Negli ultimi anni, l’evoluzione della tecnologia di ripresa ed elaborazione delle immagini riprese con i grandi telescopi, solitamente effettuate a più frequenze nello spettro elettromagnetico oltre a quella prettamente visuale, sta fornendo risultati a dir poco sbalorditivi. In questo ambito, le galassie a spirale, soprattutto quelle vicine, iniziano a rivelare più che distintamente i milioni o meglio, i miliardi, di stelle che popolano le loro bellissime braccia a spirale, laddove fanno anche presenza numerose chiazze - le cosiddette regioni HII - fanno bella presenza grazie al loro colore tipicamente purpureo, importanti indicatori della presenza delle stesse braccia a spirale e che assumono le forme più diverse.
Si tratta di vaste aree gassose, principalmente composte da idrogeno, la maggior parte delle quali risplendono per incandescenza laddove vi è la presenza di stelle estremamente calde - per intenderci, quelle appartenenti ai tipi spettrali O e B - le cui immani radiazioni ultraviolette rilasciate nello spazio vanno a spogliare gli atomi di idrogeno del gas dei loro elettroni; questo gas, che risulta quindi ionizzato, brilla a diverse frequenze ma in particolare quella a 6563 Angstrom, caratteristica per il suo colore rossastro, è proprio quella che “marchia” cromaticamente queste vaste nebulose diffuse. Sempre nelle braccia a spirale, ma anche nelle più piccole galassie dalla forma tipicamente irregolare, si scorgono poi altre nebulose caratteristiche per la loro forma a “bolla”: si tratta dei cosiddetti “resti giovani di supernova”, ovvero ciò che resta di stelle vissute in un lontano passato e che hanno concluso la loro esistenza in maniera catastrofica: immani deflagrazioni che hanno rilasciato nel Cosmo queste bolle di gas in espansione, intrise, tra l’altro, di quegli elementi “pesanti” creati proprio dalle supernovae.
Il complesso nebulare comprendente la nebulosa di Gum ripreso da Axel Mellinger in luce H-Alpha
Nella parte della Via Lattea ad oggi meglio studiata e a noi più vicina - il cosiddetto “braccio di Orione”, nel quale è immerso anche il Sistema Solare - è presente una di queste aree nebulari che sembra quasi allungare le sue propaggini più esterne proprio nella nostra direzione. Si tratta di un oggetto vicino, con il centro posto a circa 1470 anni-luce da noi; ma la cosa più sorprendente e allo stesso tempo inverosimile è che questa nebulosa, nonostante le sue notevoli dimensioni che ne fanno una delle più grandi strutture di questo tipo che popolano il disco galattico, non solo risulta del tutto invisibile ad occhio nudo ma, fino a poco tempo fa, se ne ignorava del tutto l’esistenza, giacché venne individuata solo negli anni ’50 del secolo scorso da un giovane astronomo australiano, Colin Gum. Al fine di completare la sua tesi di dottorato, uno studio effettuato proprio sulla distribuzione del gas ionizzato nella riga H-Alfa dell’idrogeno ionizzato (H II) nella caratteristica "luce rossa" a 6563 Angstrom delle nebulose diffuse, Gum riprese la Via Lattea australe con una camera Schmidt da 100 mm di diametro all'osservatorio di Mount Stromlo.
La mappatura della nostra galassia viene fatta proprio stimando la disposizione e le distanze di tali regioni HII, che hanno quindi una priorità chiave nello studio della struttura e dell’evoluzione della Via Lattea; il modo migliore per l'individuazione di tali nebulose è quello di utilizzare un filtro speciale che scherma tutta la luce del campo ripreso tranne quella emessa nella riga H-Alfa dell’idrogeno: le immagini così riprese vengono quindi confrontate con altre del medesimo campo ma riprese in luce visibile e laddove si rendono visibili differenze, queste sono indotte da forti sorgenti che emettono proprio in quella caratteristica riga ovvero proprio le nebulose diffuse.
Con i risultati così ottenuti tramite queste foto a largo campo, nel 1955 Gum pubblicò l'omonimo catalogo che contava ben 84 nebulose e complessi nebulari, molte delle quali prima sconosciute e da lui stesso scoperte. Tra questi nuovi oggetti, ve ne era uno - denominata Gum 12, ovvero dodicesimo della lista - che si presentava davvero al di fuori della norma: una enorme, gigantesca nebulosa estesa per oltre 30° che si stagliava sulle costellazioni delle Vele e della Poppa, coprendole nella loro interezza: mai prima di allora una simile struttura di tali proporzioni era stata osservata nella nostra galassia! Per avere un’idea delle sue dimensioni che tanto scalpore fecero, se i nostri occhi fossero capaci di isolare la rossa radiazione che la nebulosa emette, essa apparirebbe estesa su oltre metà del campo della nostra vista!
Le dimensioni e l’aspetto di questa vasta nebulosa suggerirono che potesse essere un resto di una supernova, esplosa a breve distanza dal Sistema Solare ma in un epoca assai remota, sicuramente diversi millenni addietro; tale ipotesi, formulata dallo stesso Gum, venne presto suffragata dal fatto che la cosiddetta nebulosa delle Vele (Gum 16), all’epoca già nota e dallo stesso astronomo inclusa nel suo catalogo, si proiettava nei pressi del cuore della nebulosa da lui individuata, pur in una posizione lievemente eccentrica rispetto al suo reale centro geometrico: e proprio la nebulosa delle Vele era da tempo sospettata essere essa stessa un antico residuo di supernova!
La lentezza con cui si muovevano nel Cosmo i suoi filamenti gassosi e la loro diluizione rendevano però pressoché impossibile sia il calcolo dell’età che identificarne l’eventuale residuo centrale. La scoperta di Gum indusse comunque ad intensificare gli sforzi e, in breve tempo, radioastronomi australiani riuscirono ad identificare a poca distanza dall'area centrale di tale nebulosa una stella di neutroni, la pulsar PSR0833-45, dal periodo di rotazione pari a 89 millisecondi (!), valore record per l'epoca in quanto relativamente lungo per una stella di quel tipo: da questo, ad ogni modo, fu possibile risalire all’epoca della nascita di tale pulsar e, di conseguenza, all’esplosione della supernova che diede vita ad essa e alla nebulosa stessa: evento che venne posto tra 11.000 e 12.000 anni fa. In epoca priva di documenti scritti, quella preistorica, per un evento di simile portata che venne senza dubbio osservato dall'uomo dell'epoca: tenendo infatti conto della distanza, valutata in circa 800 anni-luce, la supernova delle Vele dovette raggiungere una magnitudine apparente pari a -9, rendendosi perfettamente visibile anche in pieno giorno e splendendo almeno un centinaio di volte più delle successive (e purtroppo assai rare!) supernovae apparse in epoca storica. Nel 1977, un altro gruppo di astronomi australiani, utilizzando il telescopio Anglo-Australiano da 3,9 metri di diametro cui venne affiancato un otturatore estremamente rapido, riuscì a dopo una lunga ricerca a rilevare una debolissima stella di ventiquattresima magnitudine che emetteva impulsi luminosi con lo stesso periodo osservato nelle onde radio: per la prima volta, seconda in assoluto dopo quella osservata nella famosa "nebulosa del Granchio", anche la pulsar delle Vele si rese finalmente visibile nella sua controparte ottica!
L’aspetto sfilacciato e la tenue luminosità della nebulosa delle Vele sono sicuramente indice della sua antichità, concetto confermato anche ad altre lunghezze d’onda quali le onde radio, nelle quali tale nebulosa appare frammentata e disomogenea, ben diversa dall’aspetto grosso modo circolare e ben definito dei resti di supernovae più recenti sparsi nella Via Lattea e in altre galassie: nel caso del residuo delle Vele, infatti, il mezzo interstellare ad essa circostante ha avuto lungo tempo a disposizione per agire sull’involucro gassoso in espansione, rallentandolo fin quasi a fermarlo o, comunque, provocandone le deformazioni e le frammentazioni osservate laddove la distribuzione del mezzo interstellare stesso è disomogenea. Anche nella banda spettrale X, la nebulosa rivela un simile andamento: il massimo di emissione si ha infatti in corrispondenza della pulsar centrale, che appare come una sorgente molto intensa, situata quasi al centro della nebulosa, mentre altre zone di comunque dalla luminosità X notevole sono sparpagliate all'interno del resto di supernova.
Come già accennavamo prima, la distanza media della nebulosa di Gum (così come questo vasto complesso gassoso venne denominato per onorare la scomparsa del suo scopritore, morto prematuramente a soli 36 anni in un banale incidente di sci) è pari 1470 anni luce ma essa spinge le sue propaggini più vicine nella nostra direzione inglobando la stessa nebulosa delle Vele.
Osservandone la distribuzione in termini di profondità spaziale, la sua reale estensione coincide grossomodo con lo spazio compreso tra due stelle intrinsecamente estreme per mass e luminosità: Regor (γ2 Vel) e Naos (ζ Pup); proprio per questo motivo, venne ipotizzato che l'immensa nebulosa di Gum potesse essere in realtà un'antica sfera di Strömgren, una di quelle bolle di idrogeno ionizzato localizzate attorno a caldissime stelle di O o B esattamente come le due sopra citate: astri, cioè, la cui intensissima radiazione induce la luminescenza del gas, sospinto radialmente in direzione esterna ad esse sia dalla medesima radiazione che dagli intensi venti stellari da esse propaganti. Secondo altre ipotesi più recenti, la nebulosa di Gum sarebbe invece, così come quella delle Vele, un resto di supernova che però sarebbe esplosa molto tempo prima ma la cui luminescenza sarebbe ancora una volta attribuibile ancora una volta alle due massicce stelle azzurre sopra accennate.
Regor (γ2 Vel)
Naos (ζ Pup)
Esistono indizi che potrebbero fornire una prova definitiva sulla sua origine?
A tal fine, una assai probabile risposta arriva dal contesto galattico in cui essa è immersa; nei pressi della nube è infatti presente l’associazione Vela OB2. Si tratta di gruppi che possono contenere da poche unità fino a centinaia di stelle giovani, calde e massicce dei primissimi tipi spettrali (da cui il nome). A tale associazione appartiene proprio Regor - apparentemente non lontana al centro della vasta nebulosa - che è un complesso sistema costituito da almeno sei stelle le più importanti delle quali sono una Wolf-Rayet, la più vicina stella di questo tipo a noi, ed una supergigante O legate gravitazionalmente tra loro. Anche Naos è una supergigante di tipo O, ma ha la peculiarità di essere nata in un'altra zona, precisamente nell'ammasso stellare Trumpler 10; questo è stato possibile dedurlo retrocedendo di tempo e direzione il suo elevato moto proprio che la rende questa stella estrema una cosiddetta "fuggitiva": lontana circa 1090 anni-luce da noi, Naos è "ora" situata nella parte della nebulosa di Gum a noi rivolta.
Detto questo, mettendo in relazione l'origine della nebulosa con l'attuale posizione di Naos, una teoria che salta fuori da tale quadro descrive che la nebulosa di Gum sia stata creata dall'esplosione di una passata compagna di Naos; scomparendo di colpo, a seguito del catastrofico evento, il centro di gravità cui la sua orbita era legata, essa partì letteralmente “per la tangente” ad altissima velocità, quella ancora oggi osservata. Tra l'altro, è stato notato che i bordi dell’immensa nebulosa di Gum si espandono in modo differente fra di loro: la parte rivolta verso il Sole sembra infatti avvicinarsi più velocemente rispetto a quella che, al lato diametralmente opposto, se ne allontana, quest'ultima probabilmente ostacolata dalla presenza del cosiddetto “Vela molecular ridge”, un altro vasto complesso di nubi molecolari giganti situate oltre la nebulosa.
Come detto, gli eventi che generarono la nebulosa di Gum avrebbero avuto luogo molto molto prima di quelli della supernova che produsse la più vicina nebulosa delle Vele: da 1 a ben 6 milioni di anni fa! Gli strati gassosi espulsi in quello scoppio così temporalmente lontano continuano ad espandersi ancora oggi, pur a bassissima velocità, stimata sul migliaio o poche centinaia di chilometri al secondo. Ciò è comunque sufficiente a provocare una certa compressione del mezzo interstellare circostante e il susseguente riscaldamento del gas che va ad impattarci sopra, generando le emissioni X e UV osservate; nella regione delle onde d’urto vengono compresse anche le linee di forza del campo magnetico interstellare, la cui intensità viene enormemente aumentata; in questo contesto, gli elettroni presenti nel gas in espansione vengono accelerati dal campo magnetico, emettendo una certa radiazione - detta “di sincrotrone” - effettivamente osservata nelle onde radio.
Fino ad oggi, le ricerche radio condotte in quell'area celeste non sono riuscire a scovare la stella di neutroni che sarebbe dovuta rimanere come residuo di questa antica esplosione, la qual cosa porta a supporre che la stella esplosa come supernova che ha generato la nebulosa di Gum ha forse prodotto qualcosa di molto più esotico ma allo stesso invisibile e spaventoso: un buco nero. Forse il più vicino al Sistema Solare? Nessuno lo sa.
Osservando il cielo australe nella direzione delle costellazioni delle Vele e della Poppa, pur non vedendoli ad occhio nudo, siamo certi che il nostro sguardo punta verso aree che in lontanissime epoche passate hanno visto accendersi più volte stelle giunte alla fine della loro agonia i cui residui, oggi osservati, vanno addirittura a sovrapporsi, quasi abbracciandosi a ricordo di quegli eventi. Certo è che, che tutto l'enorme involucro gassoso della nebulosa di Gum, oggi in una avanzatissima fase evolutiva, è destinato a raffreddarsi progressivamente, diluendosi completamente nel mezzo interstellare circostante fino a scomparire per sempre nel giro di qualche milione di anni.
La Via Lattea australe e la nebulosa di Gum; notare le dimensioni comparate con la nota costellazione di Orione, visibile in alto a destra (foto: Juan Carlos Casado)
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