mercoledì 29 novembre 2017

RU CAMELOPARDALIS, RARO CASO DI UNA STELLA EX-VARIABILE

Nel variegato mondo delle stelle variabili, mutamenti intrinseci e di grande portata nelle strutture stellari avvengono solitamente su scale temporali ben più ampie della breve vita umana; raramente, infatti, è stato possibile rilevare cambiamenti di questo tipo nell'arco di tempi relativamente brevi. Uno tra gli esempi i più emblematici di questo tipo è senz'altro quello di RU Camelopardalis (abbreviata RU Cam), stella di ottava grandezza situata nel bel mezzo della costellazione circumpolare della Giraffa (Camelopardus), visibile in ogni notte dell'anno dalle latitudini medio settentrionali: si tratta dell'unico esempio finora accertato di stella “ex-variabile”, che ha cambiato la sua caratteristica principale nel giro di pochi decenni.





La variabilità dell’astro venne scoperta nel 1907 dall'astronomo polacco V. Ceraski su alcune lastre riprese tra il 1899 e il 1906, allorché lo stesso riferì di aver osservato variazioni luminose comprese tra le magnitudini 8,0 e 9,1 in un ciclo di 22,27 giorni. La curva di luce della stella, pur insolita con il tempo di risalita esattamente uguale a quello di discesa, venne inizialmente interpretata come prodotta da un sistema binario ma la vera identità di RU Cam come Cefeide di tipo W Virginis divenne chiara nella seconda parte degli anni '40, allorché vennero scoperti i due tipi fondamentali di variabili pulsanti: le cefeidi classiche e le cefeidi nane (queste ultime, altrimenti dette di tipo II).


Per l'esattezza, la curva di luce di RU Cam ricalcava quella delle cosiddette "W Virginis" - note in passato come Cefeidi di tipo II - sottoclasse del più vasto gruppo delle Cefeidi ma dal quale si differenzia per la minore luminosità intrinseca.

Le variabili W Vir sono stelle giganti, di massa medio-piccola (0,5 - 0,6 masse solari), che hanno pienamente sviluppato un nucleo ormai degenere formato da carbonio e ossigeno. In tali stelle, le reazioni nucleari che producono energia avvengono in due gusci sovrastanti il nucleo, quello più interno composto da elio e quello più esterno, formato da idrogeno; le pulsazioni a cui la stella va incontro sono dovute a instabilità termiche che interessano i due gusci nei quali avvengono le reazioni di fusione. Le pulsazioni sono indotte da una sorta di meccanismo "a valvola" innescato dalla ionizzazione dei gusci di elio e idrogeno all'interno della stella: nel momento in cui questa è "aperta", la radiazione passa facilmente e la stella si restringe; la valvola quindi si chiude, intrappolando la radiazione che porta la stella ad espandersi.

Tra le altre cose, la pulsazione delle Cefeidi viene utilizzata per determinare la luminosità assoluta di tali stelle: nelle Cefeidi di più piccole dimensioni, l'onda di radiazione che si sposta dal nucleo della stella verso la sua superficie si muove in tempi più brevi rispetto ad una Cefeide di più grandi dimensioni; di conseguenza, le Cefeidi più grandi hanno periodi più lunghi e quelle più piccole, chiaramente, più brevi. Ma poiché le stelle più grandi irradiano l'energia luminosa da una maggiore superficie, queste sono anche più luminose. Tale relazione, chiamata "periodo-luminosità", venne scoperta da H.Leavitt nel 1912 esaminando alcune Cefeidi situate nella Grande Nube di Magellano; da li a poco, H.Shapley riuscì a calibrare tale relazione che, successivamente, venne applicata da E.Hubble per determinare la distanza dalle galassie vicine alla nostra Via Lattea.

Pochi anni dopo la sua scoperta, RU Cam rese esplicite alcune prime stranezze: nel 1928, infatti, R.Sanford si accorse della presenza di variazioni sia nella velocità radiale che nello spettro della stella; al massimo della luminosità, infatti, lo spettro diveniva K0 (5.600 K), dando luogo a righe di emissione dell'idrogeno, mentre e al minimo esso diviene addirittura di tipo R (3.800 K), caratteristico delle stelle al carbonio, nelle quali trovano spazio le righe di assorbimento dell'idrogeno.

Una stella al carbonio è solitamente una gigante rossa (occasionalmente nana rossa), di bassa temperatura superficiale e caratterizzata da un'atmosfera con sovrabbondanza di carbonio. Se nelle stelle normali, così come nelle giganti rosse, solitamente l'ossigeno è predominante rispetto al carbonio, in queste stelle avviene il contrario e la combinazione dei due elementi porta alla produzione di gas come il monossido di carbonio che consuma tutto l'ossigeno presente, lasciando libero il carbonio di combinarsi per formare altri composti carboniosi.


Ma la cosa più sorprendente accadde qualche decennio più tardi; a partire dal 1962, infatti, la stella iniziò a smorzare le sue pulsazioni; "stabilizzandosi" attorno alla magnitudine 8,5 nel giro di soli 4 anni. Dal 1966, le pulsazioni scomparvero quasi del tutto anche se, in vero, ancora oggi la luminosità apparente della stella curva di luce presenta ancora esili variazioni di luce in una curva dalla forma sinusoidale secondo un periodo irregolare, generalmente compreso tra 17,4 e 26,6 giorni. Ad ogni modo, nessuno, all'epoca dei fatti, aveva idea di cosa potesse essere successo, mancando qualsiasi idea per spiegare il "blocco" delle pulsazioni; secondo i modelli astrofisici, infatti, affinché il meccanismo di RU Cam si fosse smorzato ci sarebbe voluto un tempo lunghissimo, pari ad almeno 31.000 anni: certo, non i 4 anni osservati nel caso di RU Cam!

Qui di seguito, la curva di luce della stella nei quattro anni in cui le variazioni della sua luminosità si sono smorzate fino ad annullarsi: 


RU Cam è una stella enigmatica già per il solo fatto di aver presentato l'inusuale dualità di essere sia una stella al carbonio che una cefeide del tipo W Wir; caratteristica insolita ed unica, evidenziata da sole cinque altre stelle note, due delle quali parte di un'altra sottoclasse di cefeidi il cui prototipo è la stella BL Her.

Ma cosa accade a questa lontanissima stella, il cui raggio di luce arriva ai nostri sensori dopo avere viaggiato per oltre 5.500 anni? La migliore interpretazione venne esplicata in uno studio del 1998 dagli astronomi J.Percy e J.Hale: costoro, infatti, ipotizzarono che RU Cam abbia iniziato a abbandonare, alquanto velocemente, la cosiddetta "fascia di instabilità" del diagramma HR, area laddove tutte le stelle che vi confluiscono dopo aver abbandonato la tranquillità della sequenza principale: RU Cam starebbe infatti attraversando una fase caratterizzata dal "bruciamento" dell'elio non più nel nucleo ma negli stellari ad esso superiori: ciò porterebbe la stella dapprima ad aumentare di calore (e dimensioni) spostandosi verso la parte blu del diagramma HR per poi, a seguito di un ulteriore cambiamento strutturale, a diminuire nuovamente di temperatura (spostandosi a destra nel diagramma) ma aumentando ancor di più le dimensioni: tale fase, detta "blue loop", porta la stella ad uscire dalla fascia di instabilità.

Qui di seguito, le tracce evolutive stellari nel diagramma HR a seconda della loro massa iniziale; da notare come il "blue loop" sopra descritto (in colore blu), che ricorre dopo la fase di gigante rossa (AGN), avvenga prestissimo nelle stelle di grande massa, "poco dopo" (sempre in tempi astronomici) l'innesco del flash dell'elio nel loro nucleo:



Nel caso di RU Cam, si ritiene che l'attraversamento ad andirivieni di questi "blue loop" avrebbe prodotto sovrapposizioni di almeno due diversi periodi che avrebbero portato a cancellare le pulsazioni della stella: un effetto non dissimile a quello creato da due sorgenti allorché, sovrapponendosi e creando una figura di interferenza, si incontrano in opposizione di fase interferendo in modo distruttivo, annullandosi una con l'altra: esattamente quando accaduto oltre 5.500 anni fa per RU Cam.

venerdì 24 novembre 2017

TOTALE RISOLUZIONE DELLE STELLE DI UN'ALTRA GALASSIA

Fino a dove si può spingere il massimo potere risolutivo dei moderni telescopi relativamente alla risoluzione di galassie in stelle che non siano la nostra? La risposta può fornirla questa stupenda immagine realizzata dal telescopio spaziale Hubble (NASA), la più grande e dettagliata, ad oggi ripresa, di un'area della grande galassia di Andromeda, la galassia a spirale più vicina alla nostra Via Lattea: nonostante la foto riprenda un'area pari a circa 1/3 della sua estensione, in essa sono presenti più di 100 milioni di stelle - una cifra che sfugge davvero ad ogni possibile comprendere umana, così come l'enormità dello spazio - perfettamente risolte. Un risultato stupefacente, tenendo presente che la distanza della galassia è valutata in 2,54 milioni di anni luce!

Qui di seguito, associazioni OB di stelle azzurre e massicce miste al muro stella re di fondo; tutte appartenenti alla grande galassia di Andromeda, totalmente risolte:


E' anche vero che, proprio per questo motivo, è possibile catturare immagini molto più dettagliate del nostra vicina a spirale piuttosto che di altre galassie come le tante fotografate di continuo dal telescopio spaziale Hubble.


Quella di Andromeda è una grande galassia a spirale fortemente inclinata lungo la nostra linea di osservazione tanto che il bulge centrale, popolato da vecchie stelle che forniscono a tale area la tipica colorazione giallognola, appare all'osservazione binoculare e telescopica non dissimile da una galassia ellittica. La parte centrale, cui accennavo poco sopra, appare molto brillante. Sebbene la sua vera natura di galassia esterna alla nostra venne formalizzata solo all'inizio del XX secolo, essa fu notata ad occhio nudo dall'astronomo Al-Sufi nel 964, che la descrisse come una "piccola nube". M 31 fu scoperta nel meno luminoso cielo d'Europa da Simon Marius nel 1612, grazie all'ausilio di un primordiale telescopio. Nelle moderne fotografie, essa può apparire su un'area di 1,3°x4,2°: ovvero, 20 volte l'area apparente il disco della Luna piena, come è possibile notare in questa ripresa effettuata nei raggi UV e che mostra, tra le altre cose, anche l'area ripresa dal telescopio spaziale Hubble:


Il raggio del del bulge della galassia di Andromeda è di circa 80 mila anni luce. Questo è circondato da braccia a spirale particolarmente prominenti perso ovest, dove scure strisce di polvere si stagliano davanti al brillante nucleo. La zona occidentale è perciò la più vicina mentre quella orientale la più distante, sebbene quest'ultima apparentemente più vicina a causa della sua brillantezza. Misure spettroscopiche effettuate su entrambe le estremità della galassia di Andromeda hanno mostrato che la parte destra di avvicina a noi mentre quella opposta si allontana. La massa totale della galassia di Andromeda sembra essere inferiore a quella della Via Lattea, nonostante le sue dimensioni siano superiori: di fatto, M31 contiene molte più stelle della Via Lattea e possiede un diametro notevolmente maggiore.

La sua luminosità supera invece del doppio quella della nostra galassia. La maggior parte della luce viene emessa dal rigonfiamento centrale che contiene stelle più vecchie e quindi evolute, rossastre, ma la maggior parte della massa si trova nelle braccia a spirale, dove sono contenute sia stelle blu, più giovani e massicce, che la polvere e il gas dal quale si formano le stelle giovani. La differenza tra il rigonfiamento interno e i bracci a spirale esterni di M31 indusse l'astronomo americano W.Baade nel 1944 a riconoscere l'esistenza di due differenti popolazioni stellari: va da se che se Baade avesse avuto a disposizione una foto a colori e a piena risoluzione come quelle qui presentate, non avrebbe certamente dovuto lavorare così tanto per confermare questa sua idea!

L'immagine è stata ripresa nell'ambito del progetto "Panchromatic Hubble Andromeda Treasury", programma atto a mappare un terzo del disco della galassia con l'uso di 6 filtri che coprono un'ampio range spettrale, dall'ultravioletto al vicino infrarosso. Con la risoluzione e la sensibilità dell'HST, l'area fotografata è stata risolta in oltre 100 milioni di stelle, consentendo un'ampia gamma di attività scientifiche. Nell'immagine, le (poche) stelle più grandi e luminose appartengono in realtà alla nostra Via Lattea ma incrementando lo zoom, quelle di Andromeda diventano pienamente distinguibili l'una dall'altra:



Non solo: a piena risoluzione, è possibile individuare una varietà di caratteristiche tra cui ammassi stellari e nubi di polvere e, addirittura, remote galassie di sfondo. In corrispondenza delle nebulose brillanti nell'ottico, si notano punti di emissione che denotano luoghi dove si stanno formando stelle o dove sono comunque presenti associazioni di stelle OB.

L'immagine qui di seguito è realmente impressionante in quanto la galassia ellittica visibile, così come la piccola spirale visibile in basso a sinistra rispetto a questa, non è immersa, come solitamente accade, tra le stelle della Via Lattea quanto tra quelle di Andromeda; l'are ripresa, infatti, è una piccola porzione della grande galassia ed ogni singola stella visibile è parte integrante di quell'enorme sistema:




Allo stesso modo, realmente impressionante l'area al limite tra il bulge e il disco dove, oltre ad apparire netta la distinzione di popolazione stellare (gialla quella di tipo II, più vecchia e blu quella di popolazione I, più giovane) è chiaramente visibile l'enorme numero di stelle, pienamente risolte, che si addensano a formare un vero muro, cosparso qua e la da deboli scie di polvere interstellare:


mercoledì 22 novembre 2017

NUBI AD ALTA VELOCITA': LA NUBE DI SMITH

L’introduzione dei radiotelescopi, avvenuta a metà degli anni ‘50 del secolo scorso, permise di rilevare la presenza di vaste nubi di gas situate al di fuori del piano galattico, formate essenzialmente da idrogeno neutro (HI) ed elio, quest'ultimo in minore quantità; ciò era in netto contrasto con i modelli, all’epoca vigenti, secondo i quali la densità del gas doveva diminuire con la distanza dal piano galattico. E nella migliore delle ipotesi, tali sacche di gas avrebbero dovuto dissiparsi quando la Galassia era ancora giovane.

La soluzione all’enigma venne proposta nel 1956, allorché venne proposto che tali aree di gas potevano persistere solo da una stabilizzazione indotta da una corona calda e gassosa che avrebbe circondato la Via Lattea. Ispirato da questa proposta, l’astronomo olandese J.Oort propose quindi di ricercare nubi di gas freddo nell'alone della Via Lattea: in alter parole, in aree lontane dal piano galattico.

Queste vennero a tutti gli effetti rilevate tramite emissione radio nella caratteristica “riga a 21 cm dell'idrogeno neutro”, riga spettrale causata da una variazione energetica dell'idrogeno neutro interstellare che si manifesta ad una frequenza di 1420,405 MHz, equivalente ad una lunghezza d'onda di 21,10611405413 cm.


Anche se le prime osservazioni di tali oggetti non possedevano un'accuratezza tale da poterne determinare distanza, massa e direzione del movimento, si notò da subito che quasi tutte le nubi individuate si muovevano non solo verso il disco galattico ma anche ad una velocità molto maggiore rispetto ad altre simili entità presenti nel disco stesso: per questo motivo, tali oggetti vennero denominati "nubi ad alta velocità”; le stesse, inoltre, presentavano nella loro costituzione chimica dei bassi indici di metallicità (rapporto tra quantità di idrogeno e ferro), indicando non si trattava di oggetti certamente giovani. Tra le più note e studiate di queste nubi gassose, i cosiddetti "Complex C" e "Complex A" nell'emisfero celeste settentrionale e la "corrente Magellanica" in quello australe.

A queste va aggiunta una delle più enigmatiche, la cosiddetta Nube di Smith, scoperta nel 1963 da G.B.Smith, allora studentessa di Astronomia all'Università di Leida nei Paesi Bassi, da alcuni dati raccolti con il radiotelescopio olandese di Dwingeloo; si trova apparentemente proiettata sulla costellazione dell’Aquila e, potesse essere visibile ad occhio nudo, essa si estenderebbe su un’area pari ad una trentina di volte il diametro apparente della Luna piena.

Usando il radiotelescopio di Green Bank, venne scoperto che tale nube possiede ha una massa oltre un milione di masse solari, misurando ben 11.000 anni luce in lunghezza e 2.500 in larghezza!


Lontana dal Sistema Solare 36-45 mila anni luce, la nube di Smith è situata subito all’esterno del disco della Via Lattea, muovendosi proprio verso di essa ad una velocità di circa 240 chilometri al secondo; nel suo moto, essa si allunga, curvandosi nel seguire la rotazione della Galassia stessa. Ciò è reso evidente dalla sua caratteristica forma simile a quella di una cometa dalla coda ricurva: indice, tra l'altro, del fatto  che la nube di Smith, oltre a risentire degli effetti mareali indotti dalla vicinanza alla Galassia, è già in collisione con il gas rarefatto presente nell’area circostante il disco galattico, pronta ad “impattare” contro il disco galattico.

Tenendo conto della velocità del suo moto, si prevede che tale nube di gas si fonderà con la Via Lattea tra circa 27 milioni di anni: l’impatto, che stando ai calcoli potrebbe avvenire ad un angolo di 45°, porterà i gas a condensarsi, con il consistente innesco di formazione stellare nel braccio galattico di Perseo ivi creando, in breve tempo, una generazione di stelle massicce che nel giro di pochi milioni di anni daranno luogo a supernovae, o comunque andare a formare una sorta di immensa bolla di idrogeno neutro: ad ogni modo, quando la nube impatterà con il braccio di Perseo, del quale il locale “braccio di Orione” sarebbe una ramificazione, il fenomeno diverrà spettacolare visto dalla futura Terra.

A tal proposito, alcune ipotesi suggeriscono che il cosiddetto anello di Gould, struttura tondeggiante costituita da gas e stelle luminose lontana “solo” 2.000 anni luce dal Sistema Solare, possa essersi creata proprio a seguito di una simile collisione tra una gigantesca nube di gas e il disco della Via Lattea.


Proiettando la traiettoria della nube di Smith a ritroso nel tempo, si ritiene che essa possa avere già attraversato il disco della Via Lattea, in un epoca non inferiore a 70 milioni di anni fa; il fatto che tale nube sia quindi sopravvissuta a questo precedente incontro induce a ritenere che essa possa essere molto più massiccia di quanto ritenuto in precedenza: la nube potrebbe essere, di fatto, incorporata all'interno di una sorta di bolla formata da materia oscura, motivo per il quale la nube di Smith è ritenuta essere il primo candidato noto di galassia oscura, struttura costituita da materia oscura, polveri e gas.

Stessero realmente così le cose, la nube di Smith potrebbe essere una sorta di galassia nana “mai nata”, che avrebbe perso quegli “ingredienti” utili a formare una comune galassia intrisa di popolazione stellare. A comprovare tale ipotesi, l’assenza quasi totale di stelle nella nube di Smith. Ulteriori rilievi sull'abbondanza chimica di tale oggetto evidenziano come la nube di Smith possieda un valore di metallicità (rapporto tra quantità di idrogeno e ferro) pari a metà di quello del Sole: ciò porta a ritenere che i gas in essa presenti siano originari della Via Lattea e che non derivino, quindi, da una fonte esterna ad essa. Sia l'orbita e che la metallicità della nube sono coerenti con un'origine nel disco della Via Lattea, forse nella parte più esterna di questo; il meccanismo con cui tale gas si è allontanato non è però noto.

Ad ogni modo, sembra improbabile che la nube di Smith possa sopravvivere alla futura collisione prevista tra circa 27 milioni di anni.

Qui di seguito, un'immagine radio che evidenzia le nubi di gas esterne alla Via Lattea ad oggi rilevate, da questa catturate e stirate prima di essere distrutte:


domenica 19 novembre 2017

NGC7662: BELLEZZE E MISTERI DI UNA "PALLA DI NEVE AZZURRA"

L'area nord-occidentale della costellazione di Andromeda, quella dove sono situate le stelle che delineano le catene che cingono il braccio destro della mitica principessa, venne utilizzata dall'astronomo tedesco J.Bode, nel 1787, per formare una nuova costellazione, che lo stesso chiamò gli "Onori di Federico", ideata al fine di rendere onore il re di Prussia Federico II, usanza molto diffusa ai tempi tra i cartografi celesti presso molte case reali d'Europa. Bode rappresentò la costellazione con uno scettro, una corona, una spada e una penna a piuma per rappresentare le regali qualità del sovrano. Tale figura scomparve nel 1930, allorché l'Unione Astronomica Internazionale definì il numero delle costellazioni in 88 indicandone anche i rispettivi confini.  

Proprio nell'area allora occupata datale costellazione oggi scomparsa - precisamente tra le stelle ι ed ο And, che transitano esattamente allo zenith di prima sera in Novembre alle nostre latitudini - è presente uno degli oggetti deep-sky più interessanti non solo di questa costellazione ma di tutta la volta celeste: si tratta di NGC7662, una stupenda e luminosa nebulosa planetaria a triplo guscio, la cui stella centrale è stata al centro di presunte variazioni sulla sua luminosità.

Qui di seguito, una stupenda immagine a largo campo della "palla di neve azzurra" ripresa da Niels V.Christensen con un Meade LX200ACF da 400 mm di diametro ad una lunghezza focale di 2500 mm utilizzando filtri LRGB, H-Alpha, OIII e SII:


Questa nebulosa planetaria venne scoperta da W.Herschel il 6 Ottobre 1784; sia il grande astronomo visualista che, successivamente, il figlio John ebbero una grande passione per questo oggetto tanto da averlo osservato ben 16 volte, riportandone i dettagli nei loro diari. Proprio J.Herschel fu il primo, tra l'altro, a riportare per la prima volta una nota circa il colore azzurro di questa nebulosa; in tempi più recenti, precisamente nel Febbraio 1960, il dilettante L.S.Copeland descrisse questa nebulosa con il termine di "blue snowball": da allora, NGC7662 è nota proprio con il nomignolo di “palla di neve azzurra”.

Splendendo di magnitudine 8,6 ed estesa per ben 32”x28” d'arco, tale planetaria è una delle più luminose presenti nella volta celeste; essa appare così luminosa da poter essere osservata anche da centri urbani con l'ausilio di piccoli binocoli, con i quali appare non dissimile ad una comune stella di ottava grandezza. Localizzarla è facile, essendo situata appena 25' a sud-ovest della stella di quinta grandezza 13 And.


Una nebulosa planetaria risplende per fluorescenza, dopo che i suoi gas vengono eccitati dall'intensa radiazione emessa della caldissima stella al suo centro, una nana bianca: tanto per fare un esempio, quella di NGC7662 possiede una temperatura superficiale di almeno 75.000 K! Lo spettro di una planetaria è inoltre dominato da due luminose righe spettrali dell'idrogeno doppiamente ionizzato, precisamente a 4.959 e 5.007 angstrom: sono proprio queste a produrre la caratteristica luce verde-azzurrina caratteristica di questi oggetti, già percettibile ai telescopi: effetto ancor più accentuato nel caso di oggetti compatti e luminosi come NGC7662, che stimola sicuramente i coni presenti nella retina oculare, recettori addetti alla percezione del colore.

Proprio grazie alla sua luminosità piuttosto concentrata, è una delle poche planetarie visibili da cieli poco buii e con piccoli strumenti. Con il classico newton da 114 mm a bassi ingrandimenti si nota appena il disco nebulare tra le numerose e luminose stelle del ricco campo. Ad ingrandimenti maggiori il disco diventa molto più evidente, mentre le uniche stelle abbracciate dall'oculare rimangono due coppie di dodicesima grandezza localizzate a nord-ovest. Con strumenti più impegnativi la nebulosa mantiene fede al suo nome, dal momento che il disco, quasi perfettamente rotondo, assume una colorazione decisamente azzurra. A causa del notevole splendore della nebulosa, riuscire a scorgere la stella centrale è difficilissimo, nonostante questa splenda di magnitudine 13,2. Ad ingrandimenti elevati, il caratteristico anello schiacciato interno della nebulosa appare decisamente luminoso (e decisamente azzurro!) a sud-est e meno luminoso nel suo tratto nord-occidentale.

Studi condotti su NGC7662 indicano che tale planetaria possiede una struttura non dissimile a quella che si può vedere nelle bellissime immagini - riprese dal telescopio spaziale Hubble - della nebulosa NGC7293 "Helix", laddove sono presenti le cosiddette flirs (dall'inglese “fast low-ionization emission regions”), regioni di emissione veloce di materia a bassa ionizzazione: si tratta di aggregazioni di gas con una densità superiore alla media, probabilmente emesse dalla stella centrale prima che questa desse origine alla stessa nebulosa planetaria.

Qui di seguito, una splendida immagine della nebulosa planetaria NGC7662, unione di riprese effettuate dai telescopi spaziali Hubble e Chandra; in rosso, verde e blu i dati ottici di Hubble, in viola i dati in raggi-X di Chandra:


Nelle dettagliate immagini riprese da HST ma anche in numerose immagini riprese da astrofili evoluti, la nebulosa evidenzia una sorta di struttura cava al suo interno attorno alla quale si riscontra la presenza di ben tre gusci luminosi; questi sono stati causati da onde d'urto indotte dal vento prodotto dalla stella centrale in collisione con gli strati precedentemente emessi nello spazio da quella che fu l'allora gigante rossa.

La stella centrale è enigmatica: pur da lungo tempo sospettata di essere una variabile, tale ipotesi non è ad oggi stata provata. La storia risale ad alcune osservazioni effettuate tra il 1897 e il 1908 dall'astronomo E.E.Barnard, quando egli rilevò che questa variava la sua luminosità apparente tra le magnitudini 12 e 16 secondo intervalli del tutto irregolari; lo stesso, però, fu molto cauto nell'esporre questi risultati, adducendo che tali stime potevano a tutti gli effetti essere influenzati da fattori quali il cattivo seeing, la luce lunare o la stessa acutezza visiva. Lastre fotografiche riprese qualche decennio più tardi mostrarono che la stella variava effettivamente la sua luminosità tra le magnitudini 11,5 e 13,0 ma anche in questo caso ci fu chi attribuì tale particolarità all'instabilità atmosferica.

Certamente, gli astrofili possono contribuire a risolvere la questione con rilievi fotometrici tramite le camere CCD ed appositi software. Come già accennato, la luminosità apparente dell'astro, almeno teoricamente, permetterebbe di rilevarlo già visualmente con l'ausilio di un telescopio da almeno 200 mm di diametro; tuttavia,  il fatto di trovarsi immerso nell'area nebulare notevolmente luminosa, al contrario di quanto accade generalmente per altri oggetti di questo tipo, rende letteralmente impossibile staccare la stella dal resto della nebulosa, anche con l'utilizzo di filtri a banda stretta OIII.

Molto probabilmente, tale stella si renderà visibile in un lontano futuro a causa dell'espansione dei gas nebulari, che si allontanano da questa ad un tasso di decine di chilometri al secondo; quando l'area interna diverrà meno luminosa e meno opaca, ecco che la nana bianca di NGC7662 potrà essere percepita dai nostri lontani discendenti.

lunedì 13 novembre 2017

LA CORRENTE STELLARE DELL'ACQUARIO

E' noto come con la Via Lattea sia sede di più di una dozzina di cosiddette "correnti stellari", gruppi di stelle che, condividendo moti e caratteristiche fisiche davvero simili, si ritiene siano nate con ogni probabilità all'interno dello stesso sistema. secondo le ipotesi, queste sarebbero ciò che resta di piccole ex-galassie satelliti della nostra - o altre passate ad essa troppo vicine - che sarebbero state gravitazionalmente catturate e quindi deformate dal loro aspetto originale fino a divenire delle vere strisce lunghe migliaia di anni luce, con tanto di tracce di idrogeno neutro (HI) ad esse associate. Studi condotti su tali flussi di stelle hanno rilevato che queste intersecano il piano galattico ma si snodano principalmente di fuori di questo.

Con dati ottenuti nel 2010 nell'ambito del progetto RAVE (RAdial Velocity Experiment), con il quale sono stati misurati i movimenti di quasi mezzo milione di stelle nella nostra galassia attraverso immagini a largo campo ottenute all'osservatorio di Siding Spring in Australia, di recente è stata scoperta una nuova corrente stellare che però, a differenza delle altre precedentemente note, è pienamente inserita nel piano galattico.

Estesa da 1.500 anni luce fino a 30.000 anni luce di distanza, questa si proietta sulla costellazione dell'Acquario, motivo per il quale è nota come "corrente stellare dell'Acquario" (posizione: A.R.: 22h 25' 0.00"; DEC.: -13° 00' 0.00"); questa è, tra l'altro, la più vicina alla Terra tra le correnti stellari ad oggi note; i primi modelli effettuati sui moti delle componenti tramite super calcolatori avevano dimostrato che queste avrebbero formato una galassia nana, catturata dalla Via Lattea circa 700 milioni di anni fa; il loro insolito moto porta stranamente un gran numero di tali stelle formanti la corrente dell'Acquario ad addensarsi, quasi a mo di petalo, nella parte più lontana della loro orbita attorno al centro galattico; modelli al computer dimostrano che tale configurazione possa essere esclusivamente ottenuta se le stelle in questione non sono nate nella Galassia. Dato che sembrava valorizzare l'ipotesi della fu-galassia nana.


Tuttavia, questa tipologia di oggetti è solitamente composto da stelle giovani, di ultima generazione; ebbene, analisi spettroscopiche condotte sulle stelle della corrente in questione hanno invece dimostrato che queste risultano avere bassissimi valori di metallicità (rapporto tra quantità di idrogeno e ferro), risultando quindi alquanto vecchie, con età comprese tra 10 e 12 miliardi di anni! Ciò ha portato a diversificare l'ipotesi iniziale con quella, forse più verosimile, che prevede la corrente stellare dell'Acquario essere non il fantasma di una fu-galassia nana quanto il residuo di un ex-ammasso globulare!

Secondo altri studi più recenti che hanno evidenziato proprietà chimiche per queste stelle simili a quelle delle stelle di disco (es. le abbondanze di magnesio ed alluminio), la corrente stellare dell'Aquario si sarebbe originata da una parte dello stesso disco galattico - a qualcosa di simile al locale braccio di Orione - a seguito di perturbazioni provocate da una galassia satellite avvenute addirittura alcuni miliardi di anni or sono.

Qui di seguito, rappresentazione artistica di alcune correnti stellari nella via Lattea:


Vero è comunque che studi sulle dinamiche della corrente stellare dell'Acquario e di altri resti simili, oggetti gravitazionalmente disgregati dalla Via Lattea in un lontano passato, possono fornire indizi rilevanti sull'evoluzione della Galassia e, chiaramente, anche sul suo futuro.

venerdì 10 novembre 2017

LA GALASSIA DEL TRIANGOLO

La piccola costellazione del Triangolo fa la sua prima comparsa all’interno dell’”Almagesto” di Tolomeo, assieme alle altre 47 figure classiche; tuttavia, già nei secoli precedenti, varie culture stanziate nell’area mediterranea riconoscevano nelle tre stelle dell’odierna costellazione altre figure con forme, per l’appunto, triangolari: i greci, ad esempio, chiamarono tale figura “Deltoton”, probabilmente in riferimento alla lettera Δ (delta) presente nell’alfabeto da questi usato, mentre i romani vedevano in tali stelle la forma della Trinacria. Sia il Triangolo che il vicino Ariete ebbero una storia alquanto tormentata nel XVII secolo allorché dapprima l’astronomo J.Bartsch, nonché genero di Keplero, e di seguito Hevelius modificarono questa zona di cielo aggiungendovi alter figure: la costellazione del “Triangolo Minore” e quella della “Mosca Boreale”, corrispettivi più scialbi dello stesso Triangolo e della Mosca, quest’ultima situata nell’emisfero celeste australe sotto la Croce del Sud. Una decina d’anni dopo, nel 1636, la Mosca Boreale fu sostituita dall’astronomo della corte reale francese V.Coronelli con quella del “Giglio”, simbolo più adatto a rappresentare la regale grandezza del trono di Francia. Tutte queste figure furono inventate, come di moda in quell’epoca, per colmare spazi relativamente “vuoti” tra le costellazioni, ma vennero rifiutate presto e poi dimenticate, lasciando solamente qualche traccia nei planisferi celesti dell’epoca.
Come noto, l’oggetto non stellare più importante di questa piccola ma ben definita costellazione è la galassia “Galassia del Triangolo”, 33° oggetto del famoso catalogo compilato da C.Messier. Denominata anche “Pinwheel Galaxy”, cioè “Galassia Girandola”, essa è uno dei più luminosi membri del Gruppo Locale nonché la galassia a spirale più vicina dopo quella di Andromeda, dalla quale dista solamente mezzo milione di anni luce.
Qui di seguito, una stupenda immagine della galassia ripresa da Piermario Gualdoni (cui vanno i ringraziamenti e complimenti dello scrivente!); le regioni di formazione stellare, laddove il gas è in larga misura ionizzato, sono facilmente riconoscibili nelle strutture rossastre presenti nelle braccia a spirale:

Documenti storici ne fanno risalire la scoperta al 1764, allorché proprio C.Messier, spaziando per la volta celeste alla ricerca di comete col suo piccolo telescopio a lenti dai cieli parigini, si imbatté in quella che lo stesso definì una “nebulosa di luce biancastra, pressoché uniforme”. Tuttavia, tale oggetto fu probabilmente osservato ancor prima, precisamente dall’astronomo italiano G.B.Hodierna quando riferì della presenza di una non ben determinata “nube” assai debole nei pressi del Triangolo (a detta di alcuni autori, costui però avrebeb potuto riferirsi anche al vicino ammasso stellare aperto NGC752, situato nella costellazione di Andromeda). Il primo ad osservarne la struttura a spirale, come quella di altri oggetti di questo tipo con tale curiosa forma, fu nel 1850 W.Parsons, terzo conte di Rosse, grazie al suo gigantesco telescopio da ben 1,8 metri! Ad E.Hubble, infine, è dovuto l'aver riconosciuto M33 come un oggetto extragalattico allorchè 35 variabili Cefeidi da questo scoperte portarono a derivarne la distanza ben al di fuori della Galassia.

Qui di seguito, mappa della posizione della galassia del Triangolo:

La struttura della galassia del Triangolo è quella di una tipica spirale Sc, con braccia ampiamente aperte che contengono un gran numero di stelle giovani (si stima, circa 40 miliardi in tutto), polveri, gas ed aree nebulari laddove è presente un elevato tasso di formazione stellare (secondo stime, il tasso di formazione stellare ammonterebbe a circa 0,45 masse solari/anno ma non è certo se questo sia costante o con tendenza a diminuzione). A differenza di quella di Andromeda, che appare di ¾, M33 si presenta vista quasi frontalmente, inclinata di una cinquantina di gradi sul piano tangente alla sfera celeste, particolarità che ne permette un'accurata analisi con un assorbimento del tutto trascurabile.
Con una luminosità apparente integrata pari a 5,7 magnitudini, essa si estende su un’area pari a 70’x40’ ovvero una superficie almeno tripla rispetto a quella della Luna piena. Tali vaste dimensioni portano però la sua luminosità superficiale ad essere notevolmente bassa, particolarità che rende M33 piuttosto difficile da osservare visualmente attraverso il telescopio a causa del ristretto campo visuale che, in genere, tali strumenti offrono. Certamente più adatti i binocoli, con i quali è possibile vederne la forma ellittica e la zona centrale che appare decisamente più luminosa della periferia. Per riuscirci però, occorre scegliere una serata cristallina, in cui si possano vedere le stelle di sesta magnitudine, ed attendere che il Triangolo transiti al meridiano.
Personalmente, una sola volta mi è capitata la rara e difficile esperienza di riuscire ad osservare tale galassia ad occhio nudo: per la precisione, da un sito particolarmente buio come quello delle Dolomiti. Tale resoconto lo si riscontra da parti di numerosi astrofili visuali, dediti ad una approfondita osservazione della volta celeste: stando così le cose, M33 è quindi l’oggetto più lontano visibile senza alcun ausilio ottico, a poco meno di 2,9 milioni di anni luce (!) di distanza dal nostro pianeta e, comunque, dalla Galassia. Per rintracciarla conviene scandagliare a bassissimo ingrandimento la zona posta quattro gradi ad ovest della stella di terza grandezza Ras al Muthallah (α Tri). Con un telescopio da 200 mm l’alone visibile è di 30x60 primi d’arco con molte deboli stelle, al limite della visibilità, che vi si proiettano sopra. Se le condizioni sono molto buone, con cielo terso ed oscuro, si dovrebbero riuscire a scorgere le due braccia che si dipartono dal nucleo in senso antiorario, una più uniforme verso nord, l’altra piuttosto irregolare verso sud; anche le regioni HII e alcune nebulose diffuse si prestano all'osservazione telescopica.
Si stima che l’alone esterno di questa galassia raggiunga i 60.000 anni luce di diametro mentre la massa totale dovrebbe ammontare a 40 miliardi di stelle come il Sole. La regione nucleare non dovrebbe superare 16 anni luce: valore piuttosto modesto se rapportato alle dimensioni totali della galassia! La massa stimata è solamente di 8 miliardi di Soli, quindi pari ad 1/25 di quella della nostra Via Lattea. Ci si lamenta spesso che nella nostra galassia non appaiono supernovae da più di 400 anni ma, assai curiosamente, nessuna evento di questo tipo è mai stato osservato in M33 nell’era telescopica! Tenendo conto della distanza e di un “ipotetico” assorbimento interstellare nullo, una supernova che dovesse comparire in M33 potrebbe teoricamente raggiungere la sesta grandezza ovvero il limite di visibilità ad occhio nudo superando, quindi, in splendore l'intera galassia! Eppure, molti sono i residui di supernova in essa individuati.
In M33 si trovano, chiaramente, anche numero si ammassi aperti e globulari ma una delle particolarità più evidenti è un'associazione OB formata da luminosissime stelle giganti blu; questa, assieme alla notevole presenza di polveri e gas, sembra indicare che la formazione di nuove stelle in questa galassia sia un fenomento alquanto diffuso e sempre in corso. Le braccia a spirale di M33 sono molto sviluppate e in esse emergono estesissime nebulose ad emissione, spesso collegate a vaste nubi stellari: il numero è tale che la galassia del Triangolo può essere considerata un vero scrigno contenente innumerevoli ed interessanti oggetti celesti. La popolazione delle braccia a spirale appartiene chiaramente al tipo I di Baade, ricca com'è di stelle blu dei tipi OB, di ammassi ad altre associazioni giovani. Nella galassia del Triangolo sono stati ad oggi identificati 54 ammassi globulari certi anceh se il loro numero reale dovrebbe ammontare a circa il doppio; studi su questi condotti, avrebbero dimostrato che la la loro età sarebbe più giovane di alcuni miliardi di anni (!) di quella dei globulari della nostra galassia. Nel 2007, i dati dell'osservatorio X Chandra hanno determinato che in M33 è presente un buco nero dalla massa circa 15,7 quella del Sole, il più grande finora noto tra quelli di massa stellare; questo, denominato M33 X-7, orbiterebbe attorno ad una stella che sarebbe da esso eclissata ciclicamente ogni 3,5 giorni.
Da uno studio radio eseguito nel 1971, si stima che tale galassia conterrebbe almeno 1,6 miliardi di masse solari di idrogeno neutro, oltre alle 80 nebulose ad emissione contenti idrogeno ionizzato, precedentemente scoperte nelle sue braccia a spirale; di queste, la più luminosa e nota è senza dubbio NGC604. Pur osservata da W.Herschel, venne da questo catalogata come un oggetto non facente parte della galassia ma a se stante. Queste potrebbe aver avviato un notevole processo di di formazione stellare circa tre milioni di anni fa; ad oggi, NGC604 è la seconda regione HII più luminosa dell'intero Gruppo Locale (qui di seguito, ripresa dal telescopio spaziale Hubble):

Questa, situata nell’area a nord-est a circa 10' dal nucleo, si presenta come una sorta di ovale sfilacciato. Si tratta della più brillante delle 360 regioni nebulari (o HII, come le si voglia chiamare) note in M33, estesa per oltre 1.000 anni luce e quindi più grande persino della famosa “Nebulosa di Orione”, del resto molto simile dal punto di vista spettroscopico. Con una magnitudine di circa 10 e dimensioni poco superiori al primo d’arco risulta già visibile con un 100 mm, anche se solamente con strumenti maggiori si possono osservare alcuni dettagli. Sempre sul braccio a nord si trovano IC142 e IC143, altre due condensazioni, leggermente più larghe della precedente ma più deboli. Altre tre nebulosità, associate a nubi molecolari HII (contenenti qualcosa come 1,2-4x10^5 masse solari), sono NGC588-592-595, presenti nella parte occidentale della galassia; la più luminosa delle tre è NGC595, di magnitudine inferiore alla dodicesima e distante circa 7' dal nucleo: le dimensioni di oltre mezzo primo d’arco dovrebbero consentire di poterla osservare anche con telescopi da 200 mm di diametro.
Quella del Triangolo è una galassia isolata e non ci sono indicazioni di recenti fusioni o interazioni con altre galassie del Gruppo Locale, Via Lattea inclusa, dal momento che eventuali code di marea sono del tutto assenti al di fuori della sua struttura; tuttavia, il destino della galassia del Triangolo sembra essere legato a quello della sua grande vicina, la grande galassia di Andromeda, dalla quale disterebbe circa anni luce. Ipotesi sul futuro di M33 vedono questa galassia essere inglobata da Andromeda, cosa che darà vita ad una nuova e ancor più numerosa generazione di nuove stelle. La galassia nana dei Pesci (nota anche con la sigla LGS 3), localizzata ad circa 11° dalla galassia del Triangolo, si trova a una distanza non dissimile da questa e proprio per questo motivo è considerata una galassia satellite che “potrebbe” appartenere a quella del Triangolo; date le dimensioni apparenti e la distanza, il reale diametro di questa piccola galassia non dovrebbe superare i 480 anni luce.
M33 è un oggetto ancora più interessante dal punto di vista fotografico; le sue notevoli dimensioni e l’alta luminosità integrata, ne consentono la ripresa praticamente a tutti gli astrofili. Anche con una semplice fotocamera dotata di un comune obiettivo da 50 mm si può registrare la galassia come un debole fiocco di luce. Naturalmente risultati migliori si ottengono con strumenti maggiori, nella fattispecie con quelli da 1.000 a 1.500 mm di lunghezza focale. Curiosamente in questa zona si incontrano parecchie difficoltà nel reperire stelle luminose adatte alla guida fotografica; se non si vuole forzare l’occhio su stelle quasi invisibili, si dovrà disallineare di parecchi gradi il telescopio guida. Naturalmente ciò non vale per gli sfortunati possessori (in questo caso!) di guide fuori asse.

giovedì 9 novembre 2017

ALMACH (γ AND) , BELLISSIMO SISTEMA STELLARE MULTIPLO

Nelle nottate autunnali, quasi esattamente allo zenit transita la grande costellazione di Andromeda, delineata dalla presenza di 3 luminose stelle di uguale luminosità - da occidente ad oriente: Alpheratz (α And), Mirach (β And) e Almach (γ And) - disposte lungo una lunga spezzata compresa tra Scheat (β Peg) ad occidente e Mirfak (α Per) ad oriente; la stella prima di quest’ultima lungo la sequenza di cui sopra è una delle stelle multiple più belle di tutta la volta celeste, soprattutto per il contrasto cromatico delle componenti, particolarità apprezzabile anche con piccoli telescopi: si tratta di γ And, che splende di magnitudine 2,26 con un lieve colore aranciato.


Gli antichi arabi la definirono come “Al Rijl al Musalsalah”, ovvero “il piede della donna incatenata”; tuttavia, tale termine non trova riscontro nell’odierno nome proprio con il quale tale stella è nota: Almach, derivato da “Al Amak al Arid”, ovvero “la lince del deserto”, da cui ebbero origine anche i vari Almaack, Alamak, Alamech...comunque tutti poco utilizzati.

La prima citazione di questa stella come doppia fu ad opera dell’astronomo e fisico tedesco J.T.Mayer quando il 27 Gennaio 1778 ne osservò la compagna secondaria - γ2 And o Almach B - senza però, stranamente, descriverne lo stupendo contrasto di colore con la componente primaria: quest’ultima - definita γ1 And o Almach A - essendo di tipo K3IIb (4.500 K) appare quindi è infatti giallo-arancione, al contrario della secondaria che invece è di un bel azzurrino, indice di una maggiore temperatura superficiale. In letteratura, Almach B è spesso definita come verdognola o, addirittura, come verde smeraldo; è pur vero che, a seconda della propria vista e delle condizioni di seeing in quel preciso momento, è possibile percepire colori leggermente diversi da quelli solitamente descritti. 

Nel 1842, l’astronomo tedesco F.G.W.von Struve rilevò al telescopio rifrattore dell’osservatorio di Pulkovo che anche Almach B era di duplice natura, rilevando una terza componente di sesta grandezza, denominata Almach C, gravitazionalmente legata ad Almach B in un periodo orbitale di 63 anni: nel corso della mutua orbita, la separazione angolare tra le due componenti arriva fino ad un massimo di 0,6” d’arco; l’attuale valore, pari a 0,5” d’arco, è in diminuzione. Lo stesso Struve inserì tale coppia nel suo catalogo di stelle doppie con la sigla STF 205. Osservazioni spettroscopiche ottenute tra il 1957 e il 1959 rivelarono infine che la stessa Almach B era sede di un binario (spettroscopico, per l’appunto), composto da due stelle (denominate Almach Ba ed Almach Bb) di sequenza principale ed entrambe di tipo B, orbitanti attorno al comune centro di massa in soli 2 giorni e 17 ore!

Due di queste tre stelle sono una vera chicca anche per telescopi di piccola apertura; già un classico rifrattore da 80 mm, ad esempio, è in grado di separare facilmente la coppia Almach A-B, separata da 9,4” d'arco, permettendo anche di rilevare l’intrigante contrasto di colori delle due componenti. La terza componente, a causa dell’esigua separazione, si presta invece ad essere osservata con strumenti dal diametro dell’ordine dei 250 mm o più; l’osservazione di queste stelle dovrebbe essere compiuta in una notte con seeing perfetto e turbolenza atmosferica nulla, e se lo strumento a disposizione è un buon rifrattore, allora lo spettacolo è davvero garantito! A testimonianza di quanto appena descritto, il grande divulgatore francese C.Flammarion riportò i seguenti bellissimi versi: “…un piccolo cannocchiale la sdoppia in uno splendido Sole aranciato accoppiato ad un grazioso e fulgido smeraldo, ed uno strumento più potente sdoppia quest’ultimo in due altre gemme: uno smeraldo ed un zaffiro. Io sfido lo spirito più freddo, più apatico, a contemplare questa tripla associazione di soli senz’essere colpito e preso di alta ammirazione…”.

Qui di seguito, una bellissima immagine della coppia Almach A-B realizzata da Scott MacNeill:


Quello di Almach, lontano 355 anni luce dal nostro Sistema Solare, risulta essere quindi un sistema stellare addirittura quadruplo; la reale separazione media che intercorre tra le componenti B e C è simile alla distanza media tra Nettuno e il Sole anche se l’elevata eccentricità orbitale porta a variarne la separazione da 13 (raggiunta nel 2013) a 52 UA. La separazione tra questa coppia e la componente principale del sistema è tale da poter contenere comodamente 16 orbite plutoniane; misure sulla separazione di queste due componenti ottenute tra il 1830 e il 1995 mostrano come questa sia diminuita da 10,3” agli attuali 9,8” d’arco.


Fisicamente, Almach A è una stella evoluta, una fredda gigante giallo-arancione; poiché il suo diametro oltrepassa quello solare di ben 80 volte, pur essendo essa più fredda del Sole ne consegue comunque un elevato potere emissivo in quanto la superficie di emissione è di gran lunga maggiore: la luminosità intrinseca di questa gigante è infatti stimata in oltre 2.000 volte quella del Sole! Due nane di sequenza principale di tipo B sono invece le costituenti di Almach B: l’una di magnitudine 5,1 e con 12.000 K alla superficie; l’altra di magnitudine 6,3 e di poco più fredda, con una temperatura di 10.000 K. I dati orbitali forniscono misure precise sulla massa totale di questo sistema quadruplo, che risulta essere pari a 8,7 volte quella del Sole.

lunedì 6 novembre 2017

LA GALASSIA NANA IRREGOLARE DI PEGASO

Negli anni '50 del secolo scorso, l'astronomo americano A.G.Wilson identificò in alcune lastre riprese a Monte Palomar un oggetto anomalo di cui nessuno si era mai accorto prima, localizzato circa 2° a nord della stella di quarta grandezza 70 Peg, ad 1/3 del percorso tra le luminose Markab (α Peg) e Algenib (γ Peg). Si tratta della cosiddetta Galassia nana irregolare di Pegaso, (nota anche come PDIG, dall'inglese Pegasus Dwarf Irrgular Galaxy).


Lontana, secondo recenti stime, circa 3,3 milioni di anni luce (valore, tuttavia, ancora incerto causa i dati osservativi intrisi di grande variabilità), essa sarebbe una satellite della grande galassia di Andromeda anche se non mancano ipotesi sul fatto che questa possa essere un membro di recente acquisizione da parte del Gruppo Locale, identificata come tale nel 1975 dagli astronomi Tully e Fisher.


Data la distanza e le sue dimensioni apparenti, ne deriva un reale diametro pari a “soli” 1.000 anni luce! Nonostante le minute dimensioni - davvero contenute anche per sistemi di questo tipo - la galassia nana irregolare di Pegaso presenta una significativa attività di formazione stellare, particolare evidenziato nelle fotografie riprese dai grandi telescopi laddove tale oggetto appare popolato quasi unicamente da stelle blu di ultima generazione che presentano un grado di metallicità (ovvero, il rapporto tra quantità di idrogeno e ferro) davvero basso (indice della loro giovanissima età), nonché da piccole regioni HII.

La sua luminosità superficiale è davvero bassa, apri a 13,2 magnitudini, ma essendo integrata su un'area di circa 5'x2,7', tale valore consente tuttavia riprese non difficili via CCD; qui di seguito, mappa che identifica la posizione di questa galassia nana:

  

venerdì 3 novembre 2017

"VULCANO"

Una delle stelle che segnano il corso settentrionale dell'Eridano - il lungo fiume celeste che nasce nei pressi di Rigel (β Ori) e termina nelle profondità del cielo australe con la luminosa Achernar (α Eri) - è Keid (ο2), che splende di magnitudine 4,43; essa appare vicina alla stella Beid (ο1 Eri), situata subito a nord, con la quale forma in effetti una larga coppia prospettica visibile ad occhio nudo (Beid è, infatti, ben sette volte più distante da noi di quanto non sia Keid!). Nota anche come 40 Eri, Keid è famosa sia per essere uno dei più vicini sistemi stellari tripli più vicini, a soli 16,25 anni luce di distanza, che per contenere, tra le sue componenti, quella che è la prima nana bianca scoperta al telescopio della storia: in altre parole, quello di Keid è uno dei sistemi tripli più notevoli dell'intera volta stellata!



Il primo a denotarne la doppia natura fu W.Herschel, nel 1783; nel 1851, O.W.von Struve scoprì che anche la componente meno luminosa delle due stelle allora note era, a sua volta, doppia; infine, nel 1910 venne notato che, sebbene una delle due componenti più deboli fosse poco luminosa, essa appariva decisamente bianca particolare che implicava che essa doveva essere una stella molto piccola: questa fu infatti la prima nana bianca ad essere individuata dai telescopi!

La componente principale del sistema, Keid A, è una nana arancione di sequenza principale di tipo K1Ve (5.100 K), con massa e raggio pari a 0,84 e 0,81 volte il Sole. Nonostante la sua luminosità intrinseca sia pari a 0,36 quella solare, essa è la componente più brillante del sistema, tanto che la sua magnitudine apparente coincide con quella globale di tutto il sistema! Vecchia di 5,6 miliardi di anni, le emissioni X da essa provenienti testimoniano la presenza di una corona, che sembra avere una intensità paragonabile a quella del Sole. A circa 418 UA da Keid A, una distanza pari a 63 miliardi di chilometri, è situata la coppia Keid B e C, che impiega circa 8.000 anni a compiere un'orbita attorno alla componente principale. A loro volta, queste due compiono tra loro una mutua orbita in 252 anni; essendo questa però molto eccentrica, le due stelle passano da una distanza minima di 21 UA (poco più di 3 miliardi di chilometri) fino ad una massima di 49 UA (circa 7,3 miliardi di chilometri): una distanza media quindi inferiore a quella di Nettuno dal Sole.

Keid B è una nana bianca di magnitudine 9,52 e di tipo spettrale A4 (16.700 K). Recenti misurazioni hanno permesso di ottenere ottime stime su massa e raggio di questa stella, valori che sono risultati essere di 0,5 masse solari e di “soli” 9.400 chilometri! La concentrazione di una massa pari a metà di quella del Sole in volume non dissimile da quello del nostro pianeta induce che la densità di Keid B sia molto elevata, come d'altronde accade in tutte le nane bianche; e poiché la superficie radiante di Keid B è così piccola, ne consegue che anche la sua luminosità intrinseca sia bassissima. Keid B è la componente più evoluta di questo sistema ternario e, con ogni probabilità, aveva una massa iniziale maggiore di quella delle altre due componenti tanto da essere evoluta più velocemente delle altre. Dopo Sirius B (8,6 anni luce), Procyon B e la stella di van Maanen (entrambe a 11,4 anni luce), Keid B è la quarta nana rossa in ordine di distanza dal Sole, a 16,25 anni luce.

Keid C, che splende di magnitudine 11,17, è invece una nana rossa di tipo M4.5Ve (3.500 K). Si tratta della componente meno massiccia del sistema, “pesante” solo 0,16 volte il Sole! Il raggio di questa piccola stella è 0,31 volte quello solare; tale valore, assieme alla bassa temperatura superficiale (3.300 K), forniscono a tale stella una luminosità intrinseca pari a solo 7 decimillesimi di quella solare! Anche Keid C possiede una corona che emette raggi X. Si tratta, comparata a quella del Sole, di una corona molto intensa, che emette circa 0,14% della luminosità totale della stella.



Un'ultima curiosità su questo interessante sistema ternario: Keid A è l'unica componente attorno alla quale potrebbe esistere un pianeta in grado di poter ospitare la vita: infatti, la nana bianca, durante la fase di gigante rossa, ha probabilmente inglobato eventuali pianeti abitati, mentre la nana rossa, come molte della sua classe, è una stella pericolosissima stella “a flare”, particolarità che renderebbe difficile lo sviluppo della vita su un pianeta a questa legato. A tal proposito, nell'immaginario ma sempre amatissimo universo di Star Trek, proprio Keid A è considerata, pur indirettamente, la stella madre del pianeta Vulcano, patria del Sig. Spock e dei Vulcaniani, alieni caratterizzati da un forte senso della ragione e della logica con una totale repressione degli stati emozionali.



Il rapporto tra quantità di ferro e idrogeno (valore detto "indice di metallicità") di Keid A è pari al 65% del corrispettivo solare, valore che renderebbe abbastanza probabile la formazione di pianeti terrestri; ma, almeno finora, le ricerche non hanno individuato alcun pianeta. La zona abitabile di Keid A, dove potrebbe esistere un pianeta con acqua liquida, dista circa 0,63 UA dalla stella, distanza alla quale l'ipotetico “Vulcano” compirebbe una rivoluzione completa in 203 giorni terrestri e il diametro di Keid A apparirebbe circa il 30% più ampio di quello del Sole come visto dalla Terra.

Non potendo (purtroppo!) ancora disporre dell'Enterprise per andare direttamente su Vulcano, puntiamo ora il nostro telescopio verso questo rimarchevole sistema triplo. Un piccolo telescopio mostra le due stelle principali mentre Keid C può essere intravista già con un telescopio da almeno 150 mm di diametro ingrandendo almeno 150 volte; telescopi di grande apertura rendono la visione mozzafiato, permettendo di distinguere nettamente un incredibile trio di colori: giallo per Keid A, bianco per Keid B e rosso pallido per Keid C.