domenica 31 dicembre 2017

LA STELLA DEL NUOVO ANNO

Qual è la stella che saluta l’arrivo del nuovo anno? È possibile fornire una risposta a una domanda così curiosa? Ovviamente sì! Chi ne avesse voglia, ad esempio, potrebbe divertirsi nel cercare una stella (abbastanza luminosa) che sorga o tramonti poco prima della mezzanotte del 31 dicembre. Sarebbe un criterio certamente valido (anche se inficiato dal fatto di non poter osservare fisicamente la stella all’orizzonte); la stella che qui proponiamo, invece, è stata scelta per essere quella che più di qualsiasi altra transita al meridiano (quasi) esattamente allo scoccare del capodanno. È il caso di  β Monocerotis, la stella più luminosa della costellazione dell’Unicorno (Monoceros), che possiede il poco conosciuto nome proprio di Cerastes, in riferimento al corno del mitologico animale. Non si tratta di una delle tante famose stelle che trapuntano il favoloso cielo invernale, ma – come spesso accade in astronomia – stelle apparentemente insignificanti si rivelano essere vere e proprie meraviglie all’osservazione telescopica, e non solo.

In effetti, la corrispondenza del transito con l’arrivo del nuovo anno non è proprio perfetta: la stella infatti passa in meridiano alle 23:54, quindi con 6 minuti di anticipo rispetto alla mezzanotte. Ciò nonostante è sicuramente tra quelle che sotto la quarta magnitudine – e non troppo vicine al Polo (sarebbero troppo “lente” e poco significative) – si approssima meglio alla condizione che abbiamo posto. β Mon è la stella indicata dal circoletto giallo, facilmente identificabile in qualsiasi notte serena, a patto di avere un cielo privo di inquinamento luminoso. Se la notte di capodanno vi ritroverete poco prima della mezzanotte sul balcone di casa con una bottiglia in mano…beh, in quel momento Cerastes starà quasi esattamente passando al meridiano sud (immagine: Coelum Astronomia):



Detto questo, proviamo quindi a osservare la nostra stella con un piccolo telescopio: con meraviglia, noteremo che non è affatto l’anonima stellina che potrebbe sembrare, ma un incantevole terzetto di stelle bianco-azzurrine dalla luminosità molto simile; la caratteristica di β Monocerotis, infatti, non è solo quella di essere uno dei pochi sistemi tripli abbordabili con strumenti modesti ma anche il fatto che tutte e tre le componenti splendono all’incirca della stessa luminosità: fatto alquanto inusuale poiché, nella maggior parte dei casi, le differenze di magnitudine tra le componenti di sistemi multipli sono alquanto evidenti. Fu W. Herschel il primo a scoprire la tripla natura di questa stella. L’evento risale al 1781 e l’astronomo di origini tedesche ne fu talmente entusiasta da descriverla come «una delle vedute più incantevoli offerte dalla volta celeste»; e non si sbagliava! Le tre stelle sono chiamate (in ordine di Ascensione Retta) rispettivamente A, B e C. Casualmente, questo ordine corrisponde anche a quello di luminosità: A è la componente più luminosa (mag. +4,6), cui segue la B di mag. +5,4, e infine la C di mag. +5,6. Prese singolarmente sono in realtà più deboli di α Monocerotis (mag. +3,94); facile quindi comprendere come la luminosità di β Mon (mag. +3,74) – quella visibile ad occhio nudo – dovuta alla somma delle tre componenti, raggiunga quella di α Mon e addirittura la superi, seppur di poco. La separazione tra la coppia primaria AB è di 7,4" d’arco, valore che permette alle due stelle di essere risolte già a una cinquantina di ingrandimenti. Forzando di poco, non sarà difficile accorgersi della presenza della terza componente, β Mon C, a meno di 3" d’arco dalla B.

Potessimo idealmente osservare il sistema da vicino, vedremmo molto probabilmente le componenti B e C orbitare l’una attorno all’altra e la A eseguire un’ampia orbita attorno ad esse. Ma qual è la reale distanza che intercorre tra le componenti? Tenendo conto della distanza del sistema, valutata in circa 700 anni luce, la reale separazione tra B e C è di circa 590 UA, mentre A è distante da queste due circa 1600 UA, ovvero 53 volte il raggio dell’orbita di Nettuno! Come già evidenziato dalla luminosità e dal colore, le tre stelle di questo sistema sono molto simili tra loro. Si tratta di stelle di sequenza principale appartenenti alla classe spettrale B3, con temperature superficiali intorno ai 18 500 K, le cui masse sono, rispettivamente: 7, 6,2 e 6 volte quella del Sole.

Ne consegue che A è circa 3200 volte più luminosa della nostra stella, valore che decresce a 1600 e 1300 volte per le componenti B e C; quest’ultima è essa stessa un sistema doppio (anche se le osservazioni effettuate con la tecnica dell’interferometria a macchie del 1988 non hanno ricevuto conferme in indagini successive). Misure spettroscopiche accurate hanno stabilito che le loro rispettive velocità di rotazione all’equatore sono di 346, 123 e 331 km/s, enormemente maggiori rispetto a quella del Sole che è di soli 2 km/s! La marcata velocità, oltre a comportare un notevole schiacciamento ai poli dell’astro, porta alla perdita a livello equatoriale di grandi quantità di materiale gassoso che va a disporsi in un disco attorno alla stella: è questa area a produrre le comparsa di righe di emissione dell’idrogeno e di altri elementi, caratteristiche di queste stelle.

Qui di seguito, una bella immagine di questo sistema triplo dell'Unicorno ripresa dal Fresno State's Campus Observatory:


Tre astri di accecante luminosità e schiacciati come palloni da rugby, solcati da gruppi di macchie o protuberanze che si muovono velocissime sulla loro superficie, circondati da estesi e luminosi anelli gassosi continuamente riforniti: questa sarebbe la visione dell'intero sistema di β Mon che potremmo avere da un pianeta ivi orbitante: uno spettacolo degno del miglior film di fantascienza e certamente un bel regalo per il capodanno astronomico.

martedì 26 dicembre 2017

LA PRIMA IMMAGINE DI UN'ALTRA GALASSIA NELLA STORIA

La nota grande galassia di Andromeda è nota per detenere alcuni record; escludendo le piccole galassie satelliti della Via Lattea: è innanzitutto la "grande" galassia più vicina alla nostra, essendo situata a circa 2,5 milioni di anni luce; oltre questo, è anche la galassia più grande e massiccia del cosiddetto gruppo locale di galassie, con un diametro superiore ai 250 mila anni luce ed una massa complessiva paria a 1.000 miliardi di stelle come il nostro Sole. Chi si occupa di astronomia, e in particolare gli "star-gazers", sa anche che le sue elevate dimensioni apparenti, pari a 4 volte il diametro della Luna piena, nonché e la sua relativa vicinanza rendono tale oggetto visibile ad occhio nudo: e, infatti, la grande galassia di Andromeda è nota per essere il più lontano tra gli oggetti celesti visibili con il solo occhio senza l'ausilio di alcun strumento!

Di seguito, una stupenda ripresa della galassia di Andromeda eseguita dall'amico David Kralj:


Quando l'astronomo alessandrino Claudio Tolomeo, nel secondo secolo d.C., stilò l'Almagesto, il primo catalogo della storia contenente tutti gli oggetti astronomici allora conosciuti, questo venne redatto con il solo ausilio dell'occhio nudo; in esso, Tolomeo elencò cinque stelle che egli definì "nebulose" assieme ad un "complesso nebuloso". 

Tali dati, pur rimanendo un importante punto di riferimento per l'Astronomia fino al medioevo, stranamente non includevano la galassia di Andromeda. Questa venne per la prima volta descritta dall'astronomo persiano ‘Abd al-Rahmān al-Ṣūfi (903-986 d.C.), che lavorò alla corte sciita dei Buwayhidi nella città persiana di Isfahan. Attorno al 964 d.C., scrisse il cosiddetto Kitāb al-kawākib al-thābita (in arabo, كتاب الكواكب الثابتة‎ ovvero "Descrizione delle stelle fisse"), un trattato costituito da testo e diagrammi di accompagnamento che faceva da sintesi tra le conoscenze greco-romane contenute nell'Almagesto e la tradizione astronomica araba.

Tolomeo descrive la figura di Andromeda come "la donna in catene", sovrapponendo a questa uno dei due pesci - quello più settentrionale - che formano, per l'appunto, la vasta costellazione zodiacale dei Pesci. Nel testo è anche presente la descrizione di una "piccola nuvola" - latkha sahabiya - situata vicino alla bocca di tale pesce: disegnato come un piccolo gruppo di piccoli punti, tale oggetto è proprio la grande galassia di Andromeda.


Tale rappresentazione è storicamente rilevante in quanto trattasi della prima immagine di un'altra galassia diversa dalla nostra Via Lattea.

Il testo di Al-Sufi si fece strada nell'occidente latino nel corso del XII secolo e fu tradotto in latino come Liber locis stellarum fixarum; la traduzione venne attribuita, anche se non vi è certezza sulla cosa, ad un autore sconosciuto che lavorava alla corte di Guglielmo II di Sicilia. La prima copia di questo manoscritto è conservata nella Bibliothèque de l'Arsenal di Parigi e risale al 1250-1275 circa ed è stata probabilmente stampata a Bologna.

lunedì 18 dicembre 2017

L'AMMASSO "TRIDENTE"

Una delle aree celesti più interessanti per l’osservazione di oggetti del profondo cielo al telescopio è quella a ridosso del confine tra le costellazioni di Cefeo e Cassiopea, circumpolare alle nostre latitudini e alla sua massima altezza sull'orizzonte settentrionale nelle serate tardo autunnali; in questa zona, la Via Lattea si presenta più stretta anche se decisamente luminosa. Un gran numero di grandi complessi di nubi molecolari giganti e giovani gruppi di stelle massicce arricchisce quest'area, immersa in piena Via Lattea; tra queste, la note nebulose "grotta" (Sh2-155), "bolla" (NGC7635) e "chela d'aragosta" (Sh2-157).

Quest'ultima, alla quale dedicherò un post specifico prossimamente in questo stesso blog, è la più vasta nebulosa ad emissione della zona, tagliata esattamente a metà tra le costellazioni di Cefeo e Cassiopea; la parte settentrionale di tale nube possiede una caratteristica forma ad anello dovuta dall'azione del vento stellare di diverse stelle di tipo O e B presenti al suo interno. Qui di seguito, una bellissima ripresa a colori dell'area nebulare di Sh2-157, con i tre ammassi aperti - quasi allineati tra loro - che ora andremo a conoscere, ripresa da Maurizio Cabibbo:


E proprio nelle parti periferiche della enorme "chela" si trova un interessante terzetto di ammassi stellari del tipo "aperto", il più bello e luminoso dei quali, NGC7510, che per la curiosa disposizione delle stelle che lo compongono, è noto come “ammasso tridente”.

Tale caratteristica è perfettamente visibile con telescopi da 150 mm diametro: ad almeno 100 ingrandimenti, infatti, si può vedere benissimo, nella parte più orientale dell'ammasso, una stella di magnitudine 9,7 - una gigante di tipo B1.5III (22.400 K) che è anche la più luminosa del gruppo - dalla quale partono tre file di stelle di decima grandezza. Sono in tutto una sessantina le componenti di NGC7510, sparse su 4', che danno al gruppo una luminosità apparente pari a 7,9 magnitudini. Il "tridente" è un ammasso costituito da stelle giovani (età stimata in soli 10 milioni di anni) e luminose stelle le più massicce delle quali sono di tipo B e A.


I processi di formazione stellare in quest'area galattica sembra che abbiano hanno dapprima interessato le componenti dell'associazione di stelle OB nota come Cas OB2 per estendersi, successivamente, a dare origine a questo e agli altri due vicini ammassi stellari che adesso andiamo a conoscere.

Qui di seguito, immagine DSS con i tre ammassi aperti in sequenza:


Il primo, situato a 30' da NGC7510, è King19, di magnitudine 9,2 e largo 7' d’arco, situato al centro della nebulosa Sh2-157. A 100 ingrandimenti si può vedere un triangolo di stelle di simile luminosità con al centro una macchiolina; aumentando l’ingrandimento ad almeno 200x, quest’ultima viene risolta in un quadrato di stelline di tredicesima magnitudine. La componente più luminosa del gruppo, che distante 6.400 anni luce, è HD219460, una doppia composta da due caldissime e luminosissime stelle, l'una di tipo B1, l'altra una Wolf-Rayet.


Dalla parte esattamente opposta, a 40' da NGC7510, è invece presente Bas3 (noto anche come Markarian50), situato esattamente nel bel mezzo della "chele d'aragosta", con una magnitudine di 8,5 ed esteso per 5' d’arco, è un ammasso più compatto rispetto al precendente; aceh questo, risulta osservabile con piccoli telescopi. Lontano 6.800 anni luce, nonostante le maggiori dimensioni lineari, quest’oggetto è meno appariscente a causa della maggior debolezza e minor condensazione delle sue componenti tanto che un telescopio da 200 mm di diametro si contano appena una decina di componenti le più centrali delle quali disposte a formare un piccolo arco.


La grande distanza dell'ammasso "tridente", maggiore di quella dei due ammassi ad esso vicini, è stimata in quasi 11.400 anni luce. Questo è, come detto, visibile visibile esclusivamente al telescopio; tuttavia, fosse idealmente situato alla distanza delle Pleiadi, pari a 444 anni luce, esso apparirebbe almeno 4 volte più grande del noto ammasso stellare del Toro. Non solo: la presenza di polveri intergalattiche presenti lungo la visuale "assorbe" la luminosità di questi oggetti di un fattore pari ad almeno 2,5-3 magnitudini; a causa dell'assorbimento interstellare dovuto alle polveri interposte lungo il raggio visuale.

martedì 5 dicembre 2017

POLARISSIMA BOREALIS

Situata ad una declinazione di +89° 5' 35", in un punto prossimo alla luminosa Polaris nella costellazione dell'Orsa Minore, si trova NGC3172, altrimenti nota come “Polarissima Borealis”, così chiamata in virtù della sua particolarissima posizione: si tratta, infatti, dell’oggetto - tra quelli appartenenti al New General Catalogue - più vicino al Polo Nord Celeste, appena più distante di Polaris stessa.


Per osservare Polarissima Borealis, che splende di magnitudine 13,6, è necessaria un'apertura moderatamente ampia in combinazione a valori di trasparenza ed oscurità del cielo molto buoni. Con un telescopio da almeno 25 cm di diametro, essa appare come una piccola macchiolina circolare, piuttosto luminosa al centro. Questa galassia fu scoperta da John Herschel nell'ottobre del 1831 usando un riflettore da 46 cm di diametro e venne da questo catalogata come “JH 250”, ovvero come 250° oggetto del catalogo di John Herschel redatto a Slough, in Inghilterra, dove era presente la casa-osservatorio.; l'unica notazione che l’astronomo riuscì ad attribuire a questo nuovo e particolare oggetto era quello di "Polarissima". Di seguito, J.Dreyer inserì tale galassia nel Nuovo Catalogo Generale con il codice 3172, attribuendole la seguente notazione: "molto debole, rotonda, gradualmente più luminosa nelmezzo, stella di undicesima magnitudine a 2’ a sud, Polarissima Borealis": Polarissima Borealis è l’appellativo latino ad identificare l’oggetto non stellare più settentrionale della volta celeste in quel momento. Per effetto della precessione degli equinozi, che sposta il Polo Nord Celeste lungo un cerchio in 25.765 anni (grandezza nota anche come anno platonico), Polarissima Borealis è oggi a 0,9° dal Polo Nord Celeste.

Sebbene vi siano alcune galassie di diciassettesima grandezza ma ancor più vicine al Polo Nord Celeste, Polarissima Borealis è l'unico oggetto deep-sky presente nei noti cataloghi NGC (New General Catalogue) ed IC (Index Catalogue) con la declinazione più settentrionale nonché il più luminoso tra quelli vicini al Polo Nord Celeste.

Riconoscimenti di posizione a parte, Polarissima Borealis è lontana circa 277 milioni di anni luce dal nostro Sistema Solare; le dimensioni apparenti solitamente fornite dai cataloghi celesti la danno tipicamente larga 1’ d'arco; ma si tratta di un valore errato, in quanto il suo reale diametro apparente arriva a 4’ d'arco. Mettendo in relazione distanza e dimensioni apparenti, è quindi possibile ricavare quelle reali, che danno il diametro di Polarissima Borealis a ben 300.000 anni luce! Un oggetto davvero enorme. Morfologicamente, si tratta di una galassia a spirale di tipo S0, che si allontana da noi alla velocità di 6 mila chilometri al secondo, valore pari a circa 2,0% la velocità della luce. Posizione a parte, Polarissima Borealis non è una galassia molto studiata e poco si trova in letteratura su di essa; tuttavia, nel marzo 2010 in essa fece comparsa la supernova di tipo Ia chiamata sn2010af che, sprodotta da una invisibile ed irrisolta stella progenitrice sicuramente più debole della ventesima grandezza, raggiunse il picco di luminosità alla magnitudine 17,2.

Qui di seguito, una bellissima immagine di Polarissima Borealis e della supernova 2010af ripresa il 10 marzo 2010 da David Ratledge:


L’ausilio di telescopi da 30 cmq di diametro o superiore consente di intravvedere PGC36268, una piccola galassia immediatamente adiacente a NGC3172, con dimensioni apparenti di soli 0,45'; nelle immagini di buona qualità, tale questo sembra interagire con Polarissima ma non è noto se questa galassia sia effettivamente una sua compagna o, più semplicemente, una vicina prospettica.