La nota grande galassia di Andromeda è nota per detenere alcuni record; escludendo le piccole galassie satelliti della Via Lattea: è innanzitutto la "grande" galassia più vicina alla nostra, essendo situata a circa 2,5 milioni di anni luce; oltre questo, è anche la galassia più grande e massiccia del cosiddetto gruppo locale di galassie, con un diametro superiore ai 250 mila anni luce ed una massa complessiva paria a 1.000 miliardi di stelle come il nostro Sole. Chi si occupa di astronomia, e in particolare gli "star-gazers", sa anche che le sue elevate dimensioni apparenti, pari a 4 volte il diametro della Luna piena, nonché e la sua relativa vicinanza rendono tale oggetto visibile ad occhio nudo: e, infatti, la grande galassia di Andromeda è nota per essere il più lontano tra gli oggetti celesti visibili con il solo occhio senza l'ausilio di alcun strumento!
Di seguito, una stupenda ripresa della galassia di Andromeda eseguita dall'amico David Kralj:
Quando l'astronomo alessandrino Claudio Tolomeo, nel secondo secolo d.C., stilò l'Almagesto, il primo catalogo della storia contenente tutti gli oggetti astronomici allora conosciuti, questo venne redatto con il solo ausilio dell'occhio nudo; in esso, Tolomeo elencò cinque stelle che egli definì "nebulose" assieme ad un "complesso nebuloso".
Tali dati, pur rimanendo un importante punto di riferimento per l'Astronomia fino al medioevo, stranamente non includevano la galassia di Andromeda. Questa venne per la prima volta descritta dall'astronomo persiano ‘Abd al-Rahmān al-Ṣūfi (903-986 d.C.), che lavorò alla corte sciita dei Buwayhidi nella città persiana di Isfahan. Attorno al 964 d.C., scrisse il cosiddetto Kitāb al-kawākib al-thābita (in arabo, كتاب الكواكب الثابتة ovvero "Descrizione delle stelle fisse"), un trattato costituito da testo e diagrammi di accompagnamento che faceva da sintesi tra le conoscenze greco-romane contenute nell'Almagesto e la tradizione astronomica araba.
Tolomeo descrive la figura di Andromeda come "la donna in catene", sovrapponendo a questa uno dei due pesci - quello più settentrionale - che formano, per l'appunto, la vasta costellazione zodiacale dei Pesci. Nel testo è anche presente la descrizione di una "piccola nuvola" - latkha sahabiya - situata vicino alla bocca di tale pesce: disegnato come un piccolo gruppo di piccoli punti, tale oggetto è proprio la grande galassia di Andromeda.
Tale rappresentazione è storicamente rilevante in quanto trattasi della prima immagine di un'altra galassia diversa dalla nostra Via Lattea.
Il testo di Al-Sufi si fece strada nell'occidente latino nel corso del XII secolo e fu tradotto in latino come Liber locis stellarum fixarum; la traduzione venne attribuita, anche se non vi è certezza sulla cosa, ad un autore sconosciuto che lavorava alla corte di Guglielmo II di Sicilia. La prima copia di questo manoscritto è conservata nella Bibliothèque de l'Arsenal di Parigi e risale al 1250-1275 circa ed è stata probabilmente stampata a Bologna.
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