Chi conosce bene il cielo stellato sarà certamente a conoscenza della totale assenza di stelle di colore verde nell'intera volta celeste. Certo, l'osservazione telescopica di stelle doppie potrebbe smentire l'affermazione sopra enunciata; è infatti noto come, in alcuni casi, le componenti meno luminose appaiano, infatti, di una tipica colorazione verdognola. Si tratta però di un mero effetto ottico laddove, nel caso di due sorgenti luminose puntiformi vicine tra loro, allorché una delle due stelle è molto più colorata e luminosa dell'altra, la secondaria appare del colore complementare: si ha così che la stella più debole appare verde se quella principale è rossa (come nel classico esempio di Antares B, compagna della supergigante rossa α Scorpii) oppure blu se quella più luminosa è gialla (come nel caso di Almach B, compagna della gigante arancione γ Andromedae). In altri casi, alcune delle nane bianche situate al centro di nebulose planetarie appaiano verdi; ma anche qui, il colore non è reale, dovuto alla semplice rifrazione della luce della stella caldissima indotta dai gas nebulari.
Certo, verrebbe da pensare che l'Universo non abbia, alquanto stranamente, programmato l'esistenza di stelle verdi nella vasta tipologia di oggetti che lo popolano; in realtà, le cose stanno diversamente: le stelle verdi, infatti, esistono, ma non vengono purtroppo rilevate come tali dal nostro occhio. Vediamo quindi come stanno effettivamente le cose.
Innanzitutto, c'è da dire che l'occhio umano avverte una sensazione di colore ben precisa quando l'energia emessa da una sorgente luminosa come una stella è concentrata attorno ad un preciso valore di lunghezza d'onda (λ) della radiazione; infatti, poiché ad ogni valore di λ corrisponde un preciso valore dell'energia dei fotoni emessi dalla sorgente luminosa, attraverso il nostro occhio si produce una ben definita sensazione neuro-psichica che corrisponde alla visione di un determinato colore: dal rosso (7.000 Å), al giallo (6.000 Å), al verde (5.000 Å), al blu (4.400 Å) e al violetto (3.600 Å), secondo l'ordine crescente di energia dei fotoni.
Naturalmente, ciò vale per un occhio “medio”, potendo tali sensazioni essere soggettive, più o meno diversificate da una persona ad un'altra.
Se una sorgente emette radiazioni comprese in un intervallo molto grande di lunghezze d'onda, come qualsiasi corpo che non si trovi allo zero assoluto (-273° C), essa può dar luogo ad una sensazione di colore cosiddetta “dominante” se la sua curva di emissione - ovvero, la distribuzione della quantità emessa in funzione di λ - ha un massimo ben pronunciato: proprio il caso delle stelle, oggetti che mostrano colori dominanti quali il rosso, il giallo o l'azzurrino. Vien da se che la stima del colore di una sorgente deve essere fatta con strumenti di misura oggettivi, ovvero non legati alla sensazione di colore data dall'occhio umano, che ha una forte componente psichica. Si eseguono quindi misure con rilevatori sensibili solo entro determinate bande spettrali, ciascuna delle quali corrisponde ad un determinato “colore”.
Il colore di una sorgente ha un preciso significato fisico quando essa si trova nella condizione di cosiddetto “corpo nero”, oggetto ideale capace di assorbire ed emettere radiazioni in tutte le lunghezze d'onda. Per una sorgente luminosa reale quale una stella, il colore è un indicatore della sua temperatura. Sono ben note le variazioni di colore di un metallo - ad esempio, una sbarra di ferro - quando, in un ambiente buio, viene riscaldato gradualmente fino alla sua fusione: prima è invisibile poiché, alla temperatura ambiente emette prevalentemente radiazioni infrarosse cui il nostro occhio non è sensibile, quindi assume un colore rosso che diventa sempre più vivo all'aumento della temperatura divenendo giallo ed infine bianco-bluastro, man mano che esso raggiunge la temperatura di fusione.
Le diverse sensazioni di colore si spiegano col fatto che, all'aumentare della temperatura, il massimo di emissione si sposta verso lunghezze d'onda minori, cosa che porta il colore dominante a variare; tale fenomeno, noto come legge di Wien, viene sfruttato per determinare con buona approssimazione la temperatura di una sorgente luminosa reale sia essa la temperatura di un forno, quella della lava che sgorga da un vulcano, quella di una stella o, addirittura, quella di un suo brillamento. In astronomia è molto usato il cosiddetto sistema fotometrico standard di Johnson e Morgan, caratterizzato dalle bande spettrali U, B e V (ultravioletto, blu e visibile) e dagli indici di colore U-B e B-V. Le tre bande spettrali U, B e V sono approssimativamente centrate alle lunghezze d'onda 3.650 Å , 4.400 Å e 5.500 Å, coprendo intervalli spettrali rispettivamente uguali a 680 Å, 980 Å e 890 Å.
Immagine in falsi colori in cui sono presenti stelle rappresentate di colore verde |
Tranne il bianco, nello spettro elettromagnetico sono presenti tutti i colori: il verde, in particolare, giace nel mezzo. La spiegazione sul perché nel Cosmo non siano mai presenti stelle verdi, va quindi ricercata nella specifica curva di risposta spettrale dell'occhio umano.
Le stelle fredde emettono radiazioni con picco dominante nel rosso, tale per cui vengono percepite come rosse; così, quelle calde, emettendo radiazioni con picco dominante nel blu, vengono percepite come azzurre. Le stelle aventi una temperatura con un picco dominante nel verde (ovvero, quelle con temperatura superficiale compresa indicativamente tra 6.000 e 7.000 K) inviano anche tutte le altre radiazioni luminose incluse nello spettro e queste radiazioni sono in grado di attivare contemporaneamente tutti e tre i tipi di coni, presenti nella retina, che catturano la luce verde, blu e rossa. Queste informazioni vengono inviate al cervello che rielabora i tre colori percepiti dalla suddetta radiazione (verde, rosso e blu) e li interpreta come bianco. Ecco, quindi, che una reale stella verde viene rielaborata dal nostro cervello come bianca: inclusa la famosa Zubenelschemali (β Librae) che, descritta in passato da alcuni osservatori, è invece del tutto neutra. Per ottenere le stelle verdi in fotografia, è invece necessario rielaborare le immagini ottenute con i rilevatori applicati agli strumenti applicando le opportune "palettes", assegnando l'output di ogni filtro usato nella ripresa uno specifico colore.
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