Mancano ormai due giorni all'imminente release, da parte del team del progetto EHT (Event Horizon Telescope), sulla prima immagine diretta dell'orizzonte degli eventi circostante il buco nero supermassiccio che giace quiescente al centro della nostra galassia: un “mostro” dalla massa 4 milioni quella del Sole e lontano 26 mila anni luce dal Sistema Solare!
Anche se tutti i media, scientifici e non, puntano ora gli occhi all'atteso risultato ottenuto tramite otto potenti radiotelescopi disposti su tutto il globo (quali South Pole Telescope, ALMA e J.C.Maxwell) tramite i quali è stata raccolta un'immensa raccolta dati (ben 10 Petabyte, salvati su più di 1.000 hard disk!) durata più di due anni, a ragion di cronaca è bene riportare che la prima immagine “dettagliata” di un buco nero venne prodotta ben 40 anni fa; cosa che pochi conoscono e che qui andiamo a raccontare, come d'abitudine per questo blog dedicato all'Astronomia meno nota.
I buchi neri si ritiene si formino alla fine della vita di stelle di grande massa: più precisamente, sarebbero il risultato del collasso del loro stesso nucleo. I buchi neri così formati dovrebbero solitamente possedere dimensioni pari a qualche decina di chilometri e masse pari ad alcune masse solari; discorso diverso per i “supermassicci”, nati probabilmente a seguito di fusioni di più buchi neri o dal continuo fagocitare di stelle e quant'altro vicino da parte di uno di questi.
Tali oggetti vengono definiti “neri” in quanto neanche la stessa luce, pur viaggiando alla straordinaria velocità di quasi 300 mila chilometri al secondo, riesce a sfuggire alla loro potentissima attrazione gravitazionale, portando tali oggetti a divenire del tutto invisibili!
Tuttavia, la loro presenza può essere denunciata dall'azione del loro campo gravitazionale sulla materia circostante - come gas strappato “con forza” ad una stella compagna - che, attratta e cadendoci sopra, va quindi a disporsi in una sorta di “disco di accrescimento” attorno al buco nero; questo e la radiazione X da esso prodotta a seguito del riscaldamento del materiale gassoso all'impatto col disco possono essere considerati a tutti gli effetti come la manifestazione indiretta della presenza del buco nero.
Oltre questo, la caratteristica distintiva di un buco nero è il cosiddetto orizzonte degli eventi ovvero quel raggio oltre il quale qualunque cosa venga catturata dal buco nero non può più sfuggirgli.
Il realistico orizzonte degli eventi attorno a Gargantua - il buco nero del film “Interstellar” (prodotto con la consulenza del fisico e premio nobel K.Thorne, che i buchi neri li conosce bene) - è composto da due dischi luminosi ortogonali tra loro; in realtà, attorno a quel buco nero, così come a tanti altri esistenti nell'Universo, c'è un solo disco di accrescimento, solitamente disposto all'equatore del “mostro”: ma l'estremo campo gravitazione piega la luce inducendo l'effetto noto come “lente gravitazionale”: i due archi luminosi di Gargantua sono, quindi, una mera illusione!
Se un buco nero non è direttamente osservabile, la computer-grafica riesce a fornire modelli realistici sulla loro apparenza; e la prima storica immagine di un buco nero, quella ottenuta dall'astronomo francese J.P.Luminet nel 1979, è però ancor più realistica di quella mostrata nel film Interstellar (differenza sulla quale Thorne era perfettamente consapevole; tuttavia, il regista del film, C.Nolan, tralasciò tali particolari per non confondere il pubblico).
In cosa differiva, quindi, l'immagine di Luminet rispetto a quella del film al punto da renderla più verosimile alla realtà?
Specifichiamo, innanzitutto, che lo scienziato francese non si recò certo “in loco” a bordo di ipotetiche astronavi aliene; più semplicemente, ricorse all'ausilio di IBM7040, un computer a transistor con ingressi a schede perforate, potentissimo per l'epoca.
Con tale macchina, Luminet costruì un programma per calcolare tutte le possibili traiettorie luminose dei raggi luminosi provenienti dal disco di accrescimento in orbita al buco nero; sull'immagine così prodotta e quindi convertita in negativo, Luminet, che era anche un ottimo disegnatore, provvide ad enfatizzare con inchiostro indiano i punti più densi: in altre parole, dando risalto a quelle aree dove la simulazione prodotta mostrava “più luce”.
Il risultato finale fu di notevole interesse: per la prima volta in assoluto, si rendeva palese come l'azione dell'intenso campo gravitazionale di un buco nero - nell'occasione, di taglia stellare - modifica la traiettoria, la frequenza e l'intensità dei raggi luminosi; ciò che si evidenziava era qualcosa di ben diverso da come potevano apparire, ad esempio, i ben noti anelli di Saturno che hanno simile a quella di un disco di accrescimento.
Per comprendere l'immagine di Luminet, è necessario prendere in considerazione tre importanti effetti indotti dal buco nero: la deflessione gravitazionale dei raggi luminosi del disco di accrescimento, il redshift gravitazionale e l'effetto Doppler.
Stando alla teoria della relatività generale, i raggi luminosi vengono deflessi dal loro cammino rettilineo al passaggio attraverso un campo gravitazionale; quanto più intenso è tale campo, tanto maggiore è la deflessione subita.
Ebbene, a causa del fenomeno, la radiazione prodotta dalla faccia superiore del disco subisce una forte deflessione, dando origine ad una immagine primaria molto distorta; nell'immagine virtuale prodotta da Luminet, pur l'osservatore trovandosi al di sopra del piano del disco di accrescimento, egli riesce tuttavia a vedere, pur minimamente, anche la parte inferiore del disco a causa della notevole deflessione!
Altra notevole caratteristica è e questo spiega la forte diminuzione di intensità luminosa osservata, dovuta alla concomitanza degli effetti di redshift gravitazionale e Doppler. Il primo induce la frequenza della radiazione emessa dalle parti del disco più vicine al buco nero - laddove dove il campo gravitazionale è più intenso - a subire uno spostamento vero frequenze più basse ed una diminuzione dell'intensità luminosa.
A questo si sovrappone l'effetto Doppler, dovuto alla velocità di rotazione del gas del disco, che ruota attorno al buco nero da sinistra verso destra: la radiazione generata da quella parte del disco di accrescimento che, a causa della rotazione, si avvicina all'osservatore ha di conseguenza frequenza ed intensità aumentate; il contrario avviene, invece, per la parte del disco che si allontana dall'osservatore.
Questi due effetti, redshift gravitazionale e Doppler, agiscono combinatamente per la radiazione prodotta nella parte del disco di accrescimento che si allontana: cosa che spiega l'osservata diminuzione di luminosità; al contrario, i due effetti si annullano per l'altra metà del disco, portando l'immagine a mantenere l'intensità luminosa osservata.
Negli anni seguenti, la computer grafica ha portato a migliorare i modelli rappresentativi di ciò che i buchi neri sono in grado di mostrare di quanto più vicino ad essi ovvero gli effetti sul loro disco di accrescimento; adesso, tra soli due giorni, la comunità scientifica avrà finalmente il piacere di riscontrare nella realtà il modello proposto 40 anni fa da quella prima, straordinaria simulazione.
Apparirà davvero così Sagittarius A ripreso da EHT? Io scommetto che non sarà tanto dissimile!
Apparirà davvero così Sagittarius A ripreso da EHT? Io scommetto che non sarà tanto dissimile!
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