giovedì 11 aprile 2019

LO STRAORDINARIO BUCO NERO E LA FORMAZIONE DEI GETTI DI PLASMA DI M87

Non fosse bastata la deflessione delle stelle nell'eclisse solare del 1919,  la precessione dell'orbita di Mercurio, l'individuazione delle lenti gravitazionali e, nel settembre del 2015, la rilevazione delle onde gravitazionali, abbiamo avuto l’ennesima conferma della validità di quanto Einstein postulò in riferimento agli strani fenomeni che accadono in presenza di campi gravitazionali estremi, come esposto nella sua teoria della relatività generale, ormai più di 100 anni fa. 

In tale questo contesto, la parte da padrone la fanno certamente i buchi neri, considerati dalla collettività (anche inesperta di fisica) come qualcosa, è proprio il caso di dirlo, dall'oscuro fascino. 

Un po’ come lo stregatto di Alice nel paese delle meraviglie, che pur scomparendo rendeva visibile il suo spettrale sorriso furbastro, dei buchi neri abbiamo finalmente acquisito non tanto un'immagine diretta - impossibile da cogliere perché la luce, dal loro potentissimo campo gravitazionale, non riesce ad evadere, rendendoli per l’appunto “neri” - quanto l’oscura ombra del guscio che li avvolge: un membrana chiamata orizzonte degli eventi, che rappresenta un limite che non ha nulla di tangibile, di toccabile (potessimo idealmente farlo...) ma è solo un concetto matematico, astratto e non percepibile: un confine tra le leggi della fisica che regolano questo Universo e l'ignoto.

Da sx a dx, zoom sulla gigantesca galassia ellittica M87, dal diametro stimato in 120 mila anni luce e massa almeno 200 volte quella della Via Lattea: da notare il lunghissimo jet fuoriuscente dall'orizzonte degli eventi dell'enorme buco nero centrale

L'immagine tanto discussa è, a tutti gli effetti, la prima ripresa diretta (e non virtuale, quale le numerose a cui siamo stati a lungo abituati a vedere in libri e film!) di un orizzonte degli eventi di un buco nero, situato nel nucleo di una gigantesca galassia ellittica, chiamata M87 o anche Virgo A (sigla che denota, la stessa, essere sede anche di una sorgente radio); e neanche tanto vicina se vogliamo, dal momento che la luce (e le onde radio) che oggi percepiamo di questa galassia sono partite ben 54 MILIONI di anni or sono!

Giusto per renderci conto dell'eccezionalità di quanto catturato dai radiotelescopi impiegati nel progetto EHT (Event Horizon Telescope), lavorando tutti in serie su segnali polarizzati a lunghezze d'onda millimetriche e submilimetriche, è come riuscire a scorgere una moneta da 2 Euro sulla superficie della Luna: l'impressionante potere della radiointerferometria!


La rete interferometrica dei radiotelescopi di EHT

L'importanza dell'immagine sta non solo nell'aver rilevato l'inquietante ombra dell'orizzonte degli eventi del buco nero di M87 ma, quasi paradossalmente, nell'asimmetria della luce di quanto compreso nell'ergosfera di quell'oggetto: quella del disco di accrescimento, formato dal materiale gassoso che orbita ad alta velocità attorno all'orizzonte degli eventi, intrappolato dalla sua gravità del buco nero, e che brilla proprio per l'intensa temperatura generata dagli attriti.


Le variazioni di forma luminosità osservate nel giro di pochi giorni nel materiale gassoso che forma il disco di accrescimento corrispondono, probabilmente, a variazioni di densità dovute ai velocissimi moti caotici cui è sottoposto dalle immense forze di gravità sprigionate dal buco nero supermassiccio; la cosa però non è certa: infatti, le immagini vengono deflesse seguendo lo spaziotempo curvo nella zona, producendo densità che possono quindi essere fittizie
Ricordiamo, ancora una volta, che l'immagine in realtà è stata ottenuta con i radiotelescopi e non da telescopi ottici (al fine di ottenere un'immagine vera e propria, i segnali radio captati dai ricevitori vengono convertiti in valori di temperature di brillanza o di unità di flusso); ma essa raffigura il disco di accrescimento esattamente come le simulazioni sino ad oggi effettuate ai supercomputer l’avevano prodotta tenendo conto di ciò che la relatività di Einstein descrive per ambienti in cui la gravità è a livelli così estremi da distorcere lo spaziotempo.

Stando alla teoria della relatività generale, i raggi luminosi vengono deflessi dal loro cammino rettilineo al passaggio attraverso un campo gravitazionale; quanto più intenso è tale campo, tanto maggiore è la deflessione subita. 

L'asimmetria luminosa osservata è dovuta essenzialmente alla concomitanza di due effetti: quello di di redshift gravitazionale e Doppler

Il primo induce la frequenza della radiazione emessa dalle parti del disco più vicine al buco nero - laddove dove il campo gravitazionale è più intenso - a subire uno spostamento vero frequenze più basse ed una diminuzione dell'intensità luminosa; i questo si sovrappone il secondo, dovuto alla velocità di rotazione del gas del disco, che ruota attorno al buco nero da sinistra verso destra: la radiazione generata da quella parte del disco di accrescimento che, a causa della rotazione, si avvicina all'osservatore ha di conseguenza frequenza ed intensità aumentate; il contrario avviene, invece, per la parte del disco che si allontana dall'osservatore. 

Questi due effetti, redshift gravitazionale e Doppler, agiscono combinatamente per la radiazione prodotta nella parte del disco di accrescimento che si allontana: cosa che spiega l'osservata diminuzione di luminosità; al contrario, i due effetti si annullano per l'altra metà del disco, portando l'immagine a mantenere l'intensità luminosa osservata.

Oltre all'emozione di poter osservare qualcosa finora solo prodotto virtualmente al computer, abbiamo quindi ricevuto l'ennesima conferma della relatività generale: cosa non da poco, e che ha fatto gridare all'immagine rilasciata il 10 Aprile 2019 come l'immagine del secolo!


L'immagine che ha fatto la storia: il disco rotante di gas ionizzato che circonda l'orizzonte degli eventi, quasi perpendicolare al getto relativistico che esce prorompentemente da M87. Il disco di accrescimento ruota a velocità fino a circa 1.000 km/s e si estende su un diametro massimo di 25 mila UA (a confronto, il raggio dell'orbita di Plutone è a 39 UA dal Sole)! Il tasso di accumulo del materiale che dal disco di accrescimento cade ed oltrepassa l'orizzonte degli eventi, è stimato in una massa solare ogni dieci anni circa ovvero 90 masse terrestri al giorno! E il diametro del buco nero? Ben 250 UA ovvero 38 miliardi di chilometri: qualcosa di davvero mostruoso, inimmaginabile! 

Nell'immaginario collettivo, un buco nero è solitamente considerato essere una sorta di mostro che divora qualsiasi cosa gli capiti attorno: visione certamente corretta anche se, ad oggi, nulla possiamo ancora dire su quanto accade al materiale divorato (a quello cioè, che ha oltrepassato l’orizzonte degli eventi che, specifichiamolo, non necessariamente coincide con la superficie vera e propria del buco nero se non in alcune parti quali ai poli di buchi neri dotati di un'elevato momento angolare).

Ma se la voracità dei buchi neri è cosa nota ai più, è altrettanto vera la presenza di getti di plasma (che emettono intensamente nei raggi X e γ) che, dai poli dell'orizzonte degli eventi, vengono sparati all'esterno e in direzioni diametralmente opposte a velocità prossime a quella della luce e a distanze davvero ragguardevoli: il getto presente proprio in M87, si estende per quasi 6.000 anni luce (!) dal buco nero dal quale si sprigiona ma in altre galassie sono stati misurati getti di materia lunghi anche centinaia di migliaia di anni luce!

La seguente, bellissima rappresentazione, fornisce un'idea realistica sulle reali dimensioni del buco nero di M87 (si intenda bene: dell'oggetto "buco nero" e non del suo orizzonte degli eventi!), dal diametro stimato in ben 38 miliardi di chilometri (!); chi ha familiarità con le dimensioni di stelle supergiganti come Betelgeuse (qui mostrata), potrà comprendere più facilmente di cosa stiamo parlando:


...giusto per dare un'idea sulle dimensioni REALI (non di quelle dell'orizzonte degli eventi!) del buco nero di M87: l'immagine a iuta a comprendere cosa si intende quando si parla di buchi neri "supermassicci", al contrario di quelli di "taglia stellare" (a sx nell'immagine), prodotti dal collasso dei nuclei di stelle massicce al termine della loro vita!

Molti curiosi si sono giustamente chiesti perché il team di EHT ha scelto di osservare un oggetto lontano 54 MILIONI di anni luce anziché, ad esempio, quello presente nel nucleo della nostra Galassia, la Via Lattea, situato a "soli" 26 MILA anni luce dal Sistema Solare?

Diciamolo pure: tutti si aspettavano che la prima immagine di EHT sarebbe stata quella relativa a Sgr A* e la sorpresa è stata grande nel momento in cui, nel filmato tenuto alla conferenza di presentazione da parte degli astronomi è iniziato zoomando nell'ammasso della Vergine anziché il centro galattico in direzione del Sagittario!

Sicuramente, come riportato dai manager del progetto, vi è in primis la difficoltà nell'osservare un oggetto pur vicino, come Sgr A*, che però è immerso in un ambiente molto caotico, ricco di polveri che portano l'immagine a subire assorbimenti e deflessioni di una certa entità; ma il motivo principale nella scelta di M87 risiede nella sua unicità che cade, essenzialmente, oltre che per le dimensioni, che erano già sospettate essere ben più grandi di quelle di Sgr A*, nell'attività del suo getto.

Si tratta di una struttura immensa, già rilevabile nell'ottico, che si prolunga in rettilineo dal nucleo per oltre 3.000 anni luce e continuare ancora della medesima quantità in andamento sinuoso, evidenziando alcune condensazioni.

Osservato nella banda radio, tale getto si estende fino a quasi 9.000 anni luce, divenendo instabile ed espandendosi a causa delle interazioni con il mezzo intergalattico; ciò, assieme al fatto di essere anche una sorgente radio (pur non molto potente se comparata con la nostra Via Lattea), di possedere una enorme quantità di gas caldo che si estende fino a mezzo milione di anni luce, di essere una galassia dalle dimensioni gigantesche e, tutto sommato, una delle più vicine galassie attive, motiva la scelta (si badi: restiamo comunque in fremente attesa di quelli che saranno sicuramente gli strabilianti risultati che EHT, prima o poi, otterrà su Sgr A*!).

Immagine ai raggi C catturata dal satellite Chandra, che ha un campo visivo molto più ampio rispetto all'area inquadrata dai radiotelescopi di EHT. In questa, è possibile vedere la prima parte del getto di plasma lanciato dall'intenso campo gravitazionale e magnetico esistente attorno al buco nero di M87. La parte di getto visibile in questo dettaglio si estende per oltre 1.000 anni luce.

A seconda dell’angolazione di questi getti estremamente energetici e della presenza di sostanziali quantità di polveri galattiche attraversate, l’effetto è quello di una variabilità nella luce visibile e nello spettro, che porta la galassia attiva che ospita il buco nero ed il getto relativistico ad essere distinta in un campione di varietà (quasar, blazar, radiogalassie...).

A produrre eventi di portata del tutto inimmaginabile alla nostra mente umana devono esser per forza di cose meccanismi straordinari ed efficienti la cui causa va ricercata nell'immenso campo gravitazionale del buco nero supermassiccio (valutando le dimensioni apparenti dell'orizzonte degli eventi di M87, si è stimato che il buco nero che vi si annida dentro abbia una massa stimata in almeno 6,5 miliardi di volte il nostro Sole!) presente nell'ambiente attorno ad esso e su tutto ciò che vi transita all'interno; in M87 così come nel bestiario delle cosiddette galassie "attive".

Ebbene, gli effetti di quanto sopra descritto sono stati simulati ai supercomputer, ottenendo risultati che hanno dimostrato come le forze gravitazionali e magnetiche prodotte in buchi neri rotanti di due meccanismi combinati - quello di trascinamento e quello noto come meccanismo di Penrose - spiegherebbero proprio le proprietà osservate nei getti relativistici. 

Il concetto base è l’assunzione che il buco nero supermassiccio sia rotante (detto “di Kerr”; come per la maggior parte delle stelle, che ruotano sul proprio asse, ci si aspetta che anche la maggioranza dei buchi neri presenti in natura ruotino su loro stessi...): ebbene, la forza di gravità esercitata dalla sua incredibile massa andrebbe a distorcere il tessuto spaziotemporale circostante in un fenomeno noto come “effetto di trascinamento”. 

Poiché un buco nero rotante, se dotato anche di carica, è dotato di un campo magnetico spaventosamente elevato, secondo la teoria, all'uscita dai poli del buco nero, esso si arrotolerebbe andando a sollevarsi verso l'esterno mentre all'equatore andrebbe a collassare formando strutture tumultuose. 

Nell'ambiente così estremo e caldo quale è l’ergosfera del buco nero, una frazione considerevole di elettroni del materiale gassoso li presente viene letteralmente strappata dai rispettivi atomi dando luogo ad un particolare gas ionizzato che è un particolare stato della materia, ne liquido, ne solido ne aeriforme: il plasma. 

In tutto questo stravolgimento, particelle di materia presenti alla base dei getti polari vengono ad espulse all'esterno mentre altre, dal lato opposto, vanno ad essere inevitabilmente inghiottite nell'oscuro abisso dell’orizzonte degli eventi del buco nero.


Materia spiraleggiante nel getto relativistico di M87 

Monitorare la formazione di getti relativistici come quello di M87 e di altre galassie attive è tutt'altro che facile, a causa dell’ambiente sottoposto ad estrema gravità in cui si generano i getti; i buchi neri, piegando lo spazio-tempo, generano potenti campi magnetici. Non solo: stando alla teoria, in ambienti così estremi verrebbero a crearsi singolari coppie formate da elettroni ed antielettroni (la loro controparte costituita da antimateria) le quali, avendo una carica elettrica, vengono quindi trascinate dagli intensi e distorti campi magnetici. 

Al fine di comprendere la causa dei getti di un buco nero, le simulazioni usate fino a poco tempo fa utilizzavano modelli semplificati del plasma presente in tali ambienti; di recente, i fisici K.Parfrey, A.Philippov e B.Cerutti, utilizzando i supercomputer NASA dell’Ames Research Center a Mountain View in California, hanno invece utilizzato nuovi algoritmi per simulazioni che forniscono il primo modello di un plasma “senza collisioni” dove le singole particelle del plasma non si urtano frequentemente tra loro al punto da essere rappresentate in un modello non uniforme e tutt'altro che semplicistico in presenza di un forte campo gravitazionale quale quello dei buchi neri supermassicci. 


La simulazione mostra le intricate dinamiche cinetiche del materiale presente nell'ergosfera del buco nero e sottoposto a correnti, dando vita ai getti osservati

Le simulazioni hanno prodotto, separatamente, due effetti già noti: il cosiddetto meccanismo di Blandford-Znajek, che descrive l’attorcigliamento dei campi magnetici che formano poi i getti, e il cosiddetto processo di Penrose, che descrive invece cosa accade quando particelle di energia negativa vengono inghiottite dal buco nero.

Da un punto di vista geometrico, le linee del campo magnetico aggrovigliate vanno ad incontrarsi all'equatore laddove ne indeboliscono l’intensità rispetto a quella del campo elettrico; quest’ultimo, divenendo la forza più forte in gioco, accelera le particelle cariche lungo due percorsi obbligati: alcune, seguendo traiettorie curve, vengono spinte ai poli per poi essere scagliate dai jet l’infinito a velocità relativistiche; altre vengono accelerate dal lato opposto, cadendo nel buco nero. 

Dal momento in cui tali particelle vengono inghiottite dal buco nero, in termini fisici ciò ha la conseguenza del decremento del momento angolare del buco nero, con la diretta estrazione di energia all'esterno: processo che venne teorizzato dal fisico R.Penrose del quale ne prende il nome. 

Relativamente ai getti relativistici, le simulazioni condotte concordano con quanto teoricamente previsto: la parte di materia che riesce a sfuggire può avere un rapporto massa-energia molto maggiore rispetto a quello della parte di materia in caduta verso l’orizzonte degli eventi. 

Allo stesso tempo, dimostrano come l'80% dell’energia prodotta in tali ambienti provenga dal campo magnetico ai poli mentre il restante 20% dalle particelle accelerate all'equatore delle ergosfere dei buchi neri. 

Le ricerche sono ora indirizzate a comprendere come le coppie elettrone-positrone appaiono nell’ergosfera dei buchi neri e, addirittura, a creare modelli che spieghino cosa accade alla materia che oltrepassa l'orizzonte degli eventi.

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