Tra le nuove leve che in
Astronomia hanno arricchito in anni recenti lo zoo di oggetti esotici figurano
le cosiddette “sorgenti X ad emissione transiente”.
Loro responsabili sono
coppie formate da una stella di neutroni legata gravitazionalmente ad una
caldissima stella di tipo Be. Proprio la sigla “e” posta accanto al tipo
spettrale (B) è la chiave per l’interpretazione di questi inconsueti e allo
stesso tempo violenti fenomeni: essa, infatti, indica la presenza di linee di emissione
cosiddette “proibite” nei loro spettri, indice che queste stelle possiedono
basse densità: il che, quindi, induce a trattarsi esclusivamente di stelle
giganti, le cui linee di emissione, parallelamente ad un eccesso di radiazione
infrarossa riscontrato per stelle così calde, sono attribuibili a gas che la
stella rilascia a livello equatoriale formando anelli toroidali che si
dispongono attorno ad esse generalmente a distanze dell’ordine dei 30-40 raggi
stellari.
Elaborazione al computer relativa alla formazione di un disco di materiale gassoso fino a 60 raggi stellari da una stella Be
La causa del rilascio di questo materiale gassoso è dovuta alla forza
centrifuga della stella che bilancia la gravità a livello equatoriale; in altre
parole, queste stelle possiedono elevatissime rotazioni sul proprio asse,
solitamente attorno ai 200 km/s o addirittura maggiori: valori compresi tra 0,5
e addirittura 0,9 quello critico per il quale l’intera struttura stellare può
essere ancora tenuta assieme e non sfaldarsi! Tra le più note e meglio studiate Be figurano Achernar (α
Eri), α Ara, γ Cas, κ CMa, Gomeisa (β CMi) e ζ Tau.
Solitamente, le orbite di stelle
a neutroni legate a compagne di tipo Be (o ancora più calde) sono ampie e
spesso molto eccentriche; a causa di queste particolari configurazioni
geometriche, avviene quindi che le pulsar, di tanto in tanto, si avvicinino ai
dischi di gas rilasciati dalle compagne giganti, addirittura attraversandoli in
alcuni casi: la cattura di tale materiale da parte delle stelle degeneri, che
va ad impattare su queste generando aree ad elevatissima temperatura, le porta
a divenire quindi sorgenti di raggi X.
Il problema, in questi casi, è
che l’apparizione di queste sorgenti è temporanea - l’intermittenza o, meglio,
“l’accensione” di queste sorgenti X può variare con mesi o addirittura anni di
ritardo tra un episodio e l’altro - e non duratura nel tempo; per qualche
strana ragione non ancora ben compresa, il materiale disco toroidale generato
dalla stella Be si espande e successivamente si contrae (comportamento nel
quale, molto probabilmente, vi è zampino delle loro rotazioni critiche che, per
qualche strano motivo, verrebbero smorzate, inducendo quindi rigetti alternati
di materiale) lasciando a volte la stella di neutroni “a secco” allorché
questa, tornando ad avvicinarsi, trova il disco toroidale con densità minima o,
in altri casi, affatto esistente.
Episodi di questo tipo accadono
anche laddove, al posto di una gigante Be, le stelle di neutroni sono accoppiate a quelle
che sono le più estreme tra le stelle, le cosiddette stelle supergiganti di
tipo O, le più calde e luminose presenti nel Cosmo assieme alle stelle WR.
In
questi casi - noti nella terminologia d’uso come “Supergiant Fast X-ray
Transients” o più semplicemente “SFXTs” -
l’emissione X da parte delle pulsar cresce in intensità in tempi
brevissimi, compresi tra poche decine di minuti e qualche ora, comportamento
che è evidentemente dovuto o alla natura intrinseca delle compagne supergiganti
o alla geometria delle orbite delle stelle degeneri poste attorno a stelle O
così estreme, che sono anche tra le più massicce conosciute. L’intensità di
queste estreme sorgenti X transienti sprigionate dalle SFXTs è tale che questi
brevi “lampi” - a tutti gli effetti, questi episodi possono essere così definiti - raggiungono
intensità fino a 100 mila volte quelle riscontrate nei periodi di quiete!
Uno
dei primi e finora meglio studiati oggetti di questo tipo è XTE J1739–302,
individuato nel 1997 allorché rimase attivo un solo giorno per poi ripetersi
nel 2008; proprio di recente, un’altra sorgente ricorrente di questo tipo, nota
con la sigla IGR J17544−2619, ha sprigionato
un eccezionale lampo X (rilevato
dal satellite NASA Swift e studiato da un team composto da astronomi anche
italiani) che ha superato non solo di una decina di volte il proprio record di
luminosità osservato in eventi passati ma, addirittura, il limite massimo di
luminosità che sorgenti di questo tipo dovrebbero esibire.
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