittore latino Plinio il Vecchio che denominò le due stelle ad esso attigue γ e δ Cnc come “gli asinelli”, il cui termine latino ne contraddistingue i nomi propri.

Asellus Borealis (γ Cnc), la più debole delle due, risplende di magnitudine 4,67. Situata a 158 anni luce dal Sistema Solare, essa è una gigante bianca di tipo spettrale A1 IV, la cui temperatura superficiale è di circa 9400 K; essendo il suo raggio il doppio di quello del Sole, ne consegue che la sua luminosità intrinseca ne è 29 volte superiore. Da parametri quali luminosità e raggio è possibile anche stimare la sua mass, pari a 2,3 volte di quella della nostra stella madre. Asellus Borealis possiede due compagne prospettiche, separate da essa rispettivamente da 1’ e 2’ d'arco; quest’ultima, denominata γ Cnc B, è invece una reale stella doppia, pur spettroscopica.


Asellus Australis (δ Cnc), pur splendendo modestamente di magnitudine 3,94, è la seconda stella più luminosa della costellazione. Lontana 132 anni-luce dal sistema solare, è una gigante di classe spettrale K0III, arancione quindi, dalla massa il doppio di quella solare ma dal diametro 11 volte superiore. Situata solo 5’ a nord dell'eclittica, questa stella è di conseguenza frequentemente soggetta a congiunzioni con la Luna o i pianeti e, in casi più rari, occultata da parte degli stessi.


Nel disegno di stelle che delinea la figura del crostaceo, il quadrilatero formato da queste due stelle assieme alle più deboli η e θ Cnc ne costituisce il corpo; proprio da queste due ultime partono quattro linee che ne formano le zampe e i cui estremi si identificano in χ e μ Cnc, collegate a η Cnc, e ζ e β Cnc, queste ultime collegate a θ Cnc.

β Cnc, nota come Altarf (dall'arabo, “la fine della zampa”) è l'astro più luminoso della costellazione; ben visibile tra la testa dell'Idra e la luminosa Procione, è una gigante arancione di classe spettrale K4IIIBa0.5 dalla spiccata colorazione arancione, che splende apparentemente di magnitudine 3,52 dalla distanza di 290 anni-luce. Il diametro di Altarf è pari a una cinquantina di volte quello solare; con questo valore, e considerata la sua temperatura superficiale prossima ai 4000 K, la luminosità intrinseca corrispondente risulta essere 660 volte quella del Sole! Fosse al posto del Sole, essa riempirebbe l'orbita di Mercurio, abbagliandoci con la sua luce arancione! Essendo una stella in stato avanzato della sua evoluzione, essa possiede anche una certa quantità di bario che, al contrario, non è presente in stelle di sequenza principale; essa ha infatti da tempo terminato il processo di fusione dell'idrogeno in elio, convertendo ora quest’ultimo in elementi più pesanti come carbonio ed ossigeno. A circa 30” d’arco da Altarf, è presente una debole nana rossa di quattordicesima grandezza che sembra condividerne il moto proprio rispetto alle stelle fisse di fondo; fosse una reale compagna fisica, essa disterebbe da Altarf almeno 2600 U.A. ma, considerata l'enorme distanza, il periodo orbitale dovrebbe allora aggirarsi attorno ai 76.000 anni, un tempo troppo lungo per qualsiasi riscontro diretto!


Poco più a nord vi è però l’astro più conosciuto agli astrofili di questa plaga celeste: ζ Cnc, di nome Tegmen (dall’arabo, “la corazza del granchio”). La sua fama è dovuta al fatto di essere una tra le più belle stelle multiple alla portata di telescopi amatoriali! Il primo a risolverla come doppia fu J.T. Mayer nel 1756 mentre 25 anni più tardi W. Herchel notò la terza componente; il figlio J. Herschel notò il moto perturbato di quest’ultima, cosa che indusse O.W. Struve a postulare l’esistenza di una quarta componente in seguito effettivamente osservata con i telescopi. Il sistema di Tegmen consiste quindi in quattro stelle, tutte nane gialle di sequenza principale molto simili al Sole. Le componenti di ζ¹ Cancri sono denominate ζ Cancri A e ζ Cancri B, rispettivamente di magnitudine +5,58 e +5,99; separate da circa 0,8” d’arco, esse completano un'orbita ogni 59,3 anni. E’ quindi necessario un potente telescopio per risolverle anche se la loro separazione aumenterà fino al massimo previsto nel 2020.


Le componenti di ζ² Cancri sono denominate ζ Cancri C e ζ Cancri D. ζ Cancri C è la più luminosa delle due, splendendo di magnitudine +6.12 mentre ζ Cancri D è di magnitudine 10. Quest’ultima appare più rossa delle altre componenti e potrebbe in effetti essere costituita da una coppia ravvicinata di due nane rosse; la separazione fra C and D è di circa 0,3” d’arco e il loro periodo orbitale di 17 anni e la sua estrema debolezza e la ridotta separazione sono le probabili cause della mancata osservazione diretta.


Circa 8° a nord di γ vi è ι Cnc, una stella gialla di quarta grandezza, distante 298 anni-luce; si tratta in realtà di una doppia fisica costituita da due stelle tra loro in netto contrasto cromatico. ι Cnc A è una gigante brillante gialla, di magnitudine 4,02 la cui classe spettrale è stata variamente classificata come G8Iab, G7,5IIIa o G8II; possiede una temperatura superficiale di 5000 K, una massa 3,5 volte quella solare e una luminosità circa 215 volte la luminosità solare. Essa è già evoluta in quanto è l’elio che viene fuso nel suo nucleo; la sua età è stimata in circa 260 milioni di anni e, almeno fino ad un milione di anni fa, essa doveva essere una stella bianco-azzurra di sequenza principale di classe B. ι Cnc B è invece una stella bianca di sequenza principale di classe spettrale A3V di magnitudine 6,57, dalla temperatura superficiale 8800 K; possiede una massa appena superiore a quella del Sole e una luminosità 16 volte quella della nostra stella. Le due stelle sono apparentemente separate da 30,6” d’arco ma la reale distanza tra esse è attualmente paria a 2.800 UA; il moto orbitale indica un periodo di almeno 65.000 anni!


Mentre ι Cnc individua la chela settentrionale del granchio celeste, quella meridionale è segnata da α Cnc, chiamata in passato Al Zubanah (dall’arabo, “le chele”); oggi più propriamente nota col nome proprio Acubens, essa è in realtà al terzo posto in ordine di luminosità tra gli astri della costellazione (magnitudine apparente 4,25) nonostante il Bayer le attribuì la lettera α qualificandola, quindi, come la più luminosa. Si tratta di una stella di classe spettrale A5m di sequenza principale, prettamente bianca quindi, lontana 174 anni-luce. La denominazione Acubens A porta a comprendere che si tratta di una doppia, la cui duplice natura è stata scoperta grazie ad una occultazione lunare; le componenti sono separate soltanto da 0,1” d’arco e ognuna delle due è 23 volte più luminosa del Sole, con massa doppia. Ad 11,3” d’arco da essa è presente una stella di undicesima magnitudine, nota come Acubens B, che però non ha mostrato, nello scorrere degli anni, la benché minima variazione nella separazione; tuttavia, si sospetta che anch’essa possa essere un sistema doppio.



...continua