giovedì 20 settembre 2018

I RELITTI STELLARI E L'ANELLO DI FUOCO DI NGC1097

Nella costellazione della Fornace, situata proprio sotto la grande ansa dell’Eridano, è situata una bellissima galassia a spirale del tipo barrato, NGC1097. Lontana 45 milioni di anni-luce, è probabilmente una delle componenti più lontane del grande ammasso di galassie della Fornace, il cui centro è posto a 62 milioni di anni-luce dalla Via Lattea.


Tale galassia è caratteristica per le estesissime braccia di colore blu, colore che evidenzia la giovane età delle stelle che le costituisce, nonché per il gran numero di nebulose, le regioni di formazione stellare che appaiono di colore prettamente rossastro a causa dell’idrogeno di cui sono composte. Anche se a prima vista l’aspetto che più colpisce in questa immagine è la presenza di una piccola galassia che sembra essere stata inglobata da NGC1097, in realtà la sua caratteristica più peculiare è quella di rilevare, in lunghe esposizioni, la presenza di almeno quattro deboli ma lunghissimi getti visibili nella banda ottica dello spettro, estesi ben oltre le braccia bluastre galattiche. Non solo: NGC1097 è una galassia assai massiccia, con un nucleo attivo ospitante un buco nero super-massiccio; nella regione galattica posta subito al di fuori dell’area nucleare, è presente una sorta di anello di colore blu, caratteristico delle regioni di intensissima formazione stellare. Decine e decine di stelle azzurre super-massicce si creano annualmente in quelle zone dove i gas raggiungono temperature davvero estreme!

Molto probabilmente, la formazione di tale anello è in stretta relazione con la passata attività del nucleo della galassia gigante, ora quiescente. Anche se i quattro getti che appaiono nello foto a lunga posa sembrano avere come punto radiante proprio il nucleo della galassia - cui , fino a poco tempo fa, se ne attribuiva la creazione – tali lunghissime strutture, analizzate con i radiotelescopi del VLA alla lunghezza d’onda di 21 cm, non hanno mostrato la presenza di idrogeno neutro, il che esclude la possibilità che contengano nubi gassose di qualche tipo: i quattro getti sarebbero quindi composti esclusivamente da stelle e, assai probabilmente, sarebbero residui della cattura e conseguente sfaldamento di una o più galassie molto più piccole, entrate più volte in interazione con questa galassia gigante al punto da incrementarne notevolmente la massa.


In NGC1097, tra l’altro, sono state registrate negli ultimi anni ben tre supernovae (SN1992bd, SN1999eu, SN2003B); consiglio quindi, ai possessori di telescopi di un certo diametro, di seguirla a partire già da questo periodo...chissà che non salti fuori una nuova supernova tra le tante stelle azzurre e massicce di cui questa galassia gigante è formata.

(Image credits: Martin Pugh, HST/NASA)

mercoledì 12 settembre 2018

SADALTAGER (ζ Aqr)

Una delle caratteristiche più rilevanti del cielo autunnale nell'area che transita a Sud è l’assenza di stelle particolarmente luminose; nulla di simile a quelle che, ad esempio, adornano la volta celeste in inverno o in estate. Tra le costellazioni ivi presenti, quella dell’Acquario, “il portatore d’acqua”, situata esattamente al di sotto della testa del grande cavallo alato, Pegaso.

Transitando al meridiano di sera proprio in questo periodo, non solo è una tra le costellazioni più estese dell’intera volta celeste (980° quadrati) ma anche tra le più antiche, creata in un tempo lontanissimo probabilmente in riferimento alla stagione delle piogge; tuttavia, l'Acquario non figura tra le costellazioni più luminose: le sue stelle più luminose sono appena inferiori alla terza grandezza, certamente non facili da scorgere da aree urbane laddove l’inquinamento luminoso ha preso il sopravvento sul cielo oscuro.


Osservando la costellazione in assenza di Luna e possibilmente in un luogo oscuro, lontano da fonti luminose, nell'area settentrionale della costellazione non è difficile scorgere quattro stelle di simile luminosità disposte a formare una sorta di Y: l’anfora dalla quale, nella tradizionale rappresentazione, sgorga il filo d’acqua formato da stelle di terza e quarta grandezza che, come ad incontrare una roccia, si divide in due rami per poi riversarsi, secondo antica tradizione, dritto nella bocca del Pesce australe rappresentata dalla luminosa Fomalhaut (α PsA).

La stella situata al centro dell’anfora è ζ Aqr che, da sempre, è una delle mie doppie preferite di tutto il cielo. Il nome proprio, Sadaltager, deriva dall’arabo sa‘d al-tājir ad indicare "la (stella) fortunata del mercante". Una sua particolarità è quella di trovarsi esattamente a cavallo l'equatore celeste: fino al 2003, essa era una stella appartenente a tutti gli effetti all’emisfero celeste australe ma il moto di precessione terrestre l’ha portata velocemente - circa 0,3’ d'arco all'anno - a varcare l’equatore celeste precisamente il 21 novembre 2003, divenendo da allora una stella settentrionale!


Puntando un telescopio da almeno 100 mm di diametro sulla stella utilizzando ingrandimenti forzati, ζ Aqr viene risolta o, meglio, “divisa” in due stelle bianche di uguale luminosità. Il primo ad accorgersi della doppia natura di questa stella fu l’astronomo ceco C. Mayer nel 1777 quando le due erano separate da 3" d’arco; nelle sue note, egli attribuì ad entrambe le componenti un color bianco diamante, particolare confermato dapprima da W. Herschel e, successivamente, anche dall’ammiraglio W. H. Smith; tuttavia, altri valenti osservatori visuali descrissero differenti tinte cromatiche quali bianco-verdognolo l’una e giallo pallido l’altra...saranno intercorsi fattori "esterni" a colorire tali resoconti? Molto probabile...

Osservando adesso la coppia, essa appare disposta esattamente invertita rispetto a quando fu scoperta; nel frattempo, la separazione tra le componenti è andata restringendosi, arrivando al momento a 1,7” d’arco; ma, come detto, tale valore fa comunque della coppia uno spettacolo sicuramente affascinante all'osservazione telescopica. 


ζ Aqr, che osservata ad occhio nudo splende di magnitudine 3,7, è lontana 92 anni-luce, distanza facilmente rilevata tramite il metodo della parallasse trigonometrica; la componente orientale, nota come ζ2 Aqr (o ζ Aqr A) - di magnitudine 4,42 - è quella leggermente più luminosa mentre ζ1 Aqr (o ζ Aqr B) - splendendo di magnitudine 4,51 - risulta appena più debole. 

Entrambe le componenti sono stelle di sequenza principale di tipo spettrale F, dalla temperatura superficiale prossima ai 7.000 K; tuttavia, l'esile differenza di luminosità la dice lunga sull'esigua differenza di massa: ζ2 Aqr e ζ1 Aqr possiedono masse rispettivamente 1,72 e 1,65 volte quella del Sole. 

Lo studio del loro moto orbitale delle due componenti principali fornisce in realtà una massa totale del sistema 5 volte quella del Sole, valore leggermente maggiore di quello derivato da luminosità e temperatura, più preciso, fornisce una massa totale 3,4 volte quella solare; ciò è chiaro indice di un certo errore nei parametri orbitali desunti che, quindi, non sono ancora perfettamente accurati...d’altronde, è stata osservata solo una piccolissima parte del loro percorso orbitale.


Infatti, le due componenti principali del sistema di ζ Aqr orbitano l’una intorno all'altra con un periodo incerto, che va dai 760 ai 590 anni (anche se stime recenti sembrerebbero confermare la validità del secondo valore); la loro distanza media è di circa 140 Unità Astronomiche (equivalente a circa 3,5 volte quella media di Plutone dal Sole) ma, essendo l’orbita notevolmente eccentrica, questa le porta ad avvicinarsi da “sole” 95 UA ad allontanarsi fino a 210 UA: potendo osservare l’una o l’altra stella stando idealmente su una delle due nella fase di massimo allontanamento, vedremmo l'altra risplendere nel cielo con una intensità luminosa almeno 65 volte quella della Luna Piena! 

La luminosità intrinseca è invece pari a 13 e 11 volte quella della nostra stella. Misure spettrometriche sembrano indicare che ζ2 Aqr sia a sua volta sede di un sistema binario, con un periodo orbitale di 26 anni; venisse in futuro confermato tale dato, il compagno più piccolo sarebbe quindi una piccola e debole nana rossa, dalla massa solo il 40% di quella del Sole.

lunedì 20 agosto 2018

IL GRUPPO DI GALASSIE MAFFEI

Nel 1968, l'astronomo italiano Paolo Maffei, nell'intento di rilevare nebulose diffuse associate a stelle variabili del tipo T Tauri, intraprese all'osservatorio di Asiago una ricerca ad alta risoluzione utilizzando emulsioni iper-sensibilizzate immerse in soluzioni di ammoniaca al 5% utilizzate riprendendo la volta celeste con un tempo massimo di 3-5 minuti; Maffei divenne così uno dei pionieri nella ricerca nell'infrarosso vicino.

In una lastra ripresa il 29 settembre 1967, l'astronomo perugino notò la presenza di un oggetto che si estendeva fino a 23' - ovvero, per tre quarti del diametro della Luna piena - che però risultava quasi del tutto invisibile ma nelle lastre sensibili alla luce blu riprese nella stessa area celeste, laddove appariva un piccolo oggetto dall'apparenza nebulare, esteso poco più di 1'. Analizzato da subito con lo spettrometro, tale oggetto non mostrava alcuna linea ad assorbimento ne ad emissione, evidenziando anche la mancanza di emissione nella banda radio. Nel 1970, l'astronomo americano Hyron Spinrad suggerì che tale oggetto, catalogato nel frattempo come Maffei 1, poteva essere in realtà una gigantesca galassia ellittica oscurata dalle polveri presenti nella Via Lattea: visione che si rilevò, da li a breve, più che azzeccata! 

Le due galassie Maffei I (in basso a sx) e Maffei II (in alto a dx), riprese dal telescopio spaziale Spitzer

Maffei 1 si proietta esattamente dietro il piano galattico, le cui polveri comportano una diminuzione della sua luminosità di quasi 5 magnitudini nella luce visibile: se tale effetto di estinzione interstellare non fosse presente, tale galassia sarebbe sicuramente da annoverare tra le dieci galassie più brillanti del cielo boreale! Polveri galattiche a parte, la sua osservazione è ulteriormente ostacolata dalle miriadi di deboli, tutte appartenenti alla Via Lattea, che le si stagliano letteralmente addosso.

Si tratta di una galassia ellittica gigante di tipo E3 (come da classificazione di Hubble), dalla massa stimata in almeno 200 miliardi di volte di stelle come ili nostro Sole; a detta di alcuni ricercatori, tale valore sarebbe anche maggiore della massa della stessa Via Lattea! Maffei I dista 9.300.000 anni luce, valore che ne fa la galassia ellittica di una certa dimensione più vicina alla Via Lattea; pur essendo al di fuori del Gruppo Locale di galassie, Maffei I se ne sta allontanando alla velocità di 540 mila chilometri all'ora: percorrendo quindi 1 anno luce ogni 2 mila anni circa, entro qualche miliardo d'anni Maffei I sarà definitivamente evasa da qualunque tipo di influenza gravitazionale che, ad oggi, potrebbe ancora legarla al Gruppo Locale. 

Il suo diametro apparente, pari a 3,3'x1,7', messo in relazione alla distanza fornisce la misura del reale diametro della galassia, pari a 75 mila anni luce. La sua magnitudine assoluta integrata nel visuale è invece pari a -20,8, paragonabile a quella della Via Lattea.

Come ogni galassia ellittica che si rispetti, anche Maffei 1 è costituita principalmente da vecchie stelle evolute, la cui elevata metallicità (indice che esprime l'abbondanza di elementi più pesanti dell'idrogeno e dell'elio) indica per queste un'età superiore a 10 miliardi di anni; circa 1.100 ammassi globulari ne avvolgono la struttura, una popolazione davvero considerevole per una galassia ellittica non eccezionalmente grande! Maffei 1 possiede un minuscolo nucleo inaspettatamente blu, largo quasi 4 anni luce, che contiene quasi 30 masse solari di idrogeno ionizzato e che, forse, ha subito recenti episodi di formazione stellare. 

Le tecnologie di osservazione nell'infrarosso, che sono in grado di studiare le radiazioni provenienti dallo spazio profondo al di la dell'estremo rosso dello spettro visibile, portarono nel 1970 alla scoperta di un secondo oggetto posto nelle immediate vicinanze di Maffei 1, prima del tutto sconosciuto, che assunse presto il nome di Maffei 2Rilevare la morfologia di questa nuova galassia fu ben più facile, dal momento che Maffei 2 mostrava braccia a spirale ben definite, pur non eccessivamente estese. 


Maffei 1, tra l'altro, possiede anche piccole galassie satelliti, tra cui la spirale Dwingeloo 1 e la sua satellite Dwingeloo 2, MB1 ed MB2; tutte assieme costituiscono un vicino gruppo di galassie contenente circa 25 membri, la più grande delle quali è la spirale barrata IC342 (Cam): il gruppo di Maffei, così come venne chiamato, che è anche quello più vicino al Gruppo Locale, tanto da ritenere che in un lontano passato fosse gravitazionalmente legato ad esso. Forse, a seguito di un passaggio ravvicinato della ben nota grande galassia di Andromeda, tale gruppo sarebbe stato espulso, allontanandosi alla distanza laddove esso è stato rilevato.

martedì 27 marzo 2018

STELLE AUSTRALI VISIBILI DAI NOSTRI ORIZZONTI

Sono stato sempre affascinato dal "poco conosciuto", da ciò che sfugge all'attenzione dei più restando sepolto, spesso, nell'indifferenza; in termini di star-gazing, ho avuto sempre una certa curiosità nel riuscire ad osservare quelle stelle e costellazioni appartenenti all'emisfero celeste australe che fanno capolino sugli orizzonti delle latitudini medio-settentrionali come quelle italiane; stelle generalmente trascurate dagli amanti del cielo proprio a causa della loro scarsa visibilità, dettata principalmente dalla presenza delle foschie, dall'esigua altezza con la quale transitano al meridiano e, non ultimo, dal breve tempo durante il quale appaiono.

I curiosi che volessero sfidare il cielo terso del periodo più freddo dell’anno, così come quello delle prime serate di primavera, avranno l’opportunità di osservare alcune stelle che, almeno fino a qualche tempo fa, facevano parte di quella che era la più vasta costellazione del cielo, la Nave Argo (Argo Navis). Nel 1930, l'Unione Astronomica Internazionale, decisa a delineare per sempre il numero delle costellazioni presenti il cielo nonché i loro confini, a causa della grande estensione ma anche della complessità della figura della Nave Argo, smembrò tale costellazione (una delle 48 originarie dell'astronomo Tolomeo!) in quattro nuove figure - si fa per dire - minori: Carena, Bussola, Poppa e Vele. La prima è prettamente australe, tanto la sua stella più luminosa, Canopo, si affaccia di pochissimo sul mare della punta meridionale della Sicilia; la Bussola, che è anche la più piccola e meno appariscente a causa delle sue deboli stelle, sale per bene al di sopra di tutto l'orizzonte italiano. La Poppa è interamente visibile scendendo almeno alla latitudine di +40° (Italia meridionale) mentre la parte meridionale della costellazione delle Vele, che contiene due delle luminose stelle formanti l’asterisma chiamato “falsa Croce” (del Sud) è preclusa dall’orizzonte. Sono proprio le stelle appartenenti a queste due queste ultime costellazioni il target nelle serate di questo periodo e per le quali spenderò le parole qui di seguito.

Le costellazioni facenti parte della fu-nave Argo si elevano di poco al di sopra degli orizzonti italiani

Occupando un'area estesa per 673 gradi quadrati, la costellazione della Poppa è la 20a per estensione di tutta la volta celeste. Tuttavia, la sua stella più luminosa, che splende di magnitudine 2,21, può essere avvistata anche dalle medie latitudini settentrionali, salendo non più di 5° sull’orizzonte: si tratta di Naos (ζ Pup). E’ uno dei pochissimi esempi di stelle supergiganti blu di tipo O visibili ad occhio nudo; si trova a circa 1.090 anni-luce di distanza ed è la 62a stella più luminosa visibile nel cielo notturno. La temperatura superficiale di questa stella è prossima di 42 mila K e la massa è 22,5 volte quella del Sole; con un raggio “solo” 14 volte solare, essa è 550.000 volte più luminosa del Sole, ragione per la quale, in questo caso, il termine "supergigante" è relativo a queste due grandezze più che al reale diametro. Grazie ad un vento stellare che “soffia” all’incredibile velocità di 2.500 km/s, essa proietta annualmente nello spazio circa un milionesimo della sua massa. Misure sul suo moto indicano che essa potrebbe essere nata nell'ammasso stellare aperto noto come Trumpler 10, distante 1400 anni luce; da qui, sarebbe stata espulsa circa 2,5 milioni di anni fa, percorrendo da allora un viaggio lungo 400 anni-luce!

La stella Naos (ζ Pup) (Image credits: DSS2)

Le due successive stelle appartenenti a questa costellazione che potremmo cercare di individuare sono σ e ν Pup, entrambe situate più ad occidente di Naos ma a declinazioni minori di essa. La prima, σ Pupdi magnitudine 3,25, è lontana 194 anni-luce di distanza dal Sole. E’ in realtà un binaria spettroscopica dal periodo orbitale di 257,8 giorni che crea delle mutue eclissi che ne variano la luminosità complessiva ogni 130,5 giorni: la componente più luminosa è una gigante arancione di tipo K5. Al contrario, ν Pup è una caldissima gigante bianco-azzurra, appartenente alla classe stellare B8; splende di magnitudine 3,17 ma in realtà è oltre 1300 volte più luminosa della nostra stella! Distando “solo” 43 anni-luce, è una della rare stelle di questo tipo presenti nei dintorni - si fa per dire - del Sole.

Al contrario della Poppa, la cui parte più settentrionale è circa all’altezza della stella Sirio - quindi ben visibile anche dalle nostre latitudini - l’adiacente costellazione delle Vele, che si estende soprattutto in longitudine celeste, è di molto più bassa, tanto che è davvero limitato il settore da noi visibile e il numero di stelle di una certa luminosità in esso incluse. Estendendosi per 500 gradi quadrati, la costellazione delle Vele è la 32a in ordine di estensione di tutto il cielo.

Tra le sue stelle di una certa luminosità, quella più settentrionale e senz’altro meglio visibile è l’arancione Alsuhail (λ Vel). Si tratta, in realtà, della terza stella più luminosa di questa costellazione, splendendo di magnitudine apparente 2,21; Distante 545 anni-luce, è una gigante arancione che presenta variazioni di luminosità entro le magnitudini 2,14 e 2,30, difficilmente rilevabili al binocolo; la sua massa è 8,5 volte maggiore di quella del Sole e, con un raggio quasi 210 volte maggiore, la luminosità risultante - sempre in termini solari - è ben 10.000 volte maggiore!

La stella Alsuhail (λ Vel) (Image credits: DSS2)

Il suo nome proprio è condiviso dalla stella più luminosa di questo settore celeste, γ Vel, che splende di magnitudine visuale apparente di 1,75; tuttavia, essa è nota anche con un altro nome: Regor, per il quale vale la pena spendere qualche riga raccontandone la curiosa storia. Il nome non ha antiche origini; venne invece coniato dall'astronauta Virgil Grissom, comandante della prima missione Apollo, per il cui equipaggio tale stella faceva da navigatore; Grissom, scherzosamente, chiamò la stella "Regor" invertendo semplicemente il nome del capo spedizione a Terra, Roger Chaffee. Purtroppo l'astronauta morì nel famoso incendio del 27 Gennaio 1967, che costò anche la vita al suo collega Edward White; da allora, Regor è stato informalmente adottato come nome proprio di questo affascinante sistema stellare.

Lontana circa 336 anni-luce, pur apparendo come una singola stella ad occhio nudo, γ Vel è in realtà sede di un sistema stellare multiplo, composto da almeno sei stelle! La componente principale del sistema , γ- 2 Vel o γ Vel A, è a sua volta binaria spettroscopica composta da una supergigante di tipo O7 e una massiccia stella Wolf- Rayet! Di certo, non si soffrirebbe il freddo, stando su un ipotetico pianeta in orbita attorno a queste due caldissime e luminosissime stelle! Fatto assai curioso, questa stella, così come la "vicina" Naos nella Poppa, sono entrambe stelle di tipo O, classe assai rara nella Galassia.

In particolare, la componente Wolf-Rayet del sistema di γ Vel A è una dei candidati più probabili ad esplodere come supernova entro “breve termine”, astronomicamente parlando. Le due stelle orbitano una intorno all'altra con un periodo di 78,5 giorni e sono separate da 1 UA, l’equivalente della distanza Terra-Sole; il compagno più vicino alla stella binaria, Gamma-1 Vel o Gamma Vel B, è una supergigante bianco-azzurra. Altri componenti del sistema sono Gamma Vel C, una stella bianca con una magnitudine visuale di 8,5, e un'altra stella binaria, la coppia Gamma Vel D-E: la prima è una stella bianca di tipo A stelle che splende di magnitudine apparente di 9,4 mentre la seconda, di magnitudine 13, è quindi molto più debole.

La stella Regor (γ Vel) (Image credits: DSS2)

Infine, per i più “volenterosi” osservatori di tali stelle australi, segnalo la più bassa tra le stelle della Vela, μ Vel, che può essere scorta da latitudini di almeno 40°: in altre parole, dall’Italia meridionale. Lontana 117 anni-luce, è anch’essa è una stella binaria. Le due componenti orbitano una intorno all'altra con un periodo di 116,24 anni e sono separate da 1,4” d'arco. Le due componenti, di magnitudine 2,7 e 6,4, rendono al sistema una luminosità totale equivalente a 2,69 magnitudini . La componente più luminosa è una gigante gialla di tipo solare, dalla luminosità poco più di 100 volte quella del Sole e con massa e diametro rispettivamente 3,3 e 13 volte maggiore; la compagna è anch’essa di tipo solare ma dalle caratteristiche fisiche molto più simili a quella della nostra stella: in altre parole, mostra alla perfezione quanto debole apparirebbe il Sole osservato da quella enorme distanza cosmica!

sabato 24 marzo 2018

REGULUS E LA SUA STRAORDINARIA ROTAZIONE

Marzo è il mese in cui a mezzanotte transita al meridiano una delle costellazioni più imponenti di tutta la volta celeste, il Leone: una di quelle (poche, a dire il vero!) la cui disposizione delle stelle ricorda davvero la figura che sta a rappresentare. Alla pari del grande e del piccolo carro, asterismi contenuti nelle rispettive orse, grande e piccola, nell'area occidentale della grande costellazione zodiacale è presente un caratteristico asterisma, il cosiddetto “falcetto del Leone”, simile ad un grande punto interrogativo; la stella alla base di questa singolare figura, che delinea una delle zampe anteriori del Leone: Regulus.

La costellazione del Leone; Regulus è la stella più luminosa, poco più in basso del centro dell'immagine

L'astronomo tedesco Johann Bayer, nella sua Uranometria del 1603, attribuì alla stella la lettera greca α ad indicarne la supremazia luminosa tra tutte quelle appartenenti alla splendida costellazione zodiacale; splendendo di magnitudine 1,40, Regulus è la ventunesima stella più luminosa della volta celeste. Il nome proprio venne attribuito da Niccolò Copernico, in riferimento al greco "Basiliscos" (principe, piccolo re) attribuito alla stella dall'astronomo alessandrino Tolomeo indicante, per l'appunto, "il piccolo re"; probabilmente in riferimento alla possenza della figura di cui ne è parte ma, forse, derivato da una ben più antica tradizione persiana che identificava in Regulus, così come in Antares, Fomalhaut e Aldebaran le stelle "reali", una per stagione. Non solo prossimità all'equatore celeste rende la stella del Leone visibile da tutte le aree abitate della Terra mail fatto di trovarsi ad appena 0,5° dall'eclittica rende Regulus frequentemente in congiunzione con pianeti che le transitano vicino nonché occultata, in particolare dalla Luna. 

Pur apparendo ad occhio nudo come una singola stella, analisi dettagliate dello spettro di Regulus rilevarono alcune oscillazioni cicliche che venivano puntualmente rilevate ogni 40,1 giorni; tale singolare particolarità venne interpretata come indotta dalla presenza di una compagna stretta avente lo stesso periodo orbitale delle oscillazioni, situata a soli 52 milioni di km dalla stella primaria, una distanza minore del raggio orbitale di Mercurio. Nessuno dei più potenti telescopi in passato ed oggi in uso è riuscito ad osservate direttamente tale stella in quanto sovrastata dalla luce della vicina compagna.


Assumendo per la componente maggiore delle due una massa pari a colte 3,4 quella del Sole, quella della compagna dovrebbe quindi aggirarsi attorno alle 0,30 masse solari: tale modesto valore, in accordo con il modesto ma pur presente eccesso di radiazione UV rilevato, portano ad ipotizzare possa trattarsi di una piccola ma caldissima nana bianca, prodotto finale di quella che in passato doveva essere la compagna dell'attuale stella più luminosa del sistema ma che, proprio per la sua massa maggiore, ha subito una evoluzione più veloce. Torneremo a parlare tra poco di questa piccola stella che potrebbe essere stata determinante nello sviluppo di quella che è la più importante caratteristica della principale stella di questo sistema, che tra poco andremo a scoprire. 

Già con un telescopio da almeno 150 mm è possibile notare, discostata a meno di 3' d'arco, una stella di dodicesima grandezza: si tratta della terza componente del sistema: Regulus B, così come è stata denominata, è una nana arancione di classe spettrale K2V (4.900 K), avente probabilmente una massa di 0,8 volte e raggio di poco inferiore ai corrispettivi solari; non dissimile alla componente minore di Alpha Centauri, Regulus B è una stella così minuta che la sua luminosità è solo 3/10 quella della nostra stella. Anch'essa, ad ogni modo, possiede una compagna: si tratta di Regulus C, una nana rossa di tipo M4 (3.400 K), separata poco meno di 100 UA da Regulus B ma assieme alla quale condivide una mutua orbita dal periodo stimato in almeno 800 anni. Queste due piccole stelle, a loro volta, si ritiene compiano una rivoluzione attorno alla coppia principale in almeno 130.000 anni!


La coppia di nane rosse Regulus B-C appare come un unica stella a poco meno di 3' dalla luminosa componente principale del sistema; vicina solo per prospettiva, la galassia nana satellite della Via Lattea LEO I, lontana 820 mila anni luce (Image credits: F. Espenak)

La coppia principale ospita, ovviamente, la componente maggiore del sistema che, proprio per questo motivo, è stata denominata Regulus A. La relativa vicinanza al Sistema Solare, pari a "soli" 79 anni luce, ha reso la stella oggetto di studi approfonditi che hanno portato a delineare con una certa precisione i suoi parametri fisici soprattutto con l'ausilio di interferometri che, come noto, forniscono immagini di elevata risoluzione: per anni ritenuta una stella di sequenza principale, secondo le stime più recenti essa è già uscita dalla sequenza principale, divenendo una subgigante bianco-azzurra di tipo B8IV (11.000 K), dalla massa 4,15 volte volte quella del Sole e dalla luminosità ben 341 volte superiore a quella emessa dalla nostra stella! Regulus A è la subgigante di tipo B più prossima al Sistema Solare; oltre questo piccolo "record", però, null'altro di interessante rispetto alla moltitudine di stelle che popolano la Galassia, molte delle quali hanno tanto in più da raccontare.

Ciò che contraddistingue Regulus A dalla maggior parte delle altre stelle di tipo B (...e non solo) è la sua straordinaria velocità di rotazione, denotata dall'inconsueto allargamento delle sue linee spettrali; questa, infatti, compie una rotazione in sole 15,9 ore, un valore elevato che porta la forza centrifuga a generare una pressione diretta verso l'esterno della stella all'altezza dell'equatore, particolarità che porta la sua struttura a non essere sferica come quella del Sole e della maggior parte delle altre stelle ma ad assumere una forma altamente oblata, non dissimile da quella di un pallone da rugby! Regulus A è quindi una estremamente appiattita ai poli, tanto che il raggio equatoriale è maggiore del 32% rispetto al raggio polare: rispetto al Sole, il raggio polare di Regulus A è 3,15 maggiore mentre quello equatoriale poco meno di 5 volte il corrispettivo solare!


Come tutte le altre stelle, anche Regulus A è soggetta ad una rotazione differenziale che porta la sua superficie a ruotare a velocità diversa a seconda della latitudine; fenomeno che si riscontra anche sul Sole, dove un punto all'equatore completa una rotazione ogni 24 giorni mentre un altro, più vicino ai poli, impiega circa 38 giorni. Ebbene, la velocità all'equatore di Regulus – tra 320 e 357 km/s - è talmente elevata da essere non solo decine volte maggiore del Sole ma da arrivare addirittura al 96,5% del valore di velocità angolare critico per la rottura che, se superato, porterebbe l'intera struttura stellare a sfaldarsi!

Non solo: la forza centrifuga spinge la massa stellare lontano dall'asse di rotazione, generando di conseguenza una minore pressione del gas nelle regioni equatoriali della stella: qui, infatti, il gas diventa meno denso e meno caldo rispetto a latitudini maggiori al di sopra e al di sotto dell'equatore, con la diretta conseguenza che i poli divengono più brillanti. Tale fenomeno, noto come oscuramento gravitazionale, rende quindi la fotosfera all'equatore della stella luminosa rispetto a quella presente a latitudini maggiori, laddove diviene più calda di almeno 5.200 K ed almeno cinque volte più luminosa (per unità di superficie)! 

Dimensioni comparate tra il Sole e Regulus A; l'immagine mette bene in evidenza lo schiacciamento polare della stella dovuto alla sua elevatissima velocità di rotazione nonché l'oscuramento gravitazionale all'equatore

Cosa altro succede quando una stella ruota così velocemente? Parte del materiale gassoso viene espulso a livello equatoriale disponendosi a formare una sorta di disco circumstellare; tale fenomeno, riscontrato in altri "rotatori veloci" e dello stesso tipo spettrale - per questo, definite stelle "Be" - come Achernar, crea le caratteristiche righe di emissione della serie di Balmer - proprie dello spettro dell'atomo di idrogeno - che si osservano, oltre che nello spettro di oggetti quali nuclei galattici attivi, regioni HII e nebulose planetarie, anche nelle stelle di tipo B; poiché il disco di materiale gassoso è instabile, questo produce spesso variazioni di intensità nelle righe ad emissione che possono variare anche nell'ordine di poche ore. Stranamente, pur essendo Regulus A dotata di una velocità di rotazione "al limite", nessuna riga di emissione è finora stata osservata nel suo spettro: cosa che denuncerebbe, quindi, l'assenza di un disco di polveri a livello equatoriale circostante la stella. Regulus, quindi, non è una stella Be. Stando ad alcuni modelli di evoluzione stellare, le stelle di tipo B diverrebbero delle "Be" nelle ultimissime fasi della loro vita in sequenza principale o non appena uscite da essa, fase che Regulus A sembra aver passato da non molto.


Visione fantastica di una stella Be con il materiale gassoso espulso all'equatore 

Ma, in fondo: perché Regulus A ruota così velocemente? Stando alle due teorie prevalenti, la causa andrebbe cercata nel passato della stella.

Secondo la prima, le moderne teorie sulla formazione stellare, le stelle si formerebbero dal collasso gravitazionale di nubi costituite da gas e polveri; con l'avanzare del collasso, la conservazione del momento angolare provocherebbe un netto aumento della velocità di rotazione della nube, disponendo la materia in un disco attorno alla protostella in formazione. Ma il collasso senza sosta della protostella apporterebbe un aumento della velocità di rotazione della stessa al punto che essa la protostella, a causa della grande forza centrifuga all'equatore, potrebbe arrivare a sfaldarsi: per evitare questo scenario, la protostella dovrebbe quindi frenare, nella primissima fase di vita, la sua velocità di rotazione. Come? Una possibile soluzione andrebbe cercata nell'interazione tra il campo magnetico ed il vento stellare: quest'ultimo, infatti, preleverebbe parte del momento angolare rallentando la rotazione della protostella. A sostegno di questa ipotesi vi sono le numerose stelle di sequenza principale ad oggi osservate, con classe spettrale compresa tra O5 ed F5, che ruotano a velocità elevatissime: si è notato che la velocità di rotazione cresce all'aumentare della massa, con un picco tra le giovani e massicce stelle di classe B. Certamente, così come la durata di vita diminuisce all'aumentare della sua massa, così si ritiene che la velocità di rotazione della stella diminuisca con l'avanzare dell'età.



E' anche vero che le stelle rallentano la loro velocità di rotazione con il tempo; poiché Regolo A non sembra essere una stella giovanissima, la sua alta velocità di rotazione potrebbe essere spiegata prendendo in gioco la piccola ma densa compagna "nana bianca" cui si accennava sopra: secondo questa seconda teoria, in uno stadio precedente della sua evoluzione - presumibilmente, allorché questa transitò nella fase di gigante rossa - essa potrebbe aver ceduto parte della sua massa alla attuale Regulus A, particolarità che avrebbe portato la stella ad aumentare, di conseguenza, la sua velocità di rotazione fino al valore oggi osservato.

mercoledì 14 marzo 2018

WR 25, LA STELLA (FORSE) PIU' LUMINOSA DELLA GALASSIA

Uno degli argomenti che più affascinano i neofiti dell'Astronomia è certamente quello dei cosiddetti "record stellari": astri di piccole e gigantesche dimensioni, lontani e vicini, caldissimi e freddissimi, ultra-luminosi ed ultra-deboli, ultra-massicci e "pesi piuma", a rotazione lentissima e velocissima, visibili ed invisibili ad occhio nudo e con i telescopi; certamente, le grandezze misurabili per le quali le stelle possono essere classificate non sono poche!

Tenendo conto che nella sola Via Lattea la nostra galassia - sono contenute probabilmente circa 1.000 miliardi di stelle, viene indubbiamente da ritenere che nella ricerca di "stelle da record", i pesi massimi andrebbero cercati non solo tra quelle che si rendono già ben visibili ad occhio nudo ma delle quali si ritrovano notevoli quantità di dati in letteratura: discorsi che possono certo valere per le varie Antares, Betelgeuse, Deneb, Eta Carinae e tante altre. Attenzione però: basta una semplice occhiata ad una mappa che identifichi la posizione del Sistema Solare all'interno della Via Lattea per comprendere comprendere che la distanza delle stelle, assieme ad un altro fattore determinante quale l'assorbimento della loro luce da parte delle polveri situate nel piano galattico, possono mascherare eventuali stelle da record poste ben lontane da noi al punto da farle apparire non dissimili dalla mole di debolissimi astri che, tutti assieme, vanno a costituire la moltitudine di stelle delle quali è composta la Galassia, un sistema talmente enorme che un raggio di luce partito da una delle stelle più lontane poste alla periferia del disco impiegherebbe non meno di 120 mila anni luce attraversarlo e giungere dalla parte diametralmente opposta!

Agli appassionati delle innumerevoli meraviglie contenute nella volta celeste sarà certamente nota la cosiddetta "nebulosa della Carena", una delle più vaste nebulose ad emissione (detta anche regione HII) presenti nella nostra galassia, un sistema associato a stelle per lo più giovani, blu e calde e che raggiunge le considerevoli dimensioni di 260 anni luce di diametro!


La grande nebulosa della Carena con, indicata, la super-stella WR 25

Lontana ben 7.500 anni luce, oltre che per essere perfettamente visibile ad occhio nudo, a contenere un elevato numero di ammassi stellari nati dalla grande quantità di gas ivi presente, che danno luogo anche ad alcuni fenomeni attivi di formazione stellare, la nebulosa è soprattutto nota per contenere la stella variabile Eta Carinae, una delle stelle più massicce e luminose che si conoscano. Ebbene, stagliata sulla stessa nebulosa e proprio vicino a quest'ultima è presente WR 25, un sistema di stelle binarie lontano dal Sistema Solare circa 7.500 anni luce, costituito da una stella del tipo Wolf-Rayet e da una compagna luminosa e calda; il sistema è membro del giovane ammasso di stelle noto come Trumpler 16 che è, a sua volta, parte dell'associazione di stelle blue giovani chiamata "Carina OB1", una delle più vaste presenti nella Via Lattea. 

WR 25 venne identificata come stella Wolf-Rayet già nel XIX secolo: oltre che la notevole luminosità, soprattutto per il suo spettro dominato da ampie righe di emissione, particolare caratteristico di queste stelle massicce e molto evolute che perdono una notevole parte della loro massa a seguito di intensissimi e veloci venti stellari. Ad attente analisi, lo spettro si rilevò in realtà "intermedio" tra quello di una stella Wolf-Rayet - in particolare, del tipo WN - e quello di una supergigante di tipo O: ciò portò a ritenere che WR 25 potesse essere in realtà un sistema binario, composto da una stella WN e da una di tipo O7 anche se qualsiasi contributo dalla compagna di tipo O, ancora oggi, non può essere rilevato con chiarezza.

Ma cosa sono le WN? Nel 1938, l'Unione Astronomica Internazionale classificò gli spettri delle stelle Wolf-Rayet in due tipologie: quelle denominate, per l'appunto, WN, i cui spettri sono dominati dalla riga dell'azoto, e quelle di tipo WC, nelle quali prevaleva quella relativa a carbonio ed ossigeno. La differenza spettrale tra una stella Wolf Rayet ed una di classe spettrale O, di temperatura simile, dipende essenzialmente dalla presenza nello spettro di intense righe di emissione dell'elio ionizzato, azoto, carbonio e ossigeno; tuttavia, esiste un certo numero di stelle con caratteristiche spettrali intermedie tra i due tipi; ad esempio, le stelle O ad alta luminosità possono comunque presentare righe di emissione dell'elio e dell'azoto mentre alcune WR evidenziano anche righe dell'idrogeno, oltre che una deboli righe di emissione ed anche di assorbimento. Tali stelle "intermedie" vengono indicate con il termine inglese "hot slash", dalla particolare sigla inglese "OIf*/"WN" che evidenzia  caratteristiche spettrali in comune: certo, confusione non manca. Con l'introduzione di tale particolare classificazione, a WR 25 venne assegnato il tipo spettrale O2.5If*/WN6 che identifica la presenza di azoto, la debolezza intrinseca di molte righe di emissione e la presenza di altre, ad assorbimento, dell'elio e dell'idrogeno. 


Una prova pur indiretta, dell'effettiva presenza della stella O nel sistema di WR 25 pervenne dall'osservazione di variazioni periodiche della sua velocità radiale, interpretate come prodotte dalla presenza di una compagna della stella Wolf-Rayet: la tanto acclamata stella blu di classe O. Non solo: stimando il periodo orbitale in circa 208 giorni, le masse ottenute sono pari a ben 75±7 volte quella del Sole per la WR e a 27±3 volte per la compagna di tipo O. Stando così le cose, la stella primaria di WR 25 acquista, di diritto, il record per essere la stella più luminosa conosciuta nella Via Lattea ad oggi nota; dai calcoli, la sua luminosità intrinseca risulta circa 6,3 milioni di volte quella del Sole: un valore inimmaginabile per qualsiasi mente umana!


In questa immagine ripresa dal telescopio spaziale Hubble, sono presenti due stelle colossali: WR 25, al più luminosa e al centro, e Tr16-244, a sinistra, situate all'interno del cluster aperto Trumpler 16

Ad oggi, si ritiene che la compagna sia una supergigante di O4, più giovane stella stella WR; entrambe le stelle, a causa della pressione di radiazione indotta dall'estrema luminosità, scolpiscono l'ambiente nebulare circostante creando lunghi archi di gas e filamenti che sembrano allontanarsi dalla coppia: la stessa collisione dei venti stellari prodotti dalle due stelle produce raggi X, cosa che portò a sospettare circa lo stato binario di WR 25. 

Ad ogni modo, il modello utilizzato per ricavare i parametri stellari non è propriamente applicabile ai sistemi binari, la qual cosa produce un certo grado di incertezza sui valori ottenuti; altre ricerche, infatti, stimano il contributo della stella "secondaria" - certo, ridicolo definirla così - pari al 15% della luminosità del sistema, o poco più. Per contro, stime precedenti avevano prodotto valori inferiori, attorno a 1,5 milioni di volte il Sole, con stime di conseguenza inferiori per altre grandezze fisiche.

Pur emettendo gran parte dell'energia prodotta nell'ultravioletto e sebbene WR 25 sia comunque così intrinsecamente luminosa, essa non si rende visibile ad occhio nudo a causa della forte estinzione di luminosità indotta dalle nubi e dalle polveri presenti nella nebulosa della Carena. La domanda, però, è davvero lecita: quante altre stelle iper-luminose esistono nella Galassia ma che risultano indebolite a causa dello stesso fenomeno? La risposta, ai progressi della tecnologia applicata ai grandi telescopi. 

domenica 11 marzo 2018

VELA JUNIOR, IL RESTO DI SUPERNOVA PIU' VICINO AL SISTEMA SOLARE

Uno dei più violenti fenomeni che si verificano nell'Universo sono le cosiddette supernovae (SN), immani esplosioni di stelle a seguito delle quali vengono rilasciate energie talmente elevate, specie nella fase di massimo, da essere paragonabili a quella emessa da tutte le stelle di un'intera galassia!


La supernova 2016bau, esplosa nella galassia NGC3631 (Image credit: Sloan Digital Sky Survey e Tom Wildoner)

La produzione di tali cataclismi è indotta essenzialmente da due fenomeni:

  • l'esplosione di massicce stelle supergiganti a seguito del repentino collasso gravitazionale cui vanno soggette dopo aver esaurito i cicli di fusioni nucleari nel proprio nucleo, atte a produrre quell'energia che, sotto forma di pressione di radiazione, le aiuta a sostenere il loro stesso peso: tali oggetti sono chiamati supernovae di tipo II, nel caso ad esplodere sia una singola stella, o supernova di tipo Ib/Ic, nel caso si tratti di un sistema binario di stelle
  • l'esplosione di una nana bianca posta in orbita attorno ad una gigantesca stella evoluta ma poco densa, che versa materiale gassoso sulla piccola stella, portandone la massa a superare il limite critico (limite di Chandrasekar) di 1,4 masse solari (2,765x10^30 kg) che innesca l'esplosione: tale oggetto è noto come supernova di tipo Ia.

Ad oggi, sono noti poco più di 200 resti di questi cataclismi cosmici all'interno della parte visibile della nostra galassia, la Via Lattea: questi si presentano come nubi e filamenti di gas che si espandono nelle oscurità del Cosmo ad altissime velocità. Il più noto è la cosiddetta "nebulosa del granchio" (M1), situata nella costellazione del Toro, che ebbe origine dalla fine violenta di una stella distante circa 6.500 anni luce, registrata dai cinesi nell'anno 1054; l'ultima supernova registrata nella Via Lattea fu quella del 1609, osservata anche dall'astronomo tedesco Keplero: nei quattro secoli passati da quell'evento, nessun'altra supernova è apparsa nella nostra Galassia. Tenendo conto dell'enorme numero di stelle in essa contenute (almeno 1.000 miliardi) e del fatto che nelle galassie a spirale, come la nostra, le esplosioni di stelle sono fenomeni alquanto comuni, la cosa è certamente strana!

Un altro famoso resto di supernova è la cosiddetta "nebulosa delle Vele", presente nella costellazione australe delle Vele, formatosi a seguito di una esplosione stellare avvenuta circa 11-12 mila anni fa; lontana circa 800 anni luce, essa si staglia proprio sulla parte centrale di un altro enorme resto di supernova, posto a circa 1.500 anni luce e noto come "nebulosa di Gum", prodotta anche questa da una supernova ma ben più antica, esplosa alcuni milioni di anni fa.


Nella costellazione delle Vele si sovrappongono due resti di supernova: la "nebulosa di Gum", al centro, in azzurro, e la "nebulosa delle Vele", in rosso (Image credit: Marco Lorenzi)

Ebbene, nella stessa regione di cielo delle Vele dove sono situati i due resti nebulari appena citati, nel 1998 il satellite a raggi X ROSAT individuò un nuovo resto nebulare dalla forma circolare e dalle dimensioni angolari pari a ben quattro volte quelle della Luna piena; da li a poco, il sistema di rilevamento Imaging Compton Telescope (COMPEL) rilevò una particolare linea spettrale caratteristica dell'emissione gamma dovuta al decadimento dell'isotopo del titanio 44Ti, secondo caso di questo tipo dopo quello rilevato nel resto di supernova Cassiopeia AIl nuovo sistema nebulare delle Vele, fino ad allora sconosciuto perché, sostanzialmente, quasi del tutto invisibile nell'ottico, appariva infatti solo nelle riprese a lunghezze d'onda X con un'energia superiore a 1,3 keV; ad energie più basse, la sua emissione svaniva in quella molto più intensa ed estesa del resto delle Vele, sul cui bordo orientale si trova localizzato.

In queste immagini riprese nei raggi X e gamma, tutte nella stessa scala, "Vela Junior" è la nebulosa circolare in basso a sx, stagliata proprio sul bordo della "nebulosa delle Vele"; a dx, la sorgente nota come Vela X (Image credit: ROSAT, H.E.S.S.)

All'analisi spettrale, la temperatura di questi gas si dimostrò superiore a 30 milioni di gradi, particolarità indotta dal decadimento dell'isotopo del titanio 44Ti ivi rilevato; tale dato, incrociato con la morfologia circolare della nebulosa, tolse quindi ogni eventuale dubbio circa la natura di resto di supernova. Poiché i gas componenti tale struttura evidenziavano una elevatissima velocità di moto nello spazio, compresa tra 1.500 e 2.000 chilometri al secondo, ciò era indice della relativa giovinezza di tale resto: si stimò, infatti, che la violentissima esplosione possa aver avuto luogo meno di 1.500 anni fa, indicativamente attorno all'anno 1250. Stimandone la distanza in "soli" 600 anni luce, questo nuovo apparato nebulare divenne il resto di supernova più vicino al Sistema Solare: denominato RX J0852.0 4622 o G266.2−1.2, ad esso venne attribuito il nomignolo di "Vela Junior".


"Vela Junior" appare appena visibile in questa immagine, stagliato al di sopra del luminoso filamento appartenente alla "nebulosa delle Vele" 

Tenendo conto che un'esplosione di supernova a così breve distanza avrebbe di gran lunga superato in luminosità tutte le altre stelle e i pianeti presenti nella notte nonché essersi resa visibile forse anche in pieno giorno, è certamente strano che negli annali astronomici dell'epoca non risulti traccia alcuna di tale evento! Una spiegazione della mancata osservazione del fenomeno è che nubi di gas e polveri interstellari potrebbero aver assorbito la luce emessa dall'immane esplosione; o, più semplicemente, essendo apparsa in una costellazione meridionale, a -46° di declinazione, essa si teneva troppo bassa sull'orizzonte esplorabile dagli astronomi più attivi in epoca medioevale quali quelli orientali.

Cosa alquanto strana, l'assenza di una stella di neutroni all'interno del residuo nebulare; data la sua "giovane" età, questa avrebbe dovuto essere rilevabile per lo meno come una intensa sorgente di emissione termica ma ad oggi nulla di simile è stato rilevato. 

Poco prima di essere dimesso, precisamente nel 2001, il satellite ASCA (Advanced Satellite for Cosmology and Astrophysics) e, successivamente Chandra, rilevarono al centro di Vela Junior un oggetto compatto, una sorgente denominata AX J0851.9-46174 che poteva essere quanto rimaneva della stella che aveva dato luogo alla supernova: questo però splendeva di luminosità costante e non evidenziava alcuna controparte ne ottica ne radio: forse, la stella degenere era li annidata ma il suo fascio ottico e radio non era più orientato in direzione del nostro pianeta? In effetti, questo oggetto non presentava le classiche pulsazioni che contraddistinguono tali "zombie" stellari.

Ad ogni modo, in successive ricerche condotte nel 2015 su dati ottenuti al radiotelescopio di Parkes, in Australia, vennero individuate due pulsar, stagliate apparentemente all'interno del bordo di Vela Junior; secondo alcuni autori, quella denominata PSR J0855-4644, dal periodo pari a 65 millisecondi, potrebbe essere il resto della stella che ha dato vita alla nebulosa ma non si spiega il fatto di trovarsi fortemente decentrata rispetto al centro geometrico della nebulosa, prettamente circolare.



La posizione decentrata della pulsar PSR J0855-4644 rispetto al centro geometrico di Vela Junior, qui ripresa nei raggi X


Alcuni studi che hanno rielaborato l'abbondanza dell'isotopo 44Ti, hanno "allungato" l'età del residuo di supernova a 10 mila anni e la distanza dello stesso entro un range compreso tra 3 e 6 mila anni luce, senza porre comunque alcunché di definitivo su questo oggetto. 

venerdì 9 marzo 2018

CEPHEUS 1, UNA VICINA NASCOSTA

Gli appassionati di Astronomia ricorderanno certamente l'importanza che ebbe la scoperta delle cosiddette "galassie Maffei"; pur essendo a tutti gli effetti nostre vicine di casa - lontane solo 10 milioni di anni luce - queste vennero scoperte dall'astronomo italiano Paolo Maffei solo alla fine degli anni '60 del secolo scorso, a seguito di riprese effettuate nel vicino infrarosso cono lo scopo di ottenere immagini di alta qualità di oggetti celesti: ciò rendeva di fatto probabile l'esistenza di oggetti extragalattici vicini alla nostra galassia, la Via Lattea, ma dei quali, per un motivo o per un altro, se ne ignorava l'esistenza.

Proprio in questo ambito, se nel 1998 il radiotelescopio olandese da 25 m di diametro denominato "Dwingeloo" non avesse scandagliato la volta celeste ad oltre 5° dall'equatore galattico - soglia cui le precedenti ricerche radioastronomiche erano abituali attenersi - tale strumento non avrebbe per nulla individuato un nuovo oggetto celeste che si sarebbe rilevato essere una grande galassia non lontana dal Gruppo Locale: fino ad allora, del tutto sconosciuta!

Cepheus 1, questo il suo nome, è situata entro i confini della costellazione di Cefeo, non lontano dalla nota galassia NGC6946 "fuochi d'artificio", così allegoricamente denominata per l'elevato numero di supernovae in essa apparse; soprattutto, essa dista 8° dall'equatore galattico, particolarità che porta la sua luce ad essere notevolmente assorbita dalle polveri galattiche interposte lungo la nostra linea visuale: caso non dissimile da quello delle più note galassie Maffei cui si accennava sopra.

Cepheus 1, immersa nel ricchissimo campo stellare della Via Lattea (Image credits: R.Walterbos (NMSU), Apache Point Observatory)

Come detto, la scoperta venne effettuata tramite un radiotelescopio, nell'occasione impiegato in un programma di ricerca su nubi galattiche composte da idrogeno neutro (HI) che evidenziano l'inusuale caratteristica di muoversi ad alta velocità; queste vengono infatti rilevate tramite emissione radio nella riga spettrale a 21 cm, caratteristica dell'idrogeno neutro e causata da una variazione energetica di tale elemento che si manifesta ad una frequenza di 1420,405 MHz, equivalente ad una lunghezza d'onda di 21,10611405413 cm.

Cepheus 1 venne inizialmente venne ritenuto essere una delle tante nubi galattiche ricche di idrogeno molecolare; il suo spettro presentava però una riga dell'idrogeno alquanto larga, particolare che oltre ad indicare l'elevata presenza di questo elemento sotto forma di gas diffuso ne indicava anche un'elevata dinamica interna. La distanza di Cepheus 1 era però impossibile da valutare direttamente, sia per la mancanza di un metodo di calcolo applicabile alle nubi di idrogeno che l'assenza di stelle variabili Cefeidi che, come noto, sono ottime "candele standard" utili a stimare, con buona approssimazione, proprio la distanza di galassie.

Il suo spostamento verso il rosso indicava però velocità di allontanamento pari a 280 chilometri al secondo, cosa che implicava l'improbabile appartenenza di questo oggetto alla Galassia; non solo: tale valore non era dissimile da quello esibito proprio dalla "vicina" galassia NGC6946, lontana 22 milioni di anni luce: vista la sua vicinanza angolare a NGC6946 e poiché le sue proprietà cinematiche sono simili a quelle della nota galassia, sembra del tutto plausibile che Cepheus 1 si trovi alla stessa distanza. Tenendo conto della simile distanza ed essendo situata a meno di 4° da NGC6946, la distanza lineare tra questa e Cepheus 1 risulta essere circa la metà di quella che separa la Via Lattea dalla galassia di Andromeda; inoltre, la differenza cinematica tra NGC6946 e la nuova galassia è di soli 2 chilometri al secondo.

In base alle misure angolari, ottenute dalle riprese effettuate ai radiotelescopi, Cepheus 1 tale risultava avere un diametro di circa 60 milioni di anni luce e una massa di circa 1 miliardo di stelle come il Sole: valori non dissimili da quelli della ben nota "galassia del Triangolo" (M33), terzo oggetto per massa e dimensioni del nostro Gruppo Locale. Due altri elementi accomunano queste due galassie: osservata nella riga dell'idrogeno ionizzato (HII), Cepheus 1 rileva la presenza di una trentina di aree nebulari sparse in un raggio di 30 mila anni luce dal suo centro, distribuite similmente a quelle presenti in M33; inoltre, la cosiddetta "funzione di luminosità", ovvero la distribuzione dell'emissione fra regioni più o meno estese e brillanti, è anche questa non dissimile da quella della galassia del Triangolo, rispetto alla quale è però di dimensioni poco maggiori. 

Dalle caratteristiche finora acquisite quali la debole luminosità superficiale del disco e le regioni HII in esso sparse, l'elevata velocità di rotazione dell'idrogeno, il debole livello molecolare, il colore nell'ottico, la bassa abbondanza di metalli pesanti e il suo relativo isolamento portano a concludere che Cepheus 1 possa essere è una delle poche spirali cosiddette "a bassa luminosità superficiale" (LSB) a noi vicine. Anche se la sua massa sembra essere superiore alla media per oggetti di questo tipo, la bassa densità stellare rilevata in Cepheus 1 è caratteristica di tali galassie, proprietà che apporterebbe un'evoluzione molto più lenta rispetto a galassie classiche ben più massicce.

In tempi più recenti, lo stesso radiotelescopio Dwingeloo, nell'ambito di una ricerca al fine di individuare galassie oscure, ha rilevato alcune tracce radio nella riga spettrale a 21 cm da parte di tre oggetti che sembrano essere "candidati galassie", tutte situate entro 10° da NGC6946 e ciascuna con una velocità di allontanamento minore di 250 chilometri al secondo: se, come sembra probabile, tali candidati dovessero essere confermati anche nelle riprese ottiche come galassie nane, allora NGC6946 potrebbe essere a capo di un piccolo gruppo di galassie, composto per lo più da oggetti piccoli e di bassa densità superficiale.

Con i grandi telescopi ottici e arrays di radiotelescopi a terra così come con i vari telescopi spaziali in orbita, tutti costantemente impegnati a scandagliare le parti più remote dell'Universo, si potrebbe pensare che ormai tutto quanto c'era da scoprire, per lo meno nei dintorni della Galassia, fosse ormai stato rilevato: ma Cepheus 1 è a dimostrare l'esatto contrario.